Passando davanti al collegio delle Orsoline, a Terni, nella zona dell'oratorio di San Francesco, non si può non ricordare la curiosità che muoveva i giovani studenti del vicino liceo verso questa palazzina piena di ragazze attentamente sorvegliate da suore scrupolosissime e intransigenti. Così era, almeno negli anni sessanta quando la divisione tra i generi era fortemente praticata e i campionati studenteschi di atletica si svolgevano separatamente al vecchio stadio di viale Brin, con le ragazze che gareggiavano a porte chiuse. Ai maschi. Sembra ieri, ma è passato mezzo secolo, per fortuna. Nel vicino oratorio dei salesiani c'era una squadra fortissima che giocava nel campionato umbro dei dilettanti e che aveva visto crescere i tre fratelli Bandini, due portieri che giocheranno in serie A, come il più giovane, Giuliano, una mezza punta dai piedi vellutati, ma un po' lento. Questa squadra era la "Bosico" e aveva una linea mediana insuperabile che si recitava a memoria, come una filastrocca: Trecento Bambini Ricci, senza virgola, così, tutta d'un fiato. Quella squadra, nata dentro il campetto dell'oratorio, era un coacervo di culture, classi sociali, storie personali straordinariamente ricco.

Il collegio delle Orsoline era una fortezza inespugnabile ma anche un villino delizioso con il suo giardino attorno e le altre case a due o tre piani, a due passi da corso Tacito. Era una testimonianza cattolica al centro di una zona borghese al centro di una città operaia. Ora non c'è più. Al suo posto c'è una specie di grattacielo non così alto come un grattacielo ma abbastanza per farlo sembrare tale, vicino al campanile della chiesa di San Francesco, la più bella della città. Pare che per costruirlo siano state abbattute le mura storiche scampate ai bombardamenti dell'ultima guerra e poi anche le resistenze delle famiglie che avevano a suo tempo donato alla Chiesa quel terreno affinché si potesse realizzare il collegio delle suore e che non avevano gradito il cambio, diciamo, di destinazione d'uso di qualche anno fa. Così oggi chi passa all'ombra di questo monumento al mattone facile non può che pensare alla Curia, alle sue opere di bene e al suo vescovo, l'amatissimo Vincenzo Paglia e dimenticare, una volta per tutte, le giovani studentesse delle Orsoline.

Pochi lo dicono apertamente a Terni ma molti, comunque, lo pensano. E' lui, il monsignore, il vero presidente di quel grande condominio che è una città, presidente spirituale di sicuro, ma anche qualcosa di più. Più del Sindaco, del capo delle acciaierie e, figuriamoci, della squadra di calcio che non passa nei campi di serie A da quarant'anni o del direttore generale dell'ospedale, l'unica vera fabbrica oggi a Terni che produca e moltiplichi posti di lavoro e, di conseguenza, potere. Vincenzo Paglia è il vescovo degli operai (messe a Natale in tutte le fabbriche), dei muratori, dei medici e degli infermieri, di tutti, insomma, com'è naturale che sia. E' il principe dei media, scrive sciolto come un giornalista e parla come un prete colto qual è, senza il paternalismo di Don Gelmini e con l'accento giusto di un grande seduttore. Era arrivato a Terni, città operaia, con la fama di chi capisce le questioni sociali meglio dei suoi predecessori, così algidi e aristocratici, alla Pio XII, e ha mantenuto le promesse. Dentro la società e in mezzo ai fedeli, anche a chi, alla fin fine, non gradisce. E' il vescovo della contaminazione e, per questo, il più ecumenico. Piace a tutti monsignor Paglia, figuriamoci ai politici al tempo dei partiti liquidi e delle ideologie svaporate. E' per questo che, appena apre bocca, si allineano come tanti diligenti apprendisti chierichetti. Servono tutti la stessa messa, anche lì dove non sarebbe obbligatorio, persino nelle istituzioni dove dovrebbe regnare il principio dell'autonomia e della laicità.

Adesso poi che torna il Papa ad Assisi c'è da lavorare sodo. Questa storia, già vecchia di diversi anni e risolta nell'unico modo possibile, appunto, diversi anni fa, ora viene ossessivamente riproposta. Nello Statuto della Regione dell'Umbria manca un riferimento a San Francesco e a San Benedetto e questo vuoto rischierebbe di compromettere, secondo monsignor Paglia, anche l'identità dell'intera comunità regionale. Parole impegnative e altamente discutibili che rischiano, alla fine, di riaccendere dispute vecchie e superate persino in una città dalla carta d'identità fortemente anticlericale come Perugia. Chissà a Terni. Certo, non conosciamo l'opinione dei due diretti interessati, ma di sicuro i fedeli di Santa Rita potrebbero averne a male e così i ternani giustamente orgogliosi del loro San Valentino. Perché San Valentino no? Neanche nella Costituzione della Repubblica italiana c'è un riferimento a San Francesco che pure è patrono d'Italia. Monsignor Paglia vuol chiedere anche la revisione della Costituzione italiana? L'Umbria ha un'identità forte e dentro questa identità forte ha un posto grandissimo il pensiero dei suoi santi, ma non solo. Ecco, non solo. Se dobbiamo davvero rifarci allo "spirito di Assisi", anche se non è obbligatorio per tutti, dovremmo capire che ad Assisi verrà celebrata la più laica delle messe e, per questo, la più cristiana perché quella di Assisi è la messa che parla a tutti, alle mille diversità del mondo. Il Vescovo di Terni queste cose le conosce meglio di qualunque altro così come conosce le sue pecorelle smarrite alle prese con le miserie della politica, i cento capi corrente dei tanti partiti senza più popolo, ormai, alla ricerca di una legittimazione democratica che non riesce a soddisfare neanche il rito quinquennale delle elezioni. Speriamo che per loro, tutto questo, non sia soltanto, alla fine, un semplice fuoco di Paglia.

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