teresa lewis.jpg
di Quinto Sertorio Il mondo dei blog, di internet, della politica, della società civile e la comunità internazionale si sono giustamente mobilitate per sventare la condanna a morte di Sakineh, ma la battaglia contro la pena di morte è ancora lunga. Non sarà facile vincerla, soprattutto se verranno usati due pesi e due misure,e se la lotta alla pena di morte viene strumentalizzata per motivi politici. U n’altra donna è condannata a morte, in Virginia negli Stati Uniti, ma ben pochi si mobilitano per sventare l’esecuzione della condanna prevista per domani. Lo scrittore John Grisham sul Washington Post ha parlato del caso Lewis come un esempio dell’ingiustizia del sistema della pena di morte negli Stati Uniti. Teresa Lewis è l’unica condannata a morte per l’omicidio del marito e del figlioccio. Gli autori materiali sono stati condannati all’ergastolo. Teresa Lewis è disabile mentale, all’epoca dei fatti era fortemente dipendente da psicofarmaci, l’autore materiale degli omicidi, in una lettera prima di suicidarsi, ha dichiarato di averla raggirata e di aver organizzato lui il complotto. Nonostante tutto ciò, pare che nulla riuscirà a fermare l’iniezione letale per Teresa. Il presidente iraniano Ahmadinejad a New York per il vertice Onu sulla povertà ha potuto sottolineare ai giornalisti che per 3,7 milioni di pagine in Internet sono state dedicate alla condanna di Sakineh, mentre per Teresa Lewis c’è un pesantissimo silenzio dei media. È proprio così. Non ci sono appelli per Teresa, né manifestazioni, né striscioni fuori dalle sedi istituzionali, solo un sito saveteresalewis.org. Anche Teresa è “colpevole” di adulterio, ma la sua condanna a morte non fa notizia. Nella lotta alla pena di morte una cosa è chiara: finché 35 dei 50 stati degli Usa applicheranno la pena di morte la battaglia non sarà vinta, e gli Usa non saranno un paese civile. Finché la comunità internazionale e la società civile faranno mobilitazioni giuste, ma con il rischio della subordinazione alla strumentalizzazione politica, la battaglia non sarà vinta. Mobilitiamoci, dunque, per Sakineh, ma anche per Teresa Lewis e per tutte le donne ingiustamente condannate a morte, di qualunque nazionalità e in qualunque paese del mondo. Anche nei “civilissimi” Stati Uniti d’America. Condividi