L’Umbria può fare la sua parte nel rilancio del sistema pubblico come bene comune
Nella nostra regione la gestione pubblica dei servizi sta conoscendo
un momento di difficoltà, in parte a causa della congiuntura economica,
in parte a causa del quadro preoccupante che scaturisce dalle indagini
dell’autorità giudiziaria sul sistema di gestione degli appalti e dei
posti di lavoro nella Asl n. 3 dell’Umbria. La crisi economica e
finanziaria, che in Umbria ha colpito pesantemente l’apparato
produttivo e l’occupazione, ha obbligato le istituzioni a convogliare
le risorse per il sostegno alle imprese per tamponare con gli
ammortizzatori sociali i pesanti effetti sul mercato del lavoro,
evitando così un tracollo nei già magri bilanci delle famiglie umbre,
penalizzati da un decennio da una media delle retribuzioni del 10%
inferiore rispetto a quella del Centro – Nord.
Alla crisi si è aggiunta, poi, l’incapacità del governo Berlusconi di
predisporre politiche in grado di rilanciare lo sviluppo e i consumi e
una manovra finanziaria - quella del luglio scorso - che praticamente
smantella il modello di gestione pubblica dei servizi delle regioni e
degli enti locali, azzerando per il triennio 2011 – 2013 i
trasferimenti statali ex Bassanini in settori fondamentali come le
opere pubbliche, la viabilità e i trasporti, la sanità e le politiche
sociali, l’edilizia residenziale, le politiche a sostegno
dell’industria, dell’artigianato e del lavoro.
Questi elementi di criticità ci spingono ad interrogarci sul ruolo del
pubblico nella gestione di servizi e funzioni fondamentali per la
comunità, anche alla luce delle distorsioni palesate dalle indagini
giudiziarie su importanti pezzi del sistema sanitario regionale. Al di
là delle responsabilità penali, quello che rileva è uno scivolamento
della gestione dell’interesse pubblico verso pratiche clientelari e
favoritismi di consorterie politiche a fini elettorali che non fanno
certo bene all’immagine della pubblica amministrazione regionale.
La sfida che abbiamo di fronte, allora, è quella di riqualificare il
sistema pubblico, evitando di strumentalizzare le difficoltà attuali
nella direzione dello smantellamento del sistema pubblico a favore di
elementi di privatizzazione dei servizi. Quello che non ha funzionato,
infatti, oltre alla privatizzazione, è il tentativo attuato di
aziendalizzare il sistema pubblico e di conformarlo ai modelli
privatistici. Un percorso tutt’ora in divenire, grazie ai provvedimenti
del Ministro Brunetta. Occorre invece costruire un sistema pubblico che
adotti il coinvolgimento dei cittadini e la partecipazione e il
controllo dal basso come elementi centrali del funzionamento del
sistema. Il pubblico e i servizi gestiti dal pubblico devono diventare
beni comuni e devono essere sempre più oggetto di “buone pratiche”,
fondate non solo sulla “customer satisfaction” e sul risarcimento in
caso di disservizi, ma proprio su meccanismi reali di partecipazione e
di controllo da parte degli utenti.
L’acqua, la salute, l’ambiente e il sapere (formazione e scuola) devono
essere vissuti dalla politica e dall’amministrazione come “beni comuni”
da difendere e tutelare. Ma anche il lavoro, elemento cardine della
nostra Costituzione, deve essere visto come bene comune dalle
istituzioni, a partire da quelle locali, visto che il governo nazionale
va in tutt’altra direzione, come dimostra la recente approvazione
dell’arbitrato nel “collegato lavoro”. L’Umbria può fare allora la sua
parte nella riqualificazione e nel rilancio dell’idea di “pubblico” con
una serie di provvedimenti importanti per rilanciare l’economia e
l’occupazione: un Piano regionale per il lavoro, l’istituzione del
reddito sociale, un provvedimento che disincentivi le delocalizzazioni
di impianti industriali fuori dall’Umbria. Ripartiamo dai nostri
territori per rilanciare la tematica dei “beni comuni” e allarghiamo
poi all’intera Italia mediana una politica di valorizzazione del
pubblico come difesa di un modello sociale equo ed efficiente rispetto
agli attacchi del federalismo egoista di stampo leghista.

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