La Cgil che vogliamo/Podda: “Mirafiori è uno spartiacque senza precedenti"
di Antonio Torrelli - Perugia – “La sfida più grande degli ultimi trent’anni”. Da questa considerazione parte la riflessione di Podda, che, dalla sala Conti della Cgil Umbria, fa il punto sul caso Mirafiori e sul referndum dei metalmeccanici della Fiat. Un elemento che negli ultimi giorni ha messo in crisi la Cgil sia a livello nazionale che locale.
C’è una parte che vuole il “No” ed è la Fiom, c’è ne un’altra che, oltre al "No", paventa l’ormai famosa “firma tecnica” lanciata dal segretario Susanna Camusso e da tutti i vertici regionali. E c’è ne un’altra ancora, quella della minoranza della Camera del Lavoro, che vuole maggiore responsabilità da parte di tutta l’organizzazione sindacale, ma che, come nel caso di Carlo Podda, non considera il referendum l’unico strumento per combattere il modello Marchionne e il rischio che questo dilaghi in tutti i settori industriali nel panorama nazionale.
“Non è del tutto liberale caricare sulle spalle degli operai di Mirafiori il destino di un intero Paese -afferma Podda- anche se noi, ovviamente, ci auguriamo che le urne confermino il ‘No’”.
Come se lo augura anche quella parte che comunque si dice pronta ad apporre la “firma tecnica”.
“Sinceramente non so cosa voglia dire l’espressione 'firma tecnica' –continua Podda- perché una linea o la si appoggia o non la si appoggia”.
Senza vie di mezzo fuorvianti. Soprattutto di fronte ad uno spartiacque per tutto il mondo del lavoro, che, oltretutto, “riceve l’assordante silenzio-assenso da parte del governo indirizzato a favore del progetto di Marchionne”, aggiunge il nazionale de “La Cgil che vogliamo”. Che si somma, poi, alla mancanza totale di una politica industriale che favorisce lo sviluppo di quelle condizioni socio-economiche che, come nel caso di Marchionne, inducono a voler ottenere “carta bianca” nei confronti dei metalmeccanici.
“C’è il rischio -conclude Podda- che, in caso di sconfitta del referendum, potremo trovarci di fronte ad un futuro costellato di rovine con cui dovranno fare i conti le giovani generazioni e, cosa non indifferente, a condizioni di lavoro antidemocratiche come è già accaduto in Serbia, dove lo stesso Marchionne ha investito e dove lo stesso Marchionne ha deciso di licenziare gli unici tre rappresentanti sindacali esistenti”.

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