È imminente la consultazione degli operai di Mirafiori attorno al futuro contratto della newco che subentrerà nella gestione dell'impianto di Torino. Forti del «successo» di Pomigliano, anche a Torino il contenuto del contratto a venire è noto: Si impone il diritto a condurre una condotta illecita sotto la melliflua denominazione di «clausola di responsabilità». In realtà ci si trova innanzi ad una sorta di condotta antisindacale annunciata, degna della migliore audacia corporativa. E infatti qualora i sindacati o addirittura i singoli lavoratori agissero un diritto costituzionalmente presidiato quale quello fondamentale, individuale e indisponibile di scioperare, ebbene il datore di lavoro preannuncia che violerà il corpus dei diritti sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori in materia di contributi e permessi sindacali.

Si abbattono le pause fruite all'interno del turno a fronte di una fantomatica «riorganizzazione ergonomica della produzione». Occorre evidenziare come all'interno dell'accordo da nessuna parte è rinvenibile alcuna misura sanzionatoria a carico dell'azienda in caso non fosse «responsabile» e quindi non rispettasse gli impegni quali gli investimenti promessi oppure l'effettività di presunte «soluzioni ergonomiche migliorative». Viene tagliata la retribuzione per i neoassunti attraverso il «congelamento» e l'accorpamento in un superminimo non assorbibile di importanti voci della retribuzione aventi peraltro carattere indennitario, a lenire il disagio di mansioni particolarmente gravose.

Non vengono pagati i primi due giorni di malattia qualora essa sopraggiunga in prossimità di una festività, in nome di una farneticante lotta all'assenteismo. Come se non esistessero oggi misure volte a verificare l'effettività dell'evento morboso. Vengono introdotti turni di lavoro forsennati per garantire la produzione 24 ore attraverso la possibilità di imporre numerose ore di lavoro straordinario (200 di cui 120 comandabili
unilateralmente dall'azienda). Conseguentemente viene imposta la pausa mensa a fine turno, che sommata alla drastica riduzione delle pause fisiologiche durante il turno, impongono turni continuativi di circa 10 ore articolati in fasce alternate di mattina, pomeriggio e sera che davvero non si discostano da cupi scenari ottocenteschi. Con buona pace della sicurezza sul lavoro assicurata dalle fantastiche misure ergonomiche sopra richiamate. Ci si dice che tale assetto viene imposto, con un vero e proprio ricatto (o l'accetti o salti dalla
finestra), al fine di incidere sul costo del lavoro e rendere maggiormente performanti i profili di competitività internazionale.

Si tralascia l'ovvio, ovvero che il costo del lavoro incide in forma davvero modesta sul costo di produzione complessiva (lo stesso Marchionne in tempi non sospetti asseriva che esso incideva non più del 7-8 %) e che la competitività si gioca sul terreno dell'innovazione (terreno dove la nostra imprenditoria spicca negativamente nel panorama internazionale). Con tutta evidenza la partita che si gioca è un'altra: ridislocare i
rapporti di forza utilizzando le spinte demagogiche che la crisi evoca e, al contempo, scaricare sui lavoratori, sui precari e sui giovani (la cerniera con la riforma universitaria è d'obbligo) i costi sociali che ne derivano. Siamo davanti a un vero e proprio manifesto ideologico incentrato sull'esercizio di un potere che si fa vanto dell'assenza di limiti. Sui corpi, sulla vita. Di qui la sua portata «generale».

Superato il noto, vale la pena evidenziare come l'operazione predisposta dall'amministratore delegato del lingotto passi attraverso un referendum. Cosa interessante, vista la naturale allergia che datori e sindacati concertativi hanno sempre sofferto verso forme di consultazione diretta. Evidentemente in questo caso, la minaccia di perdere il posto se in dissenso, priva (nelle previsioni) dell'antipatico rischio che consegue le consultazioni: perdere. In ogni caso il referendum è illegittimo in quanto implica la possibilità di rinunciare a diritti indisponibili.

L'indisponibilità di un diritto riguarda la impossibilità di agire sul momento funzionale dello stesso ovvero il titolare (o terzi ovviamente) del diritto non può disporne anche volendo, proprio perché innanzi a determinati diritti capostipite l'ordinamento li ritiene rilevanti per la collettività e quindi intende tutelare anche un interesse generale (ancorché personale) e quindi rilevante per la collettività.

L'indisponibilità risulta da espresse previsioni normative (per esempio i diritti previdenziali, il diritto alla sicurezza sul lavoro, il diritto al riposo settimanale a alle ferie annuali) o emerge dalla natura stessa del diritto che manifestamente intende tutelare un interesse superiore come nei casi di: diritto di sciopero: peculiare strumento attraverso il quale è possibile agire per realizzare l'uguaglianza sostanziale tra cittadini prevista dal secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione quale base del nostro ordinamento nonché per tutelare l'interesse economico e sociale del lavoratore; diritto alla retribuzione equa e sufficiente: è fondamentale che ogni essere umano possa condurre un'esistenza libera e dignitosa. L'accordo a cui viene forzatamente chiesto di aderire mette a repentaglio l'intera gamma dei diritti indisponibili.

Ciò non solo calpesta anni di relazioni industriali, non solo attenta a diritti di rango costituzionale ma - producendo i suoi effetti su diritti «rilevanti per la collettività» - mette a repentaglio un interesse generale di tenuta del nostro ordinamento democratico.

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