Il no di Mirafiori dà concretezza all’articolo 41 della Costituzione. E’ un altro passo in direzione della ricostruzione di questo Paese frantumato, che trova spazio fra le voci di Uniticontrolacrisi, sabato e domenica di nuovo insieme a Marghera per proseguire il confronto

di Anna Maria Bruni
C’è un di più che emerge dalle tante analisi che indicano nel referendum di Mirafiori la svolta nelle relazioni tra capitale e lavoro, che non viene affrontato. Esso riguarda la cessione di potere, pur di avere in cambio la pace sociale, illusorio viatico di un possibile sviluppo per il Paese. Questo aspetto non viene messo in luce non solo perché si capirebbe che non c’è in ballo alcuna novità, ma che al contrario siamo in presenza di uno scontro di classe, ma in più forse si farebbe chiarezza sul fatto che i processi storici sono il frutto di dinamiche conflittuali, e che inevitabilmente si è schierati da una parte o dall’altra. E che i “ma anche”, sono l’ultima invenzione per non dire che si è schierati con la parte opposta a quella che si dovrebbe difendere.

Ciò che emerge è invece proprio questo, e prima di tutto dalla politica. Da quella della maggioranza di governo, che si accorda a quella di Marchionne – unica moneta, è il caso di dire, spesa in quella direzione – rivendicando come una giusta politica quella di tenersi fuori dalle scelte imprenditoriali,
a quella dell’ “opposizione”, che con l’ultimo sussulto di vita (ma succede ai moribondi) si divide sul voto di Torino, in modo da doversi poi occupare più che altro degli affari interni. Ma anche la Cgil arriva a questo passaggio senza alcuna capacità di coerenza fra il dire e il fare, se non riesce a dar seguito all’unica naturale conseguenza di un rifiuto che ha superato ogni aspettativa - e persino l’inaspettato voto di Pomigliano - ovvero lo sciopero generale. In questo quadro, anche la Confindustria sembra essere in un empasse che indica il probabile superamento storico segnato dalle future scelte individuali di ogni singola azienda.

Scoccato il quarantesimo anno di frantumazione sociale siamo davvero ai minimi termini. Non c’è politica che sappia dare un’idea di Paese, di coesione sociale, come non c’è tra i sindacati confederali firmatari, ormai convintamene avviati sulla strada della trasformazione in agenzie, come non c’è neanche nell’associazione degli imprenditori, incrinata dalla rottura del patto interno dovuta proprio alla più importante azienda italiana. L’unico sindacato che ha saputo mantenere la barra a dritta sulla necessità di ricostruire il bene comune coniugando lavoro e diritti, e quindi allargando la democrazia, è stato la Fiom. Ma soprattutto, la vera forza è in quel 46 per cento di No dei lavoratori di Mirafiori, perché ha dato seguito a quel bene comune. Con quel voto infatti, quei 2.325 lavoratori sono stati gli unici in Italia, insieme ai lavoratori di Pomigliano che hanno avuto lo stesso coraggio, capaci di mettere in pratica l’articolo 41 della Costituzione italiana, che dice che “l’iniziativa privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”.

Quei lavoratori rappresentano il Paese come dovrebbe essere, unito, coeso, dignitoso e orgoglioso del proprio lavoro e della propria capacità di costruire ricchezza. Il loro atto rimette al centro il tema che si diceva all’inizio, e lo rende inevitabile. La questione della rappresentanza, non costruita su numeri e percentuali, che ancora una volta dovrebbero determinare quella cessione di potere che anche la delega in questi termini impone, ma sulla capacità di dare corpo a quelle voci e coerenza di fatti alle parole. E ad oggi, solo quelle stesse voci, che vengano dalla fabbrica o dai territori, sono capaci di coerenza. Fatto salvo chi, fra le organizzazioni, non ha mai smesso di essere al loro servizio. Saranno proprio quelle voci che prenderanno corpo sabato e domenica a Marghera, al Csoa Rivalta, nella due giorni di “uniticontrolacrisi”, il cartello di forze sociali e della società civile nato con la manifestazione indetta dalla Fiom il 16 ottobre, per mettere un altro mattone nella costruzione di questa nuova casa comune.

 

Da uniticontrolacrisi.org

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