I proventi della vendita di alcuni assets minori della Antonio Merloni, andata recentemente in porto, devono essere destinati a tutti quegli operai che vantano tuttora un credito nei confronti dell'azienda. Ben prima di saldare i conti con le banche o con i grandi fornitori i Commissari devono rispettare gli impegni precisi assunti a suo tempo in questa direzione e condivisi con le Organizzazioni sindacali. Noi non abbiamo dimenticato questi impegni e non li hanno dimenticati le lavoratrici ed i lavoratori ed è bene che anche i sindacati rinfreschino la memoria ai tre Commissari di governo avanzando da subito una richiesta formale per trasformare quelle promesse in fatti. L'eventuale ripiano delle esposizioni debitorie dell'azienda dovuto a questa operazione, necessariamente e come atto di sacrosanta giustizia redistributiva, deve essere predisposto in maniera tale che il saldo dei debiti dell'azienda nei confronti dei lavoratori, delle imprese artigiane e fornitrici dell'indotto, delle imprese o delle cooperative di servizio (magazzino, facchinaggio ecc.) debba costituire una precedenza ed una priorità e ad esso debba essere assegnata una corsia preferenziale. Le lavoratrici e i lavoratori diretti e dell'indotto, le piccole e medie imprese artigiane, commerciali e di servizio sono i soggetti che più di tutti hanno subito la crisi di questa azienda ed è bene che, almeno su questo fronte, abbiano soddisfazione dei propri diritti prima che alle banche sia consentito di rastrellare tutto ciò che questa vendita rimette nelle disponibilità dei Commissari. La vicenda della Merloni, dopo il fallimento dei bandi per la cessione dei rami più grandi d'azienda, è ad uno stallo e la vacanza prolungata ed inspiegabile del Ministro dello Sviluppo Economico non aiuta di certo ma radicalizza la crisi ed allontana ogni ipotesi di ricostruzione industriale di lungo corso a salvaguardia del sito produttivo umbro e dei livelli occupazionali. Noi crediamo che sia finito il tempo degli indugi e dei ritardi: la stagione economica e sociale che si va aprendo nella nostra Città e nel nostro territorio deve essere affrontata per la sua gravità. Occorre certo l'unità e la mobilitazione dei lavoratori e occorre l'impegno di tutte le Istituzioni e delle forze economiche regionali. Confindustria e l'associazione regionale degli industriali debbono battere un colpo su questa storia, fuoriuscire definitivamente dal loro stato surreale di silenzio e devono contribuire alla costruzione di un progetto industriale per l'area di crisi della Merloni. Vanno perseguite da subito tutte le ipotesi che l'Accordo di programma mette in campo e bisogna da subito attivare gli strumenti e le risorse da esso contemplate. La direzione intrapresa nell'ultimo tavolo regionale dalla Presidente Marini costituisce uno slancio rinnovato e sembra prefigurare una consapevolezza nuova sui termini reali della crisi di questa azienda: non servono invece a niente le prese di posizione di questi giorni di alcuni esponenti della politica del nostro territorio, come l'ultima di Sandra Monacelli. Per ricostruire un progetto industriale credibile che salvaguardi il sito produttivo di Colle e i posti di lavoro che vi sono non c'è di certo bisogno di fare i democristrianicissimi tripli salti mortali per cui i presunti sforzi fatti sul versante marchigiano esaltati a modello e presi ad esempio mirabile di impegno, oltre che ad essere in tutto fallimentari, nascondono la volontà di rimettere sul posto gli stessi manager che hanno affossato l'Antonio Merloni. Quello di cui abbiamo al contrario bisogno è di un'ipotesi di riconversione industriale per lo stabilimento di Colle che ne riqualifichi radicalmente organizzazione, processi e produzioni. Va messa perciò in campo una politica industriale che affidi le sue basi alla ricerca, all'innovazione e alla diversificazione e a questo fine devono servire i soldi previsti nell'Accordo di programma tra Governo e Regioni e in questa direzione devono andare gli auspicabili e non più rinviabili sforzi congiunti di politica, istituzioni, imprese, credito e sindacati. Più facile a dirsi che a farsi? Probabilmente sì ma se non dice una volta per tutte la verità e non si inizia mai ad invertire il senso di marcia nelle politiche per il superamento della crisi non ci sarà scampo ma solo agonia perchè ogni ipotesi che dice di salvare lo stabilimento di Colle così come ce l'ha consegnato la crisi aziendale è pigra, fuorviante e bugiarda, non salverà alcun posto di lavoro ed offre solo il pannicello caldo della proroga all'infinito (?) degli ammortizzatori sociali. Una situazione che, anzichè promuovere un nuovo sviluppo locale, alla lunga non farà altro che deprimere di più lo stato dell'economia del nostro territorio, da una parte con l'aumento del lavoro nero e sommerso e dall'altra con la macelleria sociale cui sono condannati tutti coloro che vivrebbero di sola cassa integrazione. Il Capogruppo PRC SE Sinistra Unita per Gualdo Gianluca Graciolini Condividi