L'individuo contemporaneo torna a fare i conti con l'incertezza. Il capitalismo è in crisi, i disoccupati aumentano, il welfare con cui gli stati assicuravano un tempo assistenza e sicurezza ai cittadini, non esiste più. Zygmunt Bauman, il sociologo che ha coniato la famosa formula della "società liquida", ha raccontato nei suoi libri l'impatto del consumismo sugli stili di vita, la rapidità con cui cambiano i modelli di identificazione, in una parola, la liquefazione dei desideri e dei simboli. Ma anche la riduzione dei lavoratori a merce fluttuante, subordinata alle volubilità dei mercati e ai capricci delle imprese. Abbiamo incontrato Bauman a margine della lezione magistrale sulla "sorte individuale", tenuta al festivalfilosofia di Modena (quest'anno dedicato al tema della fortuna).
La società liquida non è più in grado di guardare al futuro con ottimismo. Per la prima volta rispetto alle generazioni precedenti gli individui si sentono insicuri. Cosa succede?
La modernità ha dichiarato guerra alla fortuna, all'imprevedibilità, al caso. Oggi si sta capendo che è difficile vincere questa guerra e che, anzi, dovremo abituarci a vivere nell'incertezza. Nelle società del passato, del XVI e XVII secolo, l'incertezza era la regola. Non solo le guerre religiose, ma anche le trasformazioni sociali ed economiche. Il passaggio all'era industriale portò alla disgregazione della forza lavoro, alla perdita di identità degli individui. Oppure basta pensare all'impatto che ebbe il terremoto di Lisbona nella società europea del XVIII. Pensatori come Voltaire e Rousseau suscitarono un dibattito nell'opinione pubblica dell'epoca. La fortuna e il caso, dicevano, non può dominare la società, l'uomo deve controllare la natura attraverso la conoscenza e la tecnica, e addomesticare il futuro. Oggi a due secoli di distanza dall'illuminismo è successo esattamente il contrario. Sono le conseguenze dell'azione umana che hanno causato catastrofi naturali. Il problema del riscaldamento globale è il risultato più vistoso della gestione umana delle risorse.
Ma l'insicurezza può diventare una risorsa politica come dimostra la questione Rom in Francia?
Da qualche decennio a questa parte assistiamo a un divorzio tra potere e politica. In passato tra questi due elementi c'era un matrimonio perfetto e si mescolavano nello Stato nazione. Oggi non è più così. Anche gli Stati governati da primi ministri eccentrici, per così dire, non sono onnipotenti. Il potere è evaporato, è passato dallo Stato nazionale in cui era racchiuso allo spazio globale, al cyberspazio o "spazio dei flussi", come lo definisce il sociologo Manuel Castells. Come è accaduto all'ancien regime del XVI e XVII secolo, il welfare state oggi si sta disgregando. Il potere è inadeguato e gli stati non riescono più a gestire il potere. Questo ha avuto conseguenze enormi sulla politica. I governi per legittimarsi e assicurarsi il consenso sono costretti a far leva sull'insicurezza dei cittadini, ad alimentare la paura che possa accadere loro qualcosa di terribile. Il compito dello Stato, in passato, era di garantire attraverso il welfare assistenza e sicurezza ai cittadini. Oggi non è più così, i governi non sono più in grado, ad esempio, di offrire sostegno in caso di disoccupazione e quindi cercano altre vie per legittimarsi. Se non ci fossero i Rom li dovrebbero inventare. La legittimazione dei governi attuali si basa sempre sulla sicurezza personale, ma questa non è più fornita dal welfare ma dalla polizia, dalla lotta contro il crimine, il terrorismo. Lo Stato dà la sensazione ai cittadini di essere protetti, ma è un'impressione. I Rom sono per i governi una manna dal cielo, il pretesto per dimostrare ai cittadini che lo Stato garantisce l'incolumità personale. Anche gli immigrati "clandestini", per quanto riguarda il caso italiano, sono stati usati dai vari governi per mettere in atto le politiche della sicurezza e accreditarsi. L'immigrazione è stata un fenomeno choc a livello sociale. Nell'opinione pubblica è stata percepita come una causa di instabilità, di perdita delle certezze di una volta. Un tempo se un ragazzo riusciva a entrare in grandi aziende come Fiat o Pirelli si garantiva un futuro occupazionale e dopo trent'anni poteva tranquillamente andare in pensione. Oggi queste certezze stanno vacillando e nella percezione comune si attribuisce la causa di ciò agli immigrati. Quand'anche non ci fossero più stranieri nelle strade si troverebbero altri capri espiatori da attaccare e a cui dare la colpa dell'instabilità.
Di fronte all'incertezza c'è la tendenza a vivere i drammi nella sola dimensione individuale. Venuta meno la politica non è prevedibile un ritorno del fenomeno religioso?
Negli Stati Uniti ci sono oggi quindici milioni di disoccupati, di cui 3 milioni e 600 mila sono cronici, cioè hanno smesso definitivamente di cercare lavoro. Cosa fanno questi individui, ci si chiede. Molte persone sono indebitate fino al collo, rischiano di perdere la casa, sono vicine al collasso. La gente dice che non c'è speranza, che non c'è altro da fare che pregare letteralmente. La politica si ritira nella vita privata, ma così facendo la possibilità che ci siano cambiamenti diminuisce sempre più. L'unico discorso ragionevole che possiamo fare è di appellarci al principio di responsabilità, unire le nostre speranze. Non posso fare altro che ripetere le parole di Antonio Gramsci: l'unico modo di prevedere il futuro è riunire le forze e lavorare assieme.
Da Liberazione del 19 settembre 2010
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