Uil-Fpl Perugia: "A rischio la conferma del 50% dei precari umbri"
La legge 122/2010 mette a serio rischio la metà dei lavoratori precari impiegati negli enti pubblici dell’Umbria. La normativa ha stabilito che gli enti del Servizio sanitario nazionale e le Regioni, possono avvalersi di personale a tempo determinato – ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa – “solo nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009”.
Un’imposizione che, di fatto, getta ombre sul futuro del 50% dei precari che prestano servizio presso un ente pubblico, che vedono in serio dubbio la propria riconferma. “Pensare di cancellare di punto in bianco le professionalità acquisite nel tempo da questi lavoratori – sottolinea il segretario della Uil-Fpl della Provincia di Perugia, Maurizio Molinari – oltre che creare gravi problemi dal punto di vista occupazionale, rischia di compromettere l’attività di molti enti e aziende, anche alla luce del blocco delle assunzioni e dell’aumento del personale cessato dal servizio”.
Una situazione alla quale si è arrivati per colpa delle amministrazioni pubbliche, che negli ultimi anni hanno abusato dell’utilizzo di forme flessibili di lavoro, senza procedere al contempo a una seria gestione delle politiche del personale in attuazione alla vigente normativa concorsuale.
“Di fatto – sempre Molinari – in molte realtà il personale precario rappresenta ormai una parte importante dell’organico, indispensabile nello svolgere funzioni e servizi dal profilo innovativo e specializzato. Servizi che, senza riconferma dei precari, saranno chiusi o ridotti, mettendo l’utenza in grave difficoltà”. E’ per questo motivo che la Uil-Fpl chiede l’attivazione di procedure di stabilizzazione del personale precario, non solo a tutela dei lavoratori interessati, ma anche a tutela dei servizi ai cittadini. “Infine – afferma Molinari – bisogna evitare che in futuro la pubblica amministrazione generi precarietà. Come Uil-Fpl, sosteniamo che l’assunzione deve avvenire solo attraverso concorso, in quanto il posto di lavoro ‘a chiamata’ nel pubblico impiego lede diritti costituzionali e fa parte del gioco della politica di scambi e pratiche clientelari, spesso senza tener conto del merito”.

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