Lo sciopero generale della Cgil è riuscito. Ed è riuscito in un contesto nazionale nel quale governo, confindustria e sindacati neocorporativi sferrano un attacco senza precedenti alle lavoratrici e ai lavoratori. Basti pensare al modello proposto al capitalismo italiano dalla Fiat di Marchionne per mantenere rendite e profitti: cancellare la contrattazione collettiva nazionale, limitare il diritto di sciopero e la presenza delle rappresentanze sindacali in fabbrica, aumentare i tempi e i ritmi di lavoro per abbassare il più possibile il costo del lavoro, comprimere diritti e democrazia. Emblematici i casi di Pomigliano, Mirafiori e della ex-Bertone: o accetti i diktat della proprietà (più lavoro, meno pause, ritmi più intensi, niente contestazioni o scioperi) o perdi il posto. In altri termini il ricatto si riassume in lavoro in cambio di diritti. Questo è ciò che vogliono gli industriali oggi nel nostro paese, favoriti da un’idea diffusa secondo la quale per competere sul mercato globale occorra trovare forti convergenze tra capitale e lavoro. Un’idea presente nel capitalismo territoriale di stampo leghista, un’idea praticamente condivisa da tutto l’attuale arco parlamentare, anche dal pensiero riformista del Pd veltroniano. Noi siamo invece con le lavoratrici e i lavoratori che hanno scioperato e manifestato venerdì 6 maggio, siamo con quanti hanno detto “no” a Pomigliano e a Mirafiori, riscoprendo e praticando il conflitto di classe. Ma il punto è che il mondo del lavoro ha la necessità di vedere rappresentate politicamente le proprie istanze. La fuoriuscita delle forze comuniste dal parlamento ha avuto forti ripercussioni sul sociale e sui rapporti di forza in campo nella società. Per questo la sinistra politica si deve interrogare a partire dalla lotta dei lavoratori, degli studenti contro la Gelmini, dei precari contro la sottrazione del loro futuro, dei tanti che lottano per i beni comuni per dare una rappresentanza a quelle istanze, senza scorciatoie politiciste divise fra il riformismo del Pd e un’improbabile governismo a tutti i costi. Non è vero che il novecento è chiuso, prova ne è il tentativo di imporre un neofordismo nei più grandi stabilimenti del nostro paese. Ecco, penso che sul lavoro si possa costruire un campo della sinistra che parta dalla mobilitazione unitaria dei movimenti, delle forze sindacali di classe, dei comunisti e della sinistra antiliberista, con dei contenuti chiari e radicali: lotta alla precarietà, redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori, reddito sociale, equità fiscale, tutela dei beni comuni, ricostruzione di un vero stato sociale. Questo è quello che abbiamo fatto a Città di Castello rispetto alla costruzione de “La Sinistra per Castello”, accogliendo l’appello all’unità della sinistra lanciato da associazioni, indipendenti e soggettività politiche, lavorando per una proposta politica aperta alle tante e ai tanti tifernati che esprimono una domanda di diritti, in particolare per quanto riguarda il lavoro, il contrasto alla crisi e al federalismo, la difesa dei beni comuni, a partire dall'acqua, e un no chiaro al nucleare. Certo, un primo, ma significativo passo per l’unità delle forze di sinistra, capaci di mettere al centro dell'azione politica cittadina il lavoro e lo stato sociale. Una scelta unitaria della sinistra che auspichiamo possa andare avanti comunque, oltre le elezioni e anche a livello regionale, per portare un contributo alla storia politica dell’Umbria, un riferimento per tutti coloro che si ritrovano nelle battaglie della Fiom sul lavoro e dei movimenti per l'acqua: una sinistra che parla alla società, all'associazionismo, ai giovani, che intreccia le ragioni del lavoro con quelle degli studenti e dei movimenti per i beni comuni. Per fare questo però serve una chiara volontà politica. Noi ce l’abbiamo.

 

Enrico Flamini, Segretario Provinciale Prc-Fds Perugia
 

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