Anna Cealti* Sabrina Scuttari*
Che l'offensiva sferrata da Marchionne contro i lavoratori della Fiat fosse un modello esportabile è apparso subito chiaro a chiunque avesse la mente libera da pulsioni centriste.
In occasione del rinnovo del Ccnl del commercio è ormai consuetudine che, oltre alle organizzazioni sindacali di categoria, anche l'associazione datoriale presenti la sua piattaforma il cui obiettivo, per questa tornata, è il contenimento del costo del rinnovo entro il 4,51%. Per il raggiungimento di tale obiettivo, Confcommercio propone la riduzione delle ferie a quattro settimane, la riduzione dei permessi che ad oggi permettono di effettuare un orario settimanale di 38 ore, col ripristino delle 40 ore a parità di salario, la riduzione dei costi derivanti da scatti di anzianità e altri automatismi e, ovviamente, in nome del contrasto all'assenteismo, il non pagamento dei primi tre giorni di malattia.
Non possiamo non notare il comportamento contraddittorio di Confcommercio che, se da un lato, per poter incrementare le vendite, sollecita una riduzione della pressione fiscale, dall'altro, con le misure richieste, di fatto riduce il personale comprimendo la capacità di spesa di una parte di popolazione. Invece di preoccuparsi dell'eccessivo incremento di aperture di nuovi punti vendita al di sopra del fabbisogno del bacino di utenza che determina difficoltà per tutti, non si trova di meglio che penalizzare i lavoratori con la ricetta: più carichi di lavoro, meno salario, meno diritti. Infatti, per non farsi mancare nulla, la controparte prevede anche la diminuzione dei diritti sindacali "razionalizzando" permessi e rappresentanza. Del resto che Confcommercio giudicasse superfluo il ruolo del sindacato si era già capito tre anni fa quando concesse un ridicolo aumento salariale in maniera unilaterale proprio per delegittimare chi stava dall'altra parte del tavolo.
Il percorso per il rinnovo contrattuale è ancora più in salita se si considera che Cisl e Uil potrebbero firmare qualsiasi cosa in qualsiasi momento come già fecero nel 2008. Quell'accordo separato sanciva una percentuale di obbligatorietà del lavoro festivo, fino ad allora facoltativo, e l'aumento dell'orario settimanale per gli apprendisti che andava a compensare in parte l'aumento contrattuale degli altri lavoratori. Questa vergognosa operazione fu accettata l'anno successivo anche dalla Filcams-Cgil in cambio di una generica dichiarazione d'intenti di Confcommercio per fronteggiare congiuntamente eventuali situazioni di crisi. Parole in cambio di diritti certi. Il segretario Martini, nelle motivazioni che scrisse per l'apposizione della firma, dichiarò che questi aspetti negativi sarebbero stati recuperati nel prossimo rinnovo contrattuale e che tutto sommato i lavoratori apprendisti erano in numero esiguo.
Queste dichiarazioni "singolari" vengono smentite oggi, come era facilmente prevedibile, dalle richieste dell'associazione datoriale che rendono anche evidente l'inopportunità dell'accettazione di quell'accordo peraltro sottoposto a referendum e approvato a larga maggioranza. Peccato che i lavoratori abbiano dovuto decidere nello spazio di un'ora di assemblea spesso condotta senza contradditorio. Quando si ricorre giustamente a forme di democrazia occorre che le medesime non siano di facciata specialmente in casa Cgil. Sedersi oggi a quel tavolo di trattativa senza pretendere la rimozione in toto delle pregiudiziali poste da Confcommercio può dare un segnale pericoloso di cedimento che non possiamo permetterci.
Sta principalmente in capo ai lavoratori, unitamente alla società civile, reagire fattivamente alle derive di ogni genere indotte dalle politiche liberiste delle destre. L'emarginazione del lavoro subalterno dalla sua rappresentanza sociale e politica è il presupposto per un decisivo attacco alla nostra democrazia, ecco perché la saldatura delle lotte è quanto mai necessaria e cogente e lo sciopero generale deve rappresentarne l'avvio.
Ci rendiamo conto di appartenere ad una categoria debole, scarsamente sindacalizzata, in cui il lavoro frammentato, le differenze salariali, la dilagante precarietà riducono in maniera significativa il potenziale di lotta, ma è altrettanto vero che se siamo giunti a questo punto non è per maledizione divina, ma grazie ad un trentennale di moderazione politica e sindacale capace solo di ripiegamenti che rappresentano già di per sé una sconfitta.
La lotta che strenuamente sta portando avanti la Fiom per la difesa del contratto nazionale e della funzione del sindacato deve diventare la lotta di tutti e deve costituire la linea di demarcazione, senza più commistioni tra chi difende le politiche mercatiste e chi invece crede nella piena attuazione del dettato costituzionale che non riconosce il primato dell'impresa né tantomeno lo sdoganamento del servaggio.
*Rsu Ipersmply Viadana (Mn)
 

Condividi