Per il lavoro,i diritti e la libertà:con le ragioni della FIOM, anche Prc Gualdo
GUALDO TADINO - Le vicende degli accordi imposti alle lavoratrici e ai lavoratori di Pomigliano e di Mirafiori dal diktat della FIAT e grazie allo spregevole ed odioso ricatto del lavoro costituiscono degli spartiacque nella civiltà giuridica dell’economia e del lavoro del nostro Paese e meritano di essere considerate delle vere e proprie questioni nazionali cruciali per le sorti dei diritti del lavoro in Italia.
Viste le premesse e considerate le prese di posizione di vasti settori della politica, dell’imprenditoria e del sindacalismo, tutte protese ad accordare meriti alle posizioni della FIAT e ad assecondarne le volontà, il rischio che il modello Marchionne prenda piede e si estenda all’intero sistema delle relazioni industriali in Italia è concreto e foriero di un’ulteriore regressione civile, culturale e materiale del nostro Paese così come di un’ulteriore freno alla crescita economica reale e tale da garantire eguale ed equilibrato benessere sociale.
Il diktat della FIAT prevede che non vi saranno più rappresentanze elette dei e dai lavoratori, ma solo nominate dai sindacati che firmano l’accordo, e che i lavoratori che scioperino anche contro un solo aspetto dell’accordo possano essere licenziati. Si impedisce agli operai di votare, le Rsu non esistono più. Si ritorna alle Rsa (rappresentanze sindacali d'azienda), con quote paritetiche tra i sindacati firmatari che nominano direttamente i loro terminali in fabbrica, 15 a organizzazione.
Il diktat della FIAT prevede inoltre la riduzione delle pause, lo spostamento o la soppressione della mensa, l’imposizione di lavorare su turni di 10 ore più una di straordinario, la soppressione del diritto allo sciopero e alla malattia, per portare a casa, se va bene e non si è in cassa integrazione, 1.300 euro al mese. Lo stesso diktat è stato sottoposto a referendum che dovrebbe essere uno strumento democratico in cui le persone possano dire la loro su un tema che li riguardi direttamente. Imporre lo strumento del voto perché si accetti di non poter votare mai più è un gigantesco imbroglio, che si trasforma in un odioso ricatto nel momento in cui la formulazione del quesito referendario suona così: accetti di rinunciare ai tuoi diritti, compreso quello di ammalarti, scioperare, persino mangiare se la domanda di automobili dovesse schizzare in alto, eleggere i tuoi rappresentanti sindacali, in cambio della salvezza del posto di lavoro?
Queste misure costituiscono nel loro insieme un quadro di soppressione e di sospensione sine die, quasi extraterritoriale e senz’altro extragiuridica, dei diritti che negli oltre sessant’anni di vita della Repubblica non era stato mai ventilato, neppure in via ipotetica, neppure dalle forze più retrive della politica e dell’imprenditoria. Per trovare un precedente bisogna risalire agli anni del fascismo. Per ritrovare un analogo al diktat marchionnesco bisogna infatti risalire al 2 ottobre 1925, al diktat di Palazzo Vidoni con cui Mussolini, il padronato e i sindacati fascisti firmavano la cancellazione delle “Commissioni Interne”, sostituite dai “fiduciari” di regime (equivalente “sindacale” dei capocaseggiato).
La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una Paese in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di un processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica svela gli intenti dei promotori e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi.
Noi crediamo che, al contrario, di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro debba esservi una risposta corale, generalizzata ed all’altezza di queste sfide. Bisogna restituire centralità politica al lavoro e riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee e nell’azione stessa delle pubbliche amministrazioni locali. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora e le aspirazioni di quelle che un lavoro non ce l’hanno o ce l’hanno precario deve diventare la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
Questo sul piano etico-giuridico. Sul piano dell’economia, quindici anni di ideologia e di pratica della precarietà del lavoro, di una sua deregulation e della rincorsa esclusiva alla riduzione del suo costo che hanno infine determinato la crisi virulenta dell’economia e l’impoverimento di vaste porzioni della società, sembra che non abbiano insegnato niente alle classi dirigenti economiche, politiche e anche sindacali del nostro Paese. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi. I dati delle vendite della FIAT e quelli redatti da ogni agenzia pubblica o privata, nazionale o internazionale, di indagine e di ricerca che riguardano l’economia dell’intero sistema Paese sono a questo proposito impietosi.
E’ per questo che noi crediamo che uno dei più importanti presidi della democrazia italiana, la FIOM-CGIL, abbia fatto bene a proclamare lo sciopero generale della categoria per il prossimo 28 gennaio. La FIOM, come qualcuno vorrebbe scambiando i propri desideri con la realtà, non è solo. Alle ragioni del suo sciopero hanno già aderito i movimenti degli studenti che si battono contro i tagli del governo alla scuola pubblica e la controriforma dell’Università così come le centinaia di comitati di lavoratori precari sparsi qui e là per l’Italia, solo per parlare dei soggetti più significativi.
Quello del 28 gennaio sarà uno sciopero per i diritti dentro e fuori i luoghi di lavoro. Non è accettabile lo scambio lavoro-diritti che la Fiat di Marchionne vuole imporre e che questo Governo e la Confindustria considerano come modello generale da estendere a tutto il mondo del lavoro. Con esso si rifiuta la logica per cui si è tutti precari, per tutta la vita, perché il lavoro è solo un costo e non invece il valore che si dà all’operare collettivo e individuale per contribuire al miglioramento sociale.
La sinistra per Gualdo vuole che delle ragioni della FIOM si parli anche a Gualdo, nel consiglio comunale cittadino e domani depositeremo un Ordine del Giorno da discutere nella seduta precedente alla data dello sciopero e delle manifestazioni ad esso collegate anche a livello regionale cui chiediamo che anche il Comune di Gualdo partecipi con una sua rappresentanza ufficiale ed il suo Gonfalone.. Non ci aspettiamo certo il miracolo del sostegno alle nostre valutazioni e al nostro invito a sposare le ragioni della FIOM da parte di quelle stesse forze politiche che si sono affrettate a prender per buone quelle di Marchionne al solo loro annuncio e senza neanche prendersi la briga di conoscerle nel dettaglio, comprenderne gli effetti sulla vita delle persone che lavorano, senza gli approfondimenti necessari sotto il profilo dei fondamenti giuridici e delle aspettative economiche, solo perché schierarsi con manager e padroni fa “new”, anche se è sempre meno trendy, di questi tempi. Ma ci aspettiamo che su temi fondamentali per la civiltà del nostro Paese e decisivi per il suo futuro vi sia quel confronto pubblico necessario a fare della questione del lavoro e dei suoi diritti una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell'impegno politico e civile.
L’essere condannati alla barbarie necessita quantomeno di parlarne. Senz’altro in tutti i luoghi della democrazia che ancora animano questo nostro Paese, compreso il Consiglio comunale di Gualdo Tadino.
Il Capogruppo
PRC – la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

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