L'editoriale di Gian Filippo Della Croce. Vera crisi o altro?
Ci fu un giorno nel quale i vertici della ThyssenKrupp vennero invitati al palazzo comunale di Terni per ricevere onorificenze e chiavi della città, erano i giorni dell’idillio e a chi aveva avanzato qualche dubbio sulla bontà del matrimonio fra la Krupp che aveva acquistato a suo tempo la AST dalle Partecipazioni Statali e la Thyssen che a sua volta aveva acquisito la Krupp, venendo quindi in possesso anche delle acciaierie ternane, non vennero lesinati rimproveri . Eppure la siderurgia nel portafoglio della Thyssen pesava soltanto il 17% , esattamente come oggi, essendo altre le filiere portanti della multinazionale tedesca: la finanza, l’ingeenering, la logistica, i trasporti, l’elettronica, quindi era giusto dubitare che la AST fosse finita in buone mani come si voleva far credere. Infatti l’idillio durò poco, perché alla prima occasione la Thyssen decise di liberare lo stabilimento ternano dalla presenza del “magnetico”, cioè un acciaio in gran parte brevetto locale e prodotto di grande pregio che aveva reso famoso il nome di Terni nel mondo. Perché? Perché si disse che non poteva essere prodotto in due siti, cioè uno italiano e uno tedesco, per ovvie ragioni di economia e quindi uno dei due andava chiuso e tutti sappiamo a chi toccò.
Dall’idillio quindi alla rabbia, quella di una intera città che si sentì tradita ed umiliata dall’atteggiamento arrogante della multinazionale, da quel giorno i rapporti un tempo idilliaci divennero più prudenti anche se non mancarono ritorni di fiamma, sollecitati dalle sirene tedesche che annunciavano grandiosi investimenti e magnifiche sorti e progressive per il sito ternano. Oggi che la Thyssen ha annunciato la vendita dello stabilimento ternano, quei giorni idilliaci sembrano proprio così lontani e anche così discutibili, oggi la rabbia e la delusione sono ancora più grandi, perché la decisione è giunta inaspettata e con la benedizione dei sindacati tedeschi che si sono guardati bene dal coinvolgere i sindacati italiani, dal momento che anche stavolta la partita del “ a chi tocca” si gioca fra uno stabilimento tedesco e quello di Terni.
Cosa fare allora? La Regione ha investito immediatamente del problema il Governo che ha promesso di seguire da vicino il caso, i sindacati hanno chiesto un incontro che ci sarà, anche se a cose ormai fatte, intanto lo spettro del ridimensionamento con conseguente perdita di posti di lavoro agita i sonni dei lavoratori nonché quelli dell’intera città, che non potrebbe sopportare una batosta simile alla sua già traballante economia. Un interrogativo giganteggia su tutti: ma perché l’acciaio inox ,il prodotto siderurgico ad alto valore aggiunto principale prodotto delle acciaierie ternane è diventato all’improvviso così poco appetibile, tanto da costringere la Thyssen a vendere addirittura l’intera filiera produttiva costituita da due stabilimenti in Germania e uno (AST) in Italia?
In molti vedono dietro questo apparentemente incredibile atteggiamento una reazione alla “ingiusta” (secondo loro) condanna ricevuta dall’amministratore delegato di AST Hespehann nel processo di Torino, seguito al tragico rogo della “linea 5” dello stabilimento della ex Teksid, appendice della AST nel capoluogo piemontese e nel quale persero la vita sette lavoratori. C’è chi dice che parlare di “omicidio “ nei termini usati nella sentenza del giudice Guariniello siano eccessivi e fuori luogo, termini usati più per dare un “esempio” al Paese che per individuare le responsabilità dell’incidente. Possibile che si arrivi a tanto? Possibile che una multinazionale si comporti come un qualsiasi “padrone delle ferriere” ferito nell’orgoglio, anche di fronte alla morte di ben sette lavoratori? Non vogliamo crederci, vogliamo credere invece che la Thyssen rispetti una sentenza di un giudice italiano che ha applicato la legge italiana secondo coscienza e alla luce di lunghe indagini e che dal confronto che ci sarà in questi giorni emergano proposte condivisibili per fronteggiare una crisi di mercato e non una “rappresaglia” contro una intera comunità . Oggi sono i giorni dell’ira.
GIAN FILIPPO DELLA CROCE

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