Il Ventunesimo secolo e l’ospite inatteso della Rivoluzione
di Gianluca Graciolini, consigliere comunale Prc Gualdo Tadino
Negli ultimi vent'anni del secolo scorso una vasta letteratura politica, economica, filosofica, morale, finanche religiosa, veicolata, esaltata, diffusa a senso pressochè unico con ogni mezzo di comunicazione disponibile, ha accreditato nel popolo-pubblico l'idea che la storia fosse finita. O meglio che fosse finito per sempre il processo dialettico nella storia dell'uomo e della società: rimaneva sul campo un'unica grande idea, quella del primato del mercato e del profitto, ed un unico destino per l'umanità, quello del progresso sicuro ed immanente solo che si fosse dato libero sfogo alle leggi dell'economia liberista, quasi come se queste fossero direttamente dettate dalla divina Provvidenza.
Con questo gigantesco armamentario ideologico, direi escatologico, ci si è affacciati nella nuova centuria: una sorta di Giubileo secolare e liberatorio, dove il mercato e la globalizzazione liberista hanno preso il posto del dio vendicativo e spaventevole dell'Apocalisse medievale.
Guerre, fame, povertà, violenze, sopraffazioni, rigurgiti di razzismo, fondamentalismi arcaici, diseguaglianze, ingiustizie, sperperi, ladrocini, mortificazioni dei diritti umani, distruzioni dell'ambiente e delle risorse primarie, per quell'idea, sono e restano effetti collaterali che non alterano i benefici della terapia liberista comunque miracolosa e senza alternative di sorta. Chi non ce la fa, siano esse delle persone, delle classi sociali, dei popoli o degli stati è perchè la nuova economia della fine della storia seleziona solo i migliori e, al pari della natura, non si concede di fare prigionieri ma solo vittime, mai martiri, perchè ciò che conta è il risultato che si misura solo con il PIL a valere sugli stati e il rating a valere sulle imprese.
E' la legge del più forte che viene trasferita senza particolari indugi dalla natura all'economia e da questa all'intera società. Se il bellum omnium contra omnes di Hobbes serbò caratteri progressivi perchè tendeva comunque a sollecitare o a giustificare la costituzione delle cosiddette società civili anche sotto forma di monarchie assolute comunque forti di una qualche obbligazione politica definita per contratto, dunque norma, o per adesione, oggi non c'è più nulla di progressivo in questa idea di globalizzazione.
Una società globale giustificata come naturale che si allontana sempre più dall'essere una società di "cultura" dove la centralità dell'uomo, e le sue molteplici dimensioni e prerogative, tendono a perdersi e a smarrirsi.
La dimensione economica della società tende a sopraffare tutte le altre e ci riesce senza particolari sforzi; chi effettivamente detiene la leva del potere e del comando nella dimensione economica sono sempre più soggetti sfuggenti, talemente grandi da rendersi invisibili ma al tempo stesso molto concreti: gli organismi finanziari internazionali, gli speculatori, le grandi centrali bancarie, le multinazionali ecc. ecc..
Questo potere, per quanto globale, non si concede come diffuso e non si presta a farsi controllare o verificare, ma tende ad essere progressivamente oligarchico, impermeabile alle decisioni dei governi nella maggiorparte delle quali si riscontra solo condiscendenza, immobile nel suo divenire sempre più grande ma mobilissimo nelle pratiche di accumulazione del capitale e nella finanziarizzazione pervasiva dell'economia.
La democrazia, in un contesto simile, ha perso granchè del suo significato; le democrazie e i processi costituenti e legislativi perdono di efficacia, la politica, e l'obbligazione politica che lega individui e collettività alle loro società, perde irreversibilmente il primato. Essa continua ad essere potente e ad essere percepita come potente solo quando incarna le idee delle oligarchie economiche dominanti e si regola di conseguenza nelle decisioni concrete o nell'assenza di decisioni, crogiolandosi nel laissez-faire.
La grande crisi, la prima del nuovo secolo, ha fatto vacillare le certezze del liberismo rendendolo infine nudo di fronte allo sguardo agghiacciato di chi questa crisi l'ha subita più di tutti: i popoli e i settori sociali sempre più vasti che ne hanno sperimentato prima ingiustizie e diseguaglianze spaventose infine gli effetti più perversi.
