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I terreni di San Martino in Campo dove arriverà l'Ikea, per ora, aspettano, e somigliano a un agnellino davanti al mattatoio. Aspettano le gru, le betoniere, i camion e il cemento, paletti e palizzate, la polvere e i rumori dei cantieri. Intanto le erbacce crescono, insieme al silenzio, da chissà quanto tempo, sui campi incolti, tra capannoni e ruderi dimenticati. Chissà perché nel piano regolatore si parla di terreni di pregio, una volta forse, ma ora, a guardarla questa campagna desolata e un po' offesa dai tentativi abortiti di farla diventare qualcos'altro, sembra la copia di tanti altri luoghi perennemente indecisi tra l'agricoltura e l'industria, tra coltivazioni e capannoni, così che, alla fine, non sono né l'uno e né l'altro, ma solo spreco e disincanto. Questa campagna un po' depressa guarda il fiume nascosto tra i pioppi oltre l'autostrada e si vede che la separazione è stata dolorosa. Troppe lottizzazioni, troppi confini, troppe cose alla rinfusa per poter dare un nome certo a questi spazi trafitti dalla E45. C'è un grande capannone chiuso e abbandonato, un allevamento per la produzione di uova oltre il confine, un terreno arato e altri incolti e colonizzati da erbe alte e infestanti e poi, al centro di tutto, una vecchia costruzione in mattoni con un piazzale. Qui c'è una cosa viva e inaspettata. Viva, insomma, non proprio viva, diciamo sopravvissuta a un passato più importante ma, comunque, ancora lì, con le porte aperte. E' una vecchia falegnameria, che ora, proprio nel posto dove dovrebbe arrivare Ikea, ospita un artigiano, l'ultimo erede di un'arte sopraffina, che continua il suo lavoro. Restauro di vecchi mobili, ormai, perché costruirne di nuovi, di questi tempi, non è proprio il caso. Lavora, questo artigiano ormai anziano e aspetta che arrivi il Grande Cantiere per lasciare le consegne lui, il piccolo e ormai quasi dimenticato falegname di San Martino in Campo, alla più grande multinazionale europea del mobile. Gli hanno già trovato un altro posto dove andare e lui aspetta la sua nuova destinazione prima che le vecchie mura in mattoni vengano giù, sotto i colpi di un bulldozer. Se ne andrà senza rimpianti e senza pretese. Gli svedesi sono solo gli ultimi arrivati, ma lui, il falegname perso nella campagna che conosce e ricorda uno ad uno tutti i vecchi artigiani del centro storico, quando i falegnami, i fabbri, gli orafi, i tappezzieri si potevano trovare solo lassù, in alto, nei borghi antichi della città, sa bene che il suo mestiere fatto di esperienza e pazienza è stato colpito al cuore dalle tante società del mobile a basso prezzo che hanno riempito ormai da molto tempo le zone commerciali di Bastia, Perugia, Corciano, Magione. Ikea dunque, perché no? anche lui, in fondo, c'è andato una volta per regalare un cassettone alla figlia. I cassettoni che faceva nel suo laboratorio erano infinitamente migliori, non si usava mica il truciolato, solidi, persino più belli perché la mano dell'artigiano regala un profumo inconfondibile, uno stile unico, ma erano costosi - ammette - e quanto lavoro per gli incastri a coda di rondine. E poi, oggi, chi guarda più dietro e sotto i mobili, che ne sanno i giovani degli incastri a coda di rondine? E' così che viene colpita a morte quella che oggi i sociologi chiamano la biodiversità culturale, la ricchezza, cioè, dei mille saperi che si contrappone alla grande massificazione in un mercato dove tutti consumano le stesse cose. In fondo, a Perugia Ikea arriva quando si sono ormai acquietati i desideri e i sogni di possesso di chi frequenta i grandi empori commerciali, dopo la grande abbuffata dei decenni scorsi. Ora che siamo dentro la crisi dei consumi il bisogno primario resta quello del continuare a comprare spendendo di meno, quindi, è facilmente prevedibile il successo delle gialle bandiere svedesi. E poi, chissà, sempre di una novità si tratta, almeno per questa città che pure non si è mai negato il gusto del carrello facile. Chissà. Perugia, del resto, si sposa benissimo con i centri commerciali. Il suo impetuoso sviluppo edilizio è così fresco da non aver avuto il tempo di sperimentare altro. Non c'è il segno di una comunità e, quindi, di una struttura commerciale di prossimità e men che mai di relazioni sociali nel vasto territorio urbanizzato della nostra contemporaneità. In così tanti quartieri privi di piazze non ci si può incontrare che in un supermercato, luogo di elezione di quelle famiglie che non hanno conosciuto ancora la complessità urbana, elaborato il desiderio della città. Tutto è così semplice nei nuovi quartieri. Strade, case, qualche giardino dove c'è, banche e negozi. Tutte le città, del resto, si somigliano. Stessi bisogni e stesse domande, quindi, stesse offerte. Persino Corso Vannucci è come una main street americana, o quasi, almeno sino a quando non si alzano gli occhi e si guarda oltre le vetrine dei negozi. Quante botteghe storiche abbiamo perso in questi anni senza che nessuno abbia cercato di fare qualcosa? e cosa abbiamo avuto in cambio? gli stessi marchi che si trovano ovunque. Se un nuovo visitatore arriva al centro della città, cosa vede, da cosa è incuriosito, da Sandri o, con tutto il rispetto, da Benetton? Ecco, quindi, il nemico micidiale di una città come Perugia, l'invasione dei negozi del mordi e fuggi che scaccia quelli che fanno comunità e che ci raccontano una storia e ai quali negozi del mordi e fuggi tutto si uniforma, dalle regole del traffico agli stessi monumenti disossati dalla patina dei secoli e conservati così, per fare da quinta ai tanti riti, grandi o piccoli, della città. Chissà da quale parte del fiume dovremo mettere adesso la bionda e gentile Ikea. Condividi