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A fronte di una politica che forse è mai stata così lontana dai bisogni veri del paese, che ogni giorno offre un’immagine di sé che definire vergognosa è essere garbati, ancor più di fronte a una crisi economica che non accenna a mollare la morsa se non in misura scarsa e saltuaria, vedo nel lavoro e nell’impresa l’unica forza morale sopravvissuta. Sia l’uno sia l’altra non sono purtroppo delle certezze in questo momento storico: le imprese sono spesso costrette a chiudere e il lavoro si perde con facilità e nell’indifferenza. Essi sono, però, l’unica speranza di riscatto che sembra essere ancora alla portata di tutti. L’impresa e l’imprendere sono state per anni maltrattati e perfino offese. La stessa politica ha frequentemente indicato nell’impresa una sorta di male necessario, uno scotto da pagare al progresso economico occidentale, sull’altare del consumo e del benessere. La burocrazia ne ha fatto, pur in nome di regole e norme per lo più giuste nei principi, il proprio pungi ball, un terreno su cui anziché cooperare per crescere si è preferito contrapporsi per infantili puntigli o, peggio, “misurare” il proprio potere, fino a farne oggetto di concussione e, sicuramente, stolta corruzione. Oggi la crisi ha fatto riemergere il valore significativo dell’imprenditorialità e del lavoro, con tutti i loro connotati importanti: investimenti, ricerca, innovazione, formazione, crescita. Spesso l’impresa è la sola a garantire di essere argine sociale al declino che ci minaccia. L’impresa sarà addirittura lo strumento ideale di ritorno a un pianeta più salubre e sicuro, per via di quella che sarà ricordata come rivoluzione della green economy. Attraverso la crisi abbiamo potuto vedere come si debba restituire legittimità al lavoro fatto con le mani e a tutto ciò che sta dietro a questi gesti, spesso antichi, ma che si sono via via aggiornati e che necessitano sempre più d’innovazione per potersi propagare e sviluppare, specie in un mercato globale. E’ paradossale però osservare come tutto ciò sia valorizzato con estrema difficoltà. Tra gli imprenditori, tra la gente del fare e del lavoro, ci sono anche tantissimi intellettuali che hanno preferito dedicare le proprie energie creative al produrre piuttosto che restituirle in impieghi pubblici sicuri e lontani dai comuni rischi dell’impresa. Un patrimonio di saperi che non sembra neppure essere l’oggetto di politiche precise e dedicate da parte di chi ci governa: difficilmente nel nostro paese si può leggere un documento di politiche industriali che sia degno di questo nome; un peccato capitale. Un altro peccato mortale è l’indifferenza con cui si guarda ai giovani. Spesso liquidati come “casinari”, discotecari, irresponsabili li andiamo solo a “compatire” quando elogiamo il lavoro svolto da coloro, specie i volontari, che operano nelle sacche di disagio e nel mondo della droga. Ci dimentichiamo però di tutti quei giovani che invece crescono, maturano, studiano e lavorano sotto i nostri occhi. Coloro che ci daranno idee e nuove forze per conoscere, progettare e plasmare il futuro. L’unica risposta che siamo stati in grado di dare a questa vitale e importantissima parte della popolazione è che la loro disoccupazione è salita al 30%, facendo crollare le loro speranze e i loro progetti. Dimenticandoci che senza di loro tutti noi saremmo finiti e falliti. Una politica per il lavoro dei giovani è essenziale al progresso, in qualsiasi condizione economica: un tema che non pare però interessare i politici impegnati a litigare tra loro, all’interno di ogni formazione oggi in campo nel nostro paese. Un tema che, insieme alla questione della bassa produttività, dello squilibrio fiscale tra prelievo eccessivo e grandi evasori, dell’impoverimento del capitale umano, dell’arretratezza tecnologica dovrebbe invece focalizzare l’attenzione di chiunque abbia responsabilità di governo. La nostra regione soffre ancora in grande parte le sferzate della crisi; spesso le imprese non ce la fanno e l’impressione che se ne ricava è che la consapevolezza di ciò, in un territorio che vede un altissimo numero di pensionati e di lavoratori della pubblica amministrazione, sia ancora troppo lontana. In un quadro così preoccupante gli ormai classici temi dell’isolamento infrastrutturale e della semplificazione assumono connotati ben più forti e urgenti. Un robusto punto di fiducia viene dalla recente proposta che la Presidente Marini ha illustrato alle forze sociali, quella che è stata chiamata “Alleanza per l’Umbria”. La definizione stessa è ricca di propositi e di attese; carica di responsabilità per tutti. Noi, piccoli e medi imprenditori, vogliamo raccogliere questa sfida; lo facciamo con convinzione poiché la crisi ci impone di prendere una precisa direzione. Quanto illustratoci dalla Presidente ci ha persuaso perché segna un momento di discontinuità che potrebbe essere molto fecondo se davvero perseguito fino in fondo. I temi che ho sopra trattato vengono in qualche modo tutti toccati e l’attenzione per l’impresa è piuttosto efficace. Per ora, però, è per noi solo una speranza, che monitoreremo con attenzione avendo fiducia che le incrostazioni che purtroppo vediamo inquinare la vita politica regionale e i privilegi consolidati ancora presenti in alcuni settori della macchina amministrativa non abbiano a ridurre, disastrosamente, la potenzialità di questa concertazione. Gabriele Chiocci, Presidente dell’Associazione delle Piccole e Medie Imprese dell’Umbria (Confapi) Condividi