ROMA – Sta assumendo caratteri assai sorprendenti la vicenda del consigliere circoscrizionale romano neofascista, Andrea Antonini, esponente di Casa Pound, gambizzato alcuni giorni fa nel corso di un agguato.

Infatti, malgrado i tentativi di buttarla in politica, evocando persino le famigerate “Brigate rosse”, gli inquirenti pare abbiano imboccato tutt’altra strada. Del resto sin da subito erano balzate evidenti alcune grosse incongruenze rispetto a questa testi: in primis il fatto che dalle Brigate rosse non è venuta alcuna rivendicazione, fatto del tutto inconsueto, visto che questa organizzazione terroristica ha sempre firmato le sue imprese e questa sarebbe, dunque la prima volta che non lo fa.

Seconda incongruenza è che gli adepti della stella a cinque punte hanno sempre scelto per i loro attentati figure emblematiche fra quanti ritengono essere fautori di politiche di oppressione del mondo del lavoro, cosa che non è certo un oscuro politico capitolino noto, tutt’al più, nell’ambito di un quartiere assai ristretto della capitale: in sostanza, come si dice, l’impresa non sarebbe valsa la spesa per l’acquisto del proiettile.

Ieri la svolta che conferma questi dubbi: gli inquirenti avrebbero decisamente imboccato la strada della faida interna a Casa Pound per cui l’agguato ad Antonini sarebbe stato organizzato da qualche suo camerata-rivale; una meschina mossa nella guerra senza esclusione di colpi da tempo in corso fra le diverse anime di Casa Pound che si contendono il controllo del movimento.

Gli inquirenti avrebbero quindi sposato l’ipotesi di una faida interna all’organizzazione, per cui il consigliere Antonini sarebbe rimasto vittima del cosiddetto “fuoco amico”, o meglio di un “effetto collaterale” della guerra in questione.
 

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