Il nostro è un Paese densamente popolato e ad altà sismicità

Il crollo della gabbia di contenimento del reattore della centrale nucleare di Fukushima colpisce noi italiani anche al di là di fervida solidarietà umana. Colpisce perché è avvenuto in un Paese ad alta sismicità, che contro tali eventi si è da tempo attrezzato in modo ammirevole (lo comprova la tenuta delle città alle scosse fortissime). Colpisce perché questa Italia, il cui governo di centrodestra ha imboccato nuovamente la strada del nucleare, dimenticando sbrigativamente il “no” referendario del 1987, è anch’essa sovente percossa da terremoti importanti contro i quali si è messo in sicurezza poco più del 20 per cento del patrimonio edilizio.
Fra le nostre regioni ne abbiamo soltanto una asismica, la Sardegna, a cui va aggiunta la catena delle Alpi (ma non delle Prealpi, come i mille morti del Friuli ci ricordano).

E’ uno dei motivi per cui si sconsiglia il ritorno al nucleare. Aggiungiamoci che pure l’Italia è densamente popolata - a parte la dorsale appenninica quasi desertificata e però tutta altamente sismica, dalle Madonie al Nord - e che taluni dei siti “probabili” sono a poca distanza da zone colpite da forti terremoti: Montalto di Castro nella Maremma laziale è a pochi Km da Tuscania semidistrutta nel 1971 con 34 morti. Ma Montalto non figura più, chissà perché, fra i Comuni sismici. Dal disastro di Fukushima il referendum dell’Idv contro il nucleare trarrà quindi una notevole spinta. Come avvenne nell’87 dopo Cernobyl.
Vi sono peraltro scienziati, penso al fisico Carlo Bernardini, pienamente favorevoli invece al nucleare. Essi sostengono che l’impianto di Cernobyl era obsoleto e di un tipo proibito in Occidente, ricordano che l’incidente di Three Miles Island negli Usa non fece vittime, affermano che gli EPR francesi sono affidabili, e che l’uranio, una volta esaurito (fra 40 anni?), potrà venire ricavato dal mare come già fanno i giapponesi, mentre delle scorie si è troppo drammatizzato lo smaltimento o il nascondimento. In ogni caso, solo il nucleare ci può salvare dal caro-petrolio il cui rubinetto è in mano a Paesi come la Libia.

Per contro il premio Nobel Carlo Rubbia consiglia di potenziare la ricerca sulle centrali di quarta generazione - quelle al torio, minerale che possediamo e che, bruciando, lascia poche scorie - coprendo il periodo di saldatura con le energie rinnovabili, soprattutto con quella solare.
Un altro grande scienziato, il chimico Vincenzo Balzani, accademico dei Lincei, fa rilevare che il nucleare fornisce oggi soltanto il 15 per cento dell’energia elettrica mondiale e che nei prossimi anni le centrali atomiche dismesse saranno tre volte di più di quelle attivate, che queste sono talmente costose da non venire costruite da privati (in Francia sono a carico della Difesa), richiedono almeno dieci anni, salvo ritardi, come in Finlandia. Inoltre il problema della sicurezza (il Giappone conferma) non è risolto e nemmeno quello delle scorie. «Un bel rompicapo», ha ammesso un “guru” del nucleare, Richard Garwin. Poi c’è il confine, molto labile, fra nucleare civile e nucleare militare.

Questione di fondo: l’energia in Italia è troppo cara. Per colpa degli idrocarburi? In parte.
Molto di più perché i nostri produttori sono pochi e “fanno cartello” tenendo alti i prezzi. Il solito difetto oligopolistico delle imprese italiane contro cui si batteva decenni fa Luigi Einaudi.

Da controlacrisi.org

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