di Nicola Bossi
Allo stabilimento della Perugina
è in atto uno scontro per certi
versi senza precedenti. Lettere, richieste
ufficiali di incontri, richieste di sfiducia
e tanto altro. I due contendenti
sono: da una parte i sindacati (Cisl, Cgil
e Uil) insieme ai loro rappresentanti
eletti all’interno della fabbrica, dall’altra
(incredibile ma vero) c’è la base:
ovvero centinaia di operai che non capiscono
e non approvano la strategia
portata avanti nei confronti dei vertici
della multinazionale. La triplice sindacale
(un tempo intoccabile) è stata
messa sotto giudizio da 150 dipendenti
che hanno firmato una richiesta
di convocazione immediata per una
assemblea generale. Motivo: capire
perchè gli impianti si bloccano spesso.
Perchè inspiegabilmente vengono
meno le materie prime (si denuncia la
mancanza della gianduia...). Tutte situazioni
che bloccano le operazioni di
lavoro durante i turni. Una situazione
che sta incominciando a far preoccupare
gli operai dato che c’è il rischio di
non raggiungere, con la situazione attuale,
i parametri di efficienza e qualità.
E quando vengono meno questi
ecco che si materializza lo spettro
della cassa integrazione e peggio ancora
della delocalizzazione di alcuni
servizi attualmente in dote nello stabilimento
di San Sisto. In ballo, in
tempi di crisi, c’è il posto di lavoro
mica il pagamento o meno di uno straordinario.
Gli operai vogliono che i
propri sindacalisti li aggiornino e li
supportino verso l’azienda. Da qui la
decisione di chiedere un’assemblea
generale. Ma Cisl, Cgil e Uil - secondo
i dipendenti fuori dal giro delle Rsu - si
sono limitati a concedere soltanto assemblee
di reparto alle quali non
hanno invitato tutti gli interessati ma
solo (pochi) delegati. Un atteggiamento
che ha provocato la rottura tra
rappresentanti e lavoratori. Ed è solo
l’inizio dato che quest’ultimi sono
pronti a rappresentarsi da soli.
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