In questi giorni è ritornata di moda alla grande il vezzo di affermare la necessità di finire la “lotta di classe”. Per molti, di quelli che ci spiegano le cose del mondo moderno dagli schermi televisivi, che scrivono come “opinion leader” da grandi giornali della “borghesia” (?!), la lotta di classe sarebbe un residuo di un passato da superare, così come la conflittualità sindacale o la lotta tra “operai e padroni”. Ovviamente per questi “opinion leader” nostrani, questi fenomenali interpreti della modernità, la “lotta di classe” da interrompere immediatamente è quella degli operai contro i padroni, o dei lavoratori contro le imprese e i loro imprenditori, perché l’altra, quella dei padroni contro gli operai è in pieno corso e va a gonfie vele, come scrive Guido Viale su il manifesto. Infatti come si può intendere la messa in cassa integrazione di 23 mila lavoratori umbri, la fuga delle multinazionali del polo chimico ternano, la chiusura della Merloni, l’angoscia in cui sono stati cacciati circa 3000 precari insegnanti della nostra scuola pubblica regionale, e più in generale la situazione di quelle migliaia di lavoratori lasciati sul lastrico dai padroni, spesso bancarottieri, che si sono comprati di un impresa per distruggerla o ridimensionarla utilizzando i meccanismi della finanza neoliberista? O la diffusione del lavoro precario che distrugge qualsiasi possibilità di costruirsi una vita e un futuro? E come giudichiamo la tesi del ministro Tremonti secondo cui, quello straccetto di normativa sulla sicurezza sul lavoro (626) è ormai insostenibile per le imprese, nonostante la guerra in corso contro il lavoro che conta 1200 lavoratori morti ammazzati l’anno? Parlano, parlano, convincono, rendono sentire comune le loro tesi i vari Tremonti, Marchionne, Marcegaglia, ecc. affondando il loro coltello sull’accondiscendenza politica e sindacale verso il primato assoluto dell’impresa che la vera ideologia sottostante a questa linea politica. L’incredibile e nauseante vicenda dei tre operai Fiom di Melfi, licenziati per rappresaglia e non reintegrati dalla Fiat con un atto sovversivo nei confronti dello Stato, è stato commentato da Marchionne: “Non credo sia onesto usare il diritto di pochi per piegare il diritto di molti”. Marchionne è quel manager che fa perdere alla Fiat il 26% del venduto, e che mentre prima annunciava che la competizione non può poggiare sul costo del lavoro che al massimo incide del 5-6% sul costo complessivo, oggi, da vero furbacchione, mette in competizione tra loro gli operai serbi, polacchi, statunitensi e italiani e chi offre ai padroni italiani le migliori condizioni, ad iniziare dalle sovvenzioni statali. Ma quali sono “i diritti di pochi”? A occhio e croce parrebbero dei padroni della fabbrica o degli azionisti di riferimento o dei manager che guadagnano 400 volte di più dei “molti” che lavorano per loro. Ma chi sono i “molti”? quelli piegati a dire sì in un plebiscito (pardon referendum) sotto la minaccia di perdere per sempre il posto di lavoro? E i “pochi” sono quelli che posti di fronte al diktat di accettare condizioni di lavoro inaccettabili, contrarie alla loro dignità e ai loro diritti, hanno alzato la schiena e si sono ribellati? Fine della “lotta di classe” e “fine delle ideologie” hanno proprio qualcosa in comune. Nella realtà, a scomparire (o a tentare di farla scomparire) è stata solo l’ideologia socialista e le sue varianti comunista e anarchica. Le altre, quella liberale, trasformata in liberismo e in “pensiero unico” è viva (forse!). Allora, lo vogliano o no lor signori: Berlusconi, Marchionne, Montezemolo, Sacconi, Marcegaglia, ecc. la lotta di classe è il motore della storia, della civiltà e del progresso, ed è per questo che continua seppure in forme diverse dal passato, ed oggi purtroppo indebolita dalla sconfitta sociale, culturale e politica del movimento dei lavoratori. Ma la storia non finisce. Per questo occorre ricostruire una forte rappresentanza politica e culturale del lavoro, una nuova forza politica della sinistra in grado di pesare e contare nei processi reali, nella vita quotidiana di milioni di donne e uomini che vivono del loro lavoro. Per questo occorre che la manifestazione del 16 ottobre indetta dalla Fiom per la dignità del lavoro sia una prima e nuova risposta all’altezza della lotta di classe che impongono i padroni. Condividi