Interrogarsi sulla “modernità” in tempi di crisi potrebbe sembrare a prima vista un impegno da elite intellettuale, mentre invece se ci soffermiamo un momento sul valore del concetto risulta evidente come in tempi di cambiamento , cioè quelli in cui viviamo ,coinvolti in una crisi di sistema, porsi l’interrogativo non sarebbe certamente una operazione oziosa. Perché? Prima di tutto perché per competere ad armi pari occorre possedere le stesse opportunità , le stesse possibilità di arrivare al traguardo, altrimenti sarebbe come se, per esempio, ad un gran premio di formula uno accanto ai bolidi attuali si presentasse un concorrente a bordo dell’Atala di Tazio Nuvolari. Ora, riportando il concetto sui binari della politica e dell’economia, fermo restando che la politica deve guardare soprattutto al bene comune ed essere la lente di ingrandimento attraverso la quale la società riesce a vedere il futuro osservando il presente, sarebbe bene considerare , per dirla con Paul Valery, che il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta. Ovvero le categorie politiche, economiche e culturali per interpretarlo non sono più quelle o almeno non sono più sufficienti. Quindi occorre interrogarsi sul livello di modernità che si è in grado di mettere in campo e giudicare se esso risponda o meno alle reali necessità del momento, semplificando, scoprire se siamo seduti al volante di una Ferrari o di una Atala. Qualche sera fa la presidente della giunta regionale umbra Catiuscia Marini e la sua omonima laziale Renata Polverini si sono incontrate in un dibattito alla Festa del Partito Democratico di Terni per affermare che è possibile intravedere un cammino comune fra le due regioni fatto di sinergie in vari campi, soprattutto quelli attinenti ad un “moderno” concetto di sviluppo nell’ottica dell’Italia Mediana.. Ottima considerazione e plauso alle intenzioni delle due presidenti, ma per fare un cammino insieme, per realizzare sinergie, è giocoforza interrogarsi sulle rispettive capacità di camminare insieme cioè di avere le stesse possibilità ed opportunità al momento della partenza per arrivare insieme al traguardo. Eh sì, ha proprio ragione Paul Valery, il futuro non è più quello di una volta e per guardarlo con un minimo di realismo non bastano più i parametri di una volta. Lo dimostra anche la recente ricerca apparsa sul SOLE 24 ORE dove l’Umbria appare al quartultimo posto fra venti regioni italiane, una ricerca effettuata utilizzando parametri nuovi, più adeguati ai tempi, che hanno messo in luce i nostri ritardi anche sul terreno della “modernità”. Non abbiamo quindi una economia e nemmeno una politica sufficientemente moderne, cioè capaci di farci correre con le stesse possibilità di altri per arrivare al traguardo in tempo utile ad ottenere un dignitoso posizionamento nella classifica generale. La modernità è in generale intesa come una tendenza individuale o collettiva al rinnovamento socioculturale, qualcosa di assolutamente diverso dalla attuale stagnazione dei fattori di rinnovamento che troviamo in Umbria. Non si vuole a questo punto accollare responsabilità né tantomeno strumentalizzare questo stato di cose, basterebbe soltanto prenderne atto, e sarebbe un grande gesto di modernità. Certamente, il passo successivo dovrebbe essere quello di produrre un numero sufficiente di idee nuove per recuperare il terreno perduto e guadagnare così posizioni competitive più vantaggiose. La modernità è anche fatta di idee, bisogna quindi creare meccanismi capaci di portare alla luce e realizzare le idee che questa regione nasconde ancora nelle sue profondità inesplorate, giacimenti di idee che sappiamo esistono ma che non vengono sfruttati A tale proposito basta guardare appena sopra la siepe che ci separa dal giardino dei nostri vicini marchigiani, emiliani, toscani e anche laziali, c’è molto da imparare per diventare moderni. Personalmente credo che la presidente Marini abbia una visione delle cose sostanzialmente moderna, ma il senso della modernità va diffuso e soprattutto arricchito dell’apporto di idee necessario, per affermare il quale vanno coraggiosamente abbattuti vecchie rendite di posizione, vecchi egoismi, vecchie furbizie, vecchie burocrazie, vecchie politiche, tutto quel “vecchio” che continua a contrapporsi alla nostra ansia di modernità.
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