Derive e approdi (fatali)
Di Dino Greco - Liberazione del 22 aprile 2011
Ieri Franco Giordano ha affidato a il manifesto un’intervista nella quale l’originaria intenzione di Sel di incarnare (sia pure con un’autoreferenziale pretesa di esclusività) la “nuova sinistra” subisce una significativa e più esplicita torsione.
Da quel che si può capire, il tema non è più la costruzione di uno schieramento di centrosinistra, il cui leader sia scelto attraverso primarie di coalizione ma, direttamente, la costruzione di «un nuovo soggetto politico», i cui soci fondatori dovrebbero appunto essere, oltre a Sel, il Pd e l’Idv. La novità, di singolare impianto veltroniano, è rilevante perché l’ipotesi configurata non è neppure più quella del big bang bertinottiano, vale a dire di una fase fluida che scompone schieramenti partitici vetusti e “libera” le persone da appartenenze coatte, riconferendo pregnanza - questo mi pare ne fosse il senso - alla politica e alla rappresentanza sociale ingessate dentro schemi e identità fuorvianti.
No, più prosaicamente, e con meno letteratura, Giordano ritiene che, qui ed ora, si debba avviare quella fase costituente (x+y+z) senza la quale Berlusconi rimarrebbe imbattibile. Giordano si scrolla di dosso l’obiezione secondo cui il Pd guarda altrove e «cerca un accordo con pezzi del centrodestra per portarli a sinistra». «D’Alema aspetta sempre Godot», chiosa il dirigente di Sel, non avvedendosi che la febbrile attesa del Pd sulle sponde della sinistra - liquidata da quel partito come un’aporia novecentesca - è almeno altrettanto velleitaria. E allora? Ciò che rimane in fondo al setaccio, una volta fatte sedimentare tutte le chiacchiere, è la minestra riscaldata di un’ipotesi entrista, dentro il Pd, dentro questo Pd, inertizzato dalle proprie intestine contraddizioni e da un’involuzione culturale che è perlomeno ingenuo pensare di rimontare attraverso un’operazione politicista.
Ma prendiamo (per un momento) sul serio l’operazione. Pare ovvio che un nuovo soggetto politico dovrebbe poter contare su un minimo comune denominatore delle forze chiamate a costituirlo. E qual è questo comune denominatore? In cosa consiste questo progetto? Quali risposte esso potrebbe offrire alle domande di fondo su cui può reggersi e durare una tessitura politica? Quali sono le convergenze concretamente realizzabili? La guerra umanitaria e la tacita reiterazione del finanziamento alla missione afghana? Il paradigma monetarista che sta tuttora alla base della politica economica del Pd? O il primato del capitale e delle ragioni della competitività che rendono l’impresa il dominus riconosciuto delle relazioni sociali?
I diritti dei lavoratori tornerebbero ad essere difesi - come vuole la Costituzione - in quanto elemento irriducibile e costitutivo della nostra democrazia, oppure basterebbe il guanto di ferro di un qualsiasi Marchionne a dettare l’ordine delle priorità? Ancora: è la battaglia per la pubblicità dell’acqua e dei beni comuni su cui è possibile costruire una strategia condivisa? O è piuttosto la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici sociali? E la linea di quel nuovo e alquanto ipotetico soggetto politico penderà dalla parte di chi esulta per la sentenza torinese che ha inchiodato il management della Thyssen Krupp alle proprie responsabilità, o da quella di chi se ne duole paventando la fuga dall’Italia degli investimenti esteri? E la lotta contro la precarizzazione del lavoro e della vita si potrebbe mai affermare come riunificazione di un mercato del lavoro totalmente balcanizzato, o rimarrebbe piuttosto oscurata dall’ideologia che ha fatto della flessibilità un totem intoccabile? E in quale concezione della laicità, della famiglia, dei diritti potrebbe riconoscersi la nuova forza politica di cui si invoca, qui ed ora, la nascita?
Con questo non si vuole pervenire alla conclusione paralizzante che nulla può mutare.
Si vuole solo ribadire che se una possibilità di cambiamento è data, questa muove dalla capacità di costruire un polo autonomo della sinistra, coerentemente legato ai movimenti sociali che si battono nel Paese per un profondo rinnovamento della politica e dei suoi contenuti.
Le altre sono scorciatoie che possono offrire un po’ (ma solo un po’) di effimera visibilità. E, probabilmente, anche qualche seggio in un futuro parlamento. Ma non contribuiranno a cambiare un bel niente.
Ci hanno già provato in tanti. E ognuno ha visto dove sono approdati.

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