'Una vertenza permanente contro le morti sul lavoro'
di Anna Maria Bruni
Un altro incidente sul lavoro provocato dalla ricorsa alla produttività, a scapito della sicurezza. Ancora una volta teatro della tragedia è un cantiere del gruppo Fincantieri, quello di Monfalcone, che solo a dicembre scorso aveva visto un altro incidente, dove il lavoratore coinvolto rischia di perdere l’uso delle gambe. E prima ancora altri due incidenti mortali. Tre in soli due anni. Come del resto ad agosto scorso anche a Sestri Ponente, e poi ancora il 1 febbraio, un altro incidente non mortale nello stesso cantiere. E si tratta in tutti i casi di ditte di lavoro in appalto. Proprio come quella di ieri, per conto della quale lavorava Ismail Mia, bengalese, precipitato nel vuoto da una ventina di metri in cima ad una nave in allestimento, a soli 22 anni.
Questa mattina i lavoratori del gruppo hanno sfilato in corteo partendo dallo stabilimento di Panzano dove è morto il ragazzo, ed a loro si è unita la comunità del Bangladesh, in testa i due fratelli della vittima, che insieme alle Rsu del cantiere hanno incontrato il sindaco Gianfranco Pizzolitto. Il primo cittadino ha proposto che il giorno dei funerali del ragazzo sia proclamato il lutto cittadino. Nello stesso giorno dell’incidente, a Roma, ha avuto luogo a Piazza del Colosseo il terzo presidio contro le morti sul lavoro, e per la verità sulla morte di Mohammed Bannour, il lavoratore tunisino morto in un cantiere attivo per lavori di ristrutturazione all’interno dell’Università La Sapienza il 22 dicembre scorso, mentre il grande corteo studentesco sfilava per le periferie della città.
Promotori del presidio, la Rete nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro, nata all’indomani della tragedia della ThyssenKrupp, il Comitato 5 aprile di Roma, e il Comitato immigrati Italia sezione di Roma, che intendono avviare “una campagna permanente – si legge nel comunicato - contro le morti sul lavoro e da lavoro e gli infortuni; le malattie professionali invalidanti, i disastri ambientali e le lavorazioni nocive e pericolose, sia per chi lavora, sia per la salute della cittadinanza”. “Mai più morti sul lavoro in nome del profitto ad ogni costo”, conclude il comunicato, “perché si muore ancora di indifferenza, di nocività e di precarietà”. Precarietà, ecco la grande imputata dell’ “uso indiscriminato del sistema degli appalti”. Su questo puntano il dito i dirigenti Fiom. Il segretario generale Maurizio Landini, sottolineando il “bisogno di aprire una vera e propria vertenza sulla qualità dell’organizzazione del lavoro e sulla sicurezza”, per “introdurre una diver sa cultura e una diversa gestione aziendale”, e Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale che, esprimendo “tutto il nostro dolore, tutta la nostra rabbia e tutta la nostra solidarietà ai familiari e ai colleghi della vittima”, denuncia la “ricerca di una competitività fondata sul degrado del lavoro, sul sistema degli appalti e dei subappalti, sull'intensificazione dei ritmi e dello sfruttamento”, ha sottolineato Cremaschi “mettendo a rischio la sicurezza dei lavoratori, in una ricerca insensata di risultati a breve che spesso si trasforma in tragedie”.
Tragedie di cui l’elenco è interminabile. Dall’Umbria Olii, il 25 novembre 2007, 5 morti, alla Truck Center di Molfetta, il 3 marzo 2008, altri 5 morti o la Saras di Sarroch, Sardegna, il 26 maggio 2009, 3 morti. Queste sono solo le ultime, o forse le più note. Ma si tratta in ogni caso sempre di lavoratori dipendenti di ditte in appalto operanti nell’ambito di questi stabilimenti. Solo a Monfalcone sono 3.000 i lavoratori indiretti contro 1800 lavoratori diretti. Dopo queste tragedie, il dilagare della cassa integrazione quando non della disoccupazione, insieme all’approvazione di un Testo unico che rovescia la gestione della sicurezza, proprio come lo spot, sui lavoratori, hanno calato un velo. Ma le morti sul lavoro hanno continuato ad essere una tragedia quotidiana, sulla quale la denuncia comune che viene dai Comitati come dal sindacato, oggi in piazza in modo unitario, deve tornare a tessere quella rete di protezione che sola può permettere l’uscita da questo tunnel.
Da controlacrisi.org

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