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A Roma, presso la Curia Julia nel Foro Romano, è in corso fino al 26 settembre una stupenda mostra: “Memorie di Roma, gli Aemili e la basilica nel Foro” In mostra sono le sculture di marmo e i fregi che illustrano la storia delle origini di Roma e quella della famiglia degli Aemili. “In quei giorni Lepido chiese al Senato di restaurare e adornare a proprie spese la basilica di Paolo, il maggior monumento della famiglia degli Aemili. Era ancora in uso a quei tempi la pratica della munificenza pubblica da parte dei cittadini privati…. seguendo tale esempio Lepido fece rivivere lo splendore degli avi, sebbene la sua fortuna fosse modesta”. (Tacito, Annali). I fregi non contengono solo testimonianze della storia di Roma e delle virtù romane, “virtus e pietas”, ma esprimono anche la morale e i costumi. Un esempio è costituito dal “Ratto delle Sabine” e dalla “Punizione di Tarpea” quali esempi di moralità. I frammenti originali delle decorazioni sono per la prima volta riuniti nella Curia Julia, costruita da Giulio Cesare come sede del Senato. La grande aula della curia conserva ancora gran parte del pavimento di età diocleziana, di cui si può ammirare la raffinatezza delle lastre marmoree intarsiate da pregiati marmi policromi. I lati della sala sono attrezzati con tre bassi gradini su cui erano sostenuti i seggi dei senatori di Roma; sullo sfondo era posta la pedana della presidenza con la statua della Vittoria. Uscendo dalla curia, a poche decine di metri ci sono i resti dell’imponente Basilica Emilia. La Basilica Emilia era un monumento di stato, il cui programma iconografico non tematizzava solo gli antenati della famiglia degli Emili, ma anche il presente in cui venivano esortati la casa imperiale e di conseguenza lo Stato romano. Il ricordo della storia di famiglia e dei propri antenati rivestiva un ruolo di primo piano nelle elitè della società romana. Il peso delle magistrature (incarichi di governo) ottenute in passato era decisivo per la carriera politica delle nuove generazioni della famiglia aristocratica. La propaganda politica repubblicana dava molto spazio alla glorificazione famigliare che poteva garantire consensi elettorali e cariche istituzionali. Si affermò una sorta di competenza gentilizia nei confronti di edifici sacri o civili, che venivano poi presi in carico dai discendenti del costruttore, ai quali spettava il compito di occuparsi dei restauri successivi. La “gens Aemilia” fu sicuramente una delle più attive in tal senso: si pensi solo alla strada consolare, come la via Aemilia, oltre a molti altri ed importanti edifici pubblici e privati, sacri e commerciali, a infrastrutture. “A buon diritto, dunque, si può proporre la formula la ‘Roma degli Emili’ per indicare lo sviluppo della città nel periodo delle guerre d’Oriente, anche se i ‘resplendenti Aemilii’, come li hanno definiti R. Syme e T.P. Wiseman, non sono cero i soli protagonisti sulla scena dell’Urbe. Ma va sottolineata, più che la portata o la qualità di questo o quel momento, la vocazione a una progettualità globale, che incide in modo profondo su tutte le forme, antiche o nuove, dell’architettura pubblica del tempo: sacra in vari esempi, incluso il tempio capitolino e altri templi di nuova costruzione in circo e campo, annonaria e commerciale, con il Porticus Aemilia (più controversa è la cronologia del pons lapidens, il primo ponte di pietra della città che pure prenderà il nome dagli Emili); infine forense, nella forma della basilica……..” (F. de Caprais e F. Zevi, in Roma Imperiale, a cura di E. Lo Cascio, Carocci). La Basilica Aemilia fu sicuramente l’edificio più prestigioso, trasformato nel luogo principe dell’autocelebrazione della famiglia. Gli Emili furono tra le famiglie della “nobilitas” più attive nello sfruttamento della propria memoria famigliare, coltivata non solo per mezzo di edifici e monumenti onorari, ma anche mediante un uso molto accorto della propria genealogia che, come per molte altre famiglie patrizie, era stata ancorata saldamente alla più antica storia della città. Essi si proclamavano di origine troiana, ma avevano approfondito soprattutto il legame con l’età regia, facendo del capostipite Mamerco il figlio del re Numa Pompilio. Il