«Sergio Marchionne conosce il simbolismo legato a Mirafiori, e non a caso ha scelto quella fabbrica per la sua "rivoluzione": avrebbe voluto darci un colpo fatale in uno dei luoghi simbolo dei metalmeccanici Cgil. Ma quel 46% di no è la prova che non c'è riuscito, e per giunta nel salotto della Fiat, a Torino. Anzi, rispetto al 36% di no a Pomigliano, ha perso ben 10 punti di consenso». Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom Cgil, analizza gli esiti del referendum e traccia gli scenari in fabbrica già a partire dalle prossime settimane.

I sì hanno vinto, seppur di misura. Come leggete il voto?

Prima e forse più importante del voto, c'è la riapertura di un dialogo che dopo anni ho visto a Mirafiori: quella fabbrica era ancora ferita dalla sconfitta del 1980, e adesso ho visto che è tornata ad avere fiducia in noi. Abbracci, strette di mano, pacche sulle spalle, ci fermavano persino sotto le pensiline del bus per dirci come stavano andando le assemblee. Prima del referendum non era così: c'era indifferenza, per tutto il sindacato, la gente tirava dritto ai cancelli, spesso neanche ti guardava. Adesso le assemblee erano affollatissime, si parlava molto.

Analizzando il voto, i no hanno vinto nei reparti più di fatica.

Senza dubbio ha influito il peggioramento delle condizioni di lavoro imposto da quell'accordo, che si va a scaricare sui reparti di montaggio e lastratura, ma un testa a testa tra i sì e i no in realtà lo vediamo anche in verniciatura. È in linea che la cancellazione della pausa fa più male, dove la mensa non è solo un fatto di civiltà, ma 30 minuti preziosi per far riposare gli arti. Però non è soltanto la condizione di lavoro, ma credo che abbia pesato - e questo lo si vede un po' in tutti i reparti - anche il «metodo Marchionne», l'aver imposto quell'intesa con un ricatto. Infatti il no ha avuto un 30% tra i «pipistrelli», i lavoratori notturni che guadagnano il 60% in più degli altri e sono lì grazie a un accordo con l'azienda: la Fiom non ha neanche un delegato a quel turno.

E la perdita del diritto di sciopero, quella ha contato meno?

Non credo: se per un lavoratore che non sta alla linea il diritto di sciopero è importante, ma resta un principio nobile, per chi sta in linea, con i tempi vincolati a una macchina che non si ferma mai, rappresenta l'unica forma di difesa contro le prepotenze della gerarchia, quando i ritmi imposti e la fatica sono insostenibili, l'ambiente è inquinato o fa troppo caldo o troppo freddo. È l'unico mezzo di resistenza che hanno anche solo quattro o cinque lavoratori, prima ancora che arrivi il sindacato, inscindibile quindi dalle concrete condizioni di lavoro.

Questi sono i no. E invece i sì? Li avete analizzati?

Certo, e innanzitutto vanno «depurati» del voto di quasi tutti gli impiegati. In realtà i famosi 440 «impiegati» non sono tutti classici colletti bianchi, ma ben 300 sono capi Ute, cioè pura gerarchia aziendale, e altri 40 sono responsabili delle relazioni sindacali, i cosiddetti «vaselina»: hanno un salario diverso, con indennità e paghe di mandato, a loro non frega nulla di uno straordinario in più o del diritto di sciopero. Per il resto, molti sì io li definisco «coraggiosi», perché sono stati di persone che conoscevano la propria condizione e la propria paura, e che te ne spiegavano i motivi, magari piangendo: capifamiglia con il mutuo, madri separate. Era gente incazzata, che ha dovuto votare sì per forza.

Anche iscritti alla Fiom?

Ma certo, come tantissimi «non Fiom» hanno votato no: noi abbiamo 700 iscritti a Mirafiori, e i no sono stati oltre 2300.

E adesso cosa farete? L'accordo vi esclude come sindacato.

Ci sono ancora le Rsu, e contro la furbizia della newco agiamo anche per vie legali. Abbiamo sempre gli iscritti. Possiamo raggiungere un migliaio di lavoratori con gli sms e mettere tre postazioni mobili giorno e notte davanti ai cancelli. Dobbiamo ringraziare i nostri 27 esperti e delegati, e i 190 lavoratori che hanno formato il comitato del no, sono la nostra prima presenza fabbrica. Ricordiamo adesso lo sciopero del 28, e il messaggio che da Mirafiori parla a tutte le altre imprese: ci pensino due volte prima di imitare Marchionne.

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