L’opportunità per le donne di scegliere la pillola Ru486 anziché l’interruzione di gravidanza chirurgica aveva fin da subito suscitato pesanti reazioni da parte delle gerarchie cattoliche (che avevano minacciato “scomuniche per il medico, per la donna e per tutti coloro che spingono al suo utilizzo”) allorquando l’Agenzia italiana per il farmaco aveva approvato l’immissione in commercio nel nostro Paese della pillola. Dopo la sua approvazione da parte dell’Aifa, ora l’attenzione si è spostata sulla procedura di utilizzo della pillola. E la questione si presenta nel dibattito politico a livello regionale dando vita ad uno scontro tra cattolici e “resto del mondo”.
Nel dettaglio la questione è quella relativa all’ospedalizzazione della donna anche qualora opti per l’interruzione della gravidanza attraverso la somministrazione della pillola Ru486. Nella gran parte dei paesi in cui da anni viene utilizzata (Francia, Svezia e Regno Unito), l’interruzione farmacologica della gravidanza avviene in regime di day hospital, mentre in Italia si vuole rendere obbligatorio il ricovero della donna.
Innanzitutto, la legge 194, che è una legge a tutela della salute della donna, non prescrive affatto il ricovero (che all’art. 8 è previsto solo “se necessario”), ma semplicemente che l’intervento abortivo sia fatto in una delle strutture autorizzate, persino in poliambulatori pubblici funzionalmente collegati all’ospedale. Inoltre, all’articolo 15, prevede per gli enti ospedalieri di tener conto del progresso tecnologico e delle nuove tecniche meno intrusive e violente. In questo senso, la pillola RU486 comporta un impatto fisico e psicologico minore rispetto all’aspirazione e rappresenta, dunque, un metodo di interruzione della gravidanza meno violento, meno costoso e più accessibile.
In ogni caso, è importante ribadire che nessuno deve ingerire nella libera scelta della donna, come nessuno può costringerla a restare ricoverata in ospedale contro la sua volontà. Gli ospedali, ancora, contrariamente alle carceri e ai manicomi, non sono istituzioni totali.
Fermo restando che la decisione sul ricovero e sulla definizione delle procedure per la dispensa della Ru486 rimane competenza esclusiva delle Regioni e che la Regione Umbria ha già intrapreso correttamente tale percorso, Rifondazione comunista auspica che il dibattito politico regionale sulle modalità di somministrazione del farmaco si sfrondi da atteggiamenti dogmatici e posizioni demagogiche e che, nel definirne la regolamentazione, guardi alla tutela della salute e alla libertà di scelta della donna come agli unici valori cui ispirarsi.
Patrizia Proietti - Marta Cardoni - Cecilia Stopponi, Segreteria Regionale PRC
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