censore del 179 a. C. Marco Emilio Lepido, che fu a lungo pontefice massimo, costruendo la basilica, potrebbe quindi essersi proposto di imitare il re in cui vedeva un suo antenato. Gli Emili ebbero un ruolo di primo piano nella prima metà repubblicana e furono una delle famiglie più presenti nelle massime magistrature, i suoi membri infatti ricoprirono il consolato per ben 55 volte. Una prima basilica fu costruita probabilmente tra il 210 a. C e il 195 – 191 a. C. In una seconda fase un nuovo edificio fu costruito dal censore del 179 a. C. Marco Fulvio Nobiliore con il nome di Basilica Fulvia. Dopo la morte del censore fu completata ad opera del suo collega Marco Emilio Lepido. Dopo di che, numerosi esponenti della “Gens Aemilia” ne curarono i restauri (nel 78 a. C., 54 a. C. 34 a. C. 14 e 22 a. C.), eliminando il nome dei Fulvi e assumendo quello di Basilica Emilia. La pianta dell’edificio non è sostanzialmente mutata nel corso delle ricostruzioni (a parte l’aggiunta di una navata nel lato nord). Il lato sud era il lato maggiore che dava sulla piazza del Foro. Qui la facciata era composta di due ordini sovrapposti di sedici arcate, sostenute dai pilastri con semicolonne, che creavano un portico anteriore. Da tre ingressi si accedeva all’interno, diviso in quattro navate e ampio circa 10x29 metri. Nel 55 a. C., ad opera di Lucio Emilio Lepido Paolo (altro figlio del console del 78 a. C. Marco Emilio Lepido e fratello del triumviro) si avviò la costruzione di una nuova basilica che aveva un finanziatore d’eccezione: Caio Giulio Cesare. Fu inaugurata dal figlio omonimo di Lepido nel 34 a.C. con il nome di Basilica Pauli. La basilica fu distrutta da un incendio nel 14 a.C. e fu ricostruita per volere di Augusto. La ricostruzione terminò nel 22 d.C. e oltre a notevoli lavori di ampliamento e di rafforzamento della struttura, fu allargato il portico che fu dedicato a due nipoti dell’imperatore, Caio Cesare e Lucio Cesare. Sotto l’imperatore Carino (282 – 285 d.C.) subì gravi danni a causa di un incendio e nel 283 fu restaurata. Probabilmente durante il sacco di Roma nel 410 ad opera del vandalo Alarico la basilica fu distrutta da uno spaventoso incendio nel quale le monete dei banchi dei cambiavalute che dovevano aver sede nell’edificio furono fuse sul pavimento di marmo e sono tutt’ora visibili. Una parte del portico augusteo era ancora intatto nel cinquecento e il suo ordine dorico fu imitato nella chiesa di San Biagio a Montepulciano da Antonio Sangallo il Vecchio. Gli ultimi resti furono distrutti per la costruzione del palazzo Torlonia che sorgeva in via della Conciliazione. La Basilica degli Emili fu scavata negli anni trenta del novecento e fu in parte rimontata sfruttando i resti delle colonne tardo – imperiali ritrovate. La Gens Aemilia si divise nel tempo in vari rami, tra cui i Mamercini, i Paoli, i Lepidi, gli Scauri. Si imparentarono con gli Scipioni subendone l’ascesa irresistibile. Tra gli illustri personaggi della Gens Aemilia ricordiamo: 1. Marco Emilio Paolo, console nel 302 a. C. Sconfisse le flotte di pirati comandate da Cleonimo, che con la sua flotta disturbava i commerci lungo le coste italiane; 2. Lucio Emilio Paolo, nipote di Marco, fu console nel 219 a. C con Marco Livio Salinatore. Insieme condussero una vittoriosa campagna contro gli illiri in cui sconfisse Demetrio di Faro. Nel 218 partecipò all’ambasceria di Fabio Buteone a Cartagine. Nuovamente console nel 216 a. C. con il plebeo Gaio Terenzio Varrone durante la guerra annibalica, aveva consigliato invano al collega di disporre le sue truppe sulle alture per contrastare la terribile cavalleria numidica. Ma Varrone prese la scellerata decisione di attaccare Annibale in campo aperto nella famosa battaglia di Canne. Fu una delle più gravi disfatte nella storia dell’esercito di Roma. Lucio Emilio Paolo morì in combattimento. 