Perversi perchè un sistema che brucia in un solo giorno 350 miliardi di euro o di dollari in borsa è perverso nella sua irrazionalità. Non vi è più, oltre la decenza, neanche la ragione nell'andazzo delle speculazioni finanziarie e dei giochi di monopoli e il presunto primato della razionalità nelle scelte puramente economiche si ribalta esattamente nel suo contrario rendendo il tanto sbandierato homo oeconimicus, l'uomo ad una sola dimensione, il peggior padre di famiglia che si possa immaginare con l'aggravante che la famiglia è in questo caso il mondo intero, così come la mano invisibile del libero mercato, da Provvidenza, diventa molto peggiore del dio vendicativo e spaventevole dell'Antico Testamento quando dispone il diluvio e programma l'Apocalisse.
In mezzo a questo vortice molto terreno ci sono le fabbriche che chiudono, la gente sulla strada, i giovani disoccupati, le famiglie da mantenere, la povertà che cresce e che si diffonde, la precarietà di vita e di lavoro che dilaga e a seconda delle latitudini c'è la gente che continua a morire di fame o a massacrarsi per qualche briciola.
I governi democratici e perbene, al cospetto della crisi, avrebbero dovuto comportarsi di conseguenza attingendo da quello che la storia recente del secolo scorso, ma grattando bene sotto i sedimenti che hanno scolorito le fonti, da ciò che la storia di ogni tempo hanno saputo insegnarci in questi casi: politiche di redistribuzione del reddito, riforme più inclusive del sistema sociale, un nuovo intervento pubblico in economia, allargamento delle basi sociali del potere economico e politico.
Molti governi democratici e perbene non stanno facendo questo ma sembra che stiano cercando una qualche salvezza nella loro stessa salvezza e nella conservazione del loro potere più apparente che reale, più delegato dalle oligarchie economiche, che frutto di un consenso autentico, convinto ed esteso, non estorto dai marchingegni elettorali o dalle tecniche sopraffine di convincimento, nè indotto dagli interventi a garanzia di privilegi e di clientele, dalla composizione dei corporativismi e dalla propaganda.
Quando la preoccupazione per questo stato delle cose è autentica e sentita o anche quando risulta chiaro che gli effetti negativi di questo modello e di questa realtà operante dell'economia globale sopravanzano quelli positivi, non vi è il coraggio nel mettere in campo ipotesi di cambiamento e di riforma, sia essa radicale, graduale o progressiva.
Questo quando va bene ma nel nostro caso, per esempio, abbiamo da una parte Berlusconi, Tremonti e la Lega con tutto il noto corollario e dall'altra le timidezze del PD e le piccole ambizioni dei centristi alla Casini.
Si continua a non disturbare il manovratore ma si prende tempo nella speranza che le cose prima o poi si aggiusteranno: la mano invisibile del libero mercato si ravvederà ed aggiusterà tutto, ad essa non ci sono alternative praticabili, alle sue sorti si legano indissolubilmente ed irreversibilmente le sorti delle classi dirigenti politiche. Questo assunto sembra ancora valere per tutti, almeno in Europa, sia nelle maggioranze che nelle opposizioni da quando la sinistra è diventata poco più che una bandiera.
Nella democrazia del nuovo secolo la giustizia è una chimera, la solidarietà è un'utopia, l'eguaglianza è una zavorra, la libertà, intesa come liberazione dal bisogno, dall'ignoranza, dal dominio, è una iattura, deve far posto alla paura. La paura che non fa ragionare, che rassegna, che imprigiona menti e corpi entro i confini angusti della propria individualità, che rende muti e sudditi delle proprie condizioni materiali e culturali prima che delle condizioni sociali esterne.
L'unica libertà resta quella di consumare di tutto e di più, di far come ti pare nell'ambito del mercato, in quelle relazioni sociali, interpersonali, familiari che il mercato dispone e decide come funzionali a sè, al massimo di votare in competizioni elettorali dove le condizioni di partenza sono sempre meno eguali, dove non ci sono pari opportunità.
Agli albori del nuovo secolo, in questo banchetto mondiale del libero mercato si sono aperte improvvisamente le finestre ed il vento ha sollevato le tovaglie, infranto molti piatti e bicchieri, ha scomposto posate e suppellettili.
Il nostro rinomato provincialismo non ci aveva fatto fin qui vedere che da quel banchetto si sono nel frattempo ritirati molti invitati una volta accortisi che ad essi si riservavano solo briciole quando non delle polpette avvelenate: è il caso dei molti Paesi del Sudamerica che vanno sperimentando riforme economiche e sociali considerate spregiudicate, se non contro-natura, o traiettorie mai battute di rivoluzioni democratiche e popolari che coniugano ed esaltano le libertà politiche e civili con l'eguaglianza e il rispetto dei beni comuni.
Situazioni non condivise, avversate e mal tollerate dall'establishment economico-politico internazionale: non c'era motivo per agitare la solita scusa della soppressione della democrazia, anzi, ad essa queste esperienze hanno finalmente dato vita, non ci si è potuto far niente, le rivolte popolari, quando ci sono state, hanno immediatamente indetto e favorito processi elettorali o costituenti liberi e democratici, se ci sono state le nazionalizzazioni delle materie prime e dei beni comuni e le ripubblicizzazioni dei servizi pubblici essenziali, si è tentato di ridurre il danno favorendo in sordina gli affari di alcune imprese estere e di alcune multinazionali ma alla fine le proteste del Fondo Monetario Internazionale e del WTO hanno dovuto cedere il passo alle ragione di quei popoli e gli interessi di questi hanno infine prevalso su quelli della globalizzazione mercatista, rappresentati dalla politica degli Stati Uniti.
Ma oggi, sta succedendo di più, molto di più. Agli albori del nuovo secolo, più vicino a noi, molto più vicino a noi, nell'Anno del Signore 2011, dagli scantinati popolatissimi che fornivano i cibi e le bevande per quel banchetto mondiale del libero mercato, è giunto un ospite del tutto inatteso ed esso fa tremare tutti perchè è come se fosse uno spettro. E' lo spettro della Rivoluzione.
Già, la Rivoluzione. Ci avevano incantato con la fine della storia ma ecco improvvisamente tornare la Rivoluzione del popolo, dal popolo, per il popolo. Non la guerra santa per Allah voluta da Maometto, non una rivolta al seguito di Allah o dei profeti dell'Islam che i kamikazi votati al martirio invocano prima di farsi esplodere su un aereo zeppo di vittime ignare ed innocenti, non il terrorismo che alimenta le spirali della violenza e della guerra e grazie al quale la guerra per la modernità e la democrazia si giustifica ma la Rivoluzione. Non una guerra seguita agli anatemi degli Imam per le ingiurie sui versetti coranici, non la lotta agli infedeli e al Male assoluto incarnato dall'occidente cristiano o agnostico e secolare ma le domande rivoluzionarie di sempre per pane, lavoro e libertà ed un programma tecnicamente rivoluzionario e laicissimo per delle riforme in senso democratico e socialista e per l'abbattimento di regimi illiberali, corrotti oltre che garanti in patria del nuovo Ordine economico e politico fondato sulla globalizzazione liberista.
La Rivoluzione, questo spettro in carne ed ossa, torna ed invoca a furor di popolo democrazia, libertà politiche e civili effettive, eguaglianza e giustizia sociale. Ovvero il punto più alto della modernità, della nostra storia.
Era inattesa la Rivoluzione tra gli scenari del secolo che si è appena aperto ed il suo arrivo smentisce l'ideologia dominante che voleva la storia finita con la vittoria ed il primato del mercato e del profitto sul lavoro e sull'equità sociale. Come si è visto in Tunisia e come si vede in Egitto, il popolo ha rimosso le sue paure e torna forte, prepotente il convincimento che dalla Rivoluzione non si ha nulla da perdere, fuorchè le proprie catene. E si ha un mondo da guadagnare.
In questo mondo da guadagnare c'è tutta la lezione degli avvenimenti di questi giorni, improvvisi ed imprevisti solo per chi continua a credere e a sperare che i popoli possano sopportare all'infinito ogni sopruso e ogni ingiustizia. In questo mondo da guadagnare c'è la certezza che la storia e il suo cammino non si debbano nè alla Provvidenza nè alla Mano invisibile del mercato, ma riservi ancora delle sorprese di libertà.
In questo mondo da guadagnare c'è una lezione anche per il nostro Paese che non è certo l'Egitto o la Tunisia ma dove altrettanto certamente serve non alzare ogni giorno di più la nostra personale asticella per la sopportazione, non disarmarci moralmente e non rassegnarci al berlusconismo come se, dopo il fascismo, fosse un'altra maledizione divina riservata all'Italia.
Il fattore Rivoluzione era inatteso ma è il benvenuto. Servirà anche a noi, al nostro Paese come termine di paragone, se non altro, come tensione sempre possibile ed imprevedibile. Come sprone a fare meglio e di più sennò non si sa mai. Servirà a far capire che se i diritti della gente vengono continuamente calpestati nel mentre la politica continua a farsi gli affari suoi e le cricche economiche a produrre diseguaglianze paurose pascendosi nei lussi più sfrenati, la gente, alla fine, anche quella italica, può incazzarsi. Incazzarsi per davvero e non basterà più il Grande Fratello, le serate al disco pub, la passeggiata al centro commerciale o le false pensioni di invalidità ad attutirne la portata.
Gianluca Graciolini

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