3. Lucio Emilio Paolo Macedonico, console nel 162 e 168 a.C., era figlio di Lucio Emilio Paolo e alleato pubblico di Scipione l’Africano”. Conseguì qualche successo quando ricoprì la carica di pretore nella Spagna Ulteriore (191 – 189 a. C.) sconfiggendo i lusitani. Fu in seguito nominato membro della commissione decemvirale per la pacificazione dell’Asia (189) e, a Roma, guidò l’opposizione al trionfo di Manlio Vulsone nel 187. La scomparsa di Scipione dalla scena politica impedì a Emilio Paolo di essere eletto console prima del 182, ma nel 181 ottenne una vittoria decisiva contro i liguri ingauni per cui celebrò il trionfo. Dopo un periodo d’inattività fu improvvisamente eletto console nel 168 all’età di 60 anni. Ciò dipese in parte dal deludente comportamento dei generali che conducevano la guerra contro Perseo. Emilio Paolo ristabilì la disciplina dell’esercito in Macedonia e in poche settimane seppe infliggere la sconfitta finale a Perseo nella battaglia di Pidna. Coniugò la tradizionale austerità romana con la passione per la cultura greca. Nel 161 come proconsole visitò i luoghi più interessanti e significativi della Grecia e fece spedire in Italia la biblioteca di Perseo; a Delfi rimane un monumento commemorativo della sua vittoria. Pare che Lucio Emilio Paolo non approvasse la rigorosa politica del Senato che egli fu costretto a mettere in atto nel 167: 150 mila epiroti furono fatti schiavi e illustri uomini politici greci furono tenuti prigionieri a Roma. La tradizione storica così favorevole nei suoi riguardi deve però in parte dipendere dalla parzialità di Polibio, che era molto legato alla sua famiglia. Emilio Paolo tornò a Roma per celebrare un grandioso trionfo in cui Perseo seguì il suo corso avvinto in catene. Gli oppositori politici lo rimproverarono per non aver distribuito con generosità il bottino tra le sue legioni, ma in realtà l’enorme quantità di ricchezze che egli portò a Roma rimpinguavano le casse dello Stato. La sua brillante carriera terminò con una censura nel 164 a.C.; quando morì nel 160, dimostrò di non aver tenuto per se il bottino saccheggiato in Macedonia. Un suo figlio venne adottato da uno degli Scipioni con il nome di Scipione Emiliano (Plutarco, vita di Paolo Emilio). 4. Marco Emilio Lepido, console nel 187 a.C. e nel 175 a. C. pontefice massimo e censore nel 179 a. C. costruì la via Emilia. La strada, attraversando diagonalmente la pianura padana in direzione nord ovest, congiungeva Rimini a Piacenza, per un percorso complessivo di 280 Km. Le maggiori città attraversate sono: Cesena (Caesena), Faenza (Faventia), Imola (Forum Corneli), Claterna (scomparsa nel VI secolo dopo Cristo), Bologna (Bononia), Modena (Mutina), Reggio Emilia (Regium Lepidi), Sant’Ilario d’Enza (Tannetum), Parma, Fidenza (Fidentia) e Piacenza (Placentia). L’arteria venne costruita tra il 189 e il 187 a. C. In quel periodo la Colonia Placentia era circondata dai galli boi che, nonostante fossero stati sconfitti , non avevano voluto firmare la pace con Roma. Reale era il pericolo di una nuova rivolta. Roma decise allora di realizzare una strada militare fino a Placentia per far spostare velocemente le legioni allo scopo di reprimere eventuali rivolte bitiche. Sul suo tracciato, che ricalcava una precedente direttrice di traffico etrusca, vennero fondate nel 183 le colonie di Modena e Parma. La via, che per la sua importanza militare e commerciale dette il nome alla regione, l’VIII d’Italia, Aemilia, venne restaurata durante l’età imperiale da Augusto e da Traiano. La via Emilia collegava due importanti strade romane: la via Flaminia, strada consolare che partiva da Roma e terminava a Rimini, colonia fondata nel 268 a. C. e la via Postumia, che da Piacenza giungeva ad Aquileia, ultimo centro importante del Veneto prima dei confini della provincia italiaca, sottoposta direttamente al potere romano. Marco Emilio Lepido durante il suo consolato sconfisse i liguri, in tale occasione fece voto di erigere un tempio a Giunone e, durante la censura, dedicò il tempio di Giunone Regina al Campo Marzio. La città di Reggio Emilia si chiamava in età romana Regium Lepidi in suo onore. Si chiamò Aemilia Scauri la strada conseguita nel 109 a. C. dal censore marco Emilio Scauro, come prosecuzione della via Aurelia. Marco Emilio Lepido fu protagonista di una intensa attività diplomatica per conto del Senato, tra cui l’Egitto dove instaurò stretti rapporti con la dinastia tolemaica. I suoi rapporti con i regnanti egiziani, che vennero celebrati nella monetizzazione dai suoi discendenti, sono controversi. L’intervento di Lepido fu decisivo nella conquista della Gallia Cisalpina, dove operò durante i suoi due consolati e dove favorì l’insediamento di numerosi cittadini romani. Acquistò così dall’Italia settentrionale quel prestigio e quella influenza che furono poi ereditati e sfruttati dai suoi discendenti nel secolo successivo. Marco Aurelio Lepido morì nel 152 a. C. 5. Scipione Emiliano, nacque nel 185 o 184 a.C. e morì a Roma nel 129 a.C. figlio di Lucio Emilio Paolo, venne adottato dalla famiglia degli Scipioni da Publio Cornelio, figlio dell’Africano. Dopo aver combattuto a Pidna con il padre (168 a.C) e in Spagna con il console Lucullo come tribuno militare (151)venne eletto console nel 147 con una dispensa dall’età legale ed ebbe il comando della guerra in Africa; qui distrusse la ribelle Cartagine (146), fondando la provincia d’Africa. Polibio, lo storico greco che gli fu maestro e amico, racconta che egli pianse sulle rovine della città e assicura così al personaggio e all’avvenimento una dimensione insolita per la storiografia romana. Censore nel 142, Scipione esercitò influenza preminente sulla politica romana del periodo, presentandosi come esponente della fazione meno conservatrice del Senato anche se legato a una concezione tradizionale del potere aristocratico. Dopo una serie di ambascerie in Oriente, venne eletto ancora console nel 134 per risolvere la guerra in Spagna, che si trascinava da anni. Distrusse Numanza nel 133 dopo una lunga e tenace resistenza. Aperto ai gravi problemi agrari di Roma, marito di Sempronia, sorella dei Gracchi, si oppose al movimento di Tiberio quando questi si scontrò con gli interessi degli italici ricchi che venivano espropriati. Morì, in seguito ad un infarto, mentre preparava l’intervento al senato che doveva decidere l’esclusione degli italici dalle confische. Per Cicerone fu l’uomo di stato ideale, in cui la raffinata cultura e il valore militare si accompagnavano a un’aristocratica concezione della politica. (Antichità classica, Garzanti). 6. Marco Emilio Scauro, nato nel 163 o 162 a. C., fu console nel 115 a. C. e combatté con successo in Liguria. Sposò Cecilia Metella che alla sua morte sarebbe diventata moglie del dittatore Silla. Insieme al Console Lucio Calpurnio Bestia, di cui era legato in Africa nel 111, concluse con Giucurta, re della Numidia, una pace che diede adito a sospetti di corruzione. Censore nel 109, costruì la via Emilia transappenninica e ricostruì il Ponte Milvio. Morì nell’89 a. C (Antichità classica Garzanti). 7. Marco emilio Scauro (Sec. I a. C.), legato di Pompeo a Damasco fino al 61 a. C. condusse una campagna militare contro il re dei nabatei, Arcta. Ricoprì la carica di edile nel 58; organizzò grandiosi giochi e costruì imponenti opere pubbliche; benché ricchissimo le spese affrontate lo costrinsero a pesanti debiti. Propretore in Sardegna, la sua amministrazione nell’isola gli procurò un’accusa di concussione, ma ne fu assolto per la difesa di Cicerone. Sottoposto nuovamente a processo (52), fu condannato e dovette andare in esilio. (Antichità Classica, Garzanti). 8. Marco Emilio Lepido, console nel 78 a. C. Protagonista delle lotte tra ottimati e popolari in età sillana. Nobile ambizioso, appoggiò il regime di Cinna negli anni 80, ma poi si legò a Silla e accumulò ricchezze durante le proscrizioni. Silla diffidava di lui, ma Lepido ottenne il consolato del 78 mediante l’aiuto di Pompeo. Dopo la morte di Silla, da console, si affrettò a proporre un programma che mirava ad abolire la costituzione sillana tentando di sollevare quegli elementi che, specie in Etruria, erano stati colpiti dalle confische del dittatore, riscuotendo un diffuso consenso. Lepido ruppe con il suo collega di consolato, Quinto Lutazio Catulo. Rafforzato dall’appoggio di un considerevole contingente di truppe nella Gallia Cisalpina, dove aveva una fitta rete di rapporti famigliari ereditata dal nonno Lepido, marciò su Roma ma fu sconfitto nel 77 da Catulo e Pompeo. Si rifugiò allora in Sardegna, dove morì mentre i suoi soldati passavano in Spagna per unirsi al geniale generale mariano, Quinto Sertorio e da lì proseguire una incredibile lotta contro le innumerevoli legioni inviate dal Senato di Roma. Solo nel 70 a quei legionari furono autorizzati poter rientrare a Roma, dopo che lo splendido esperimento democratico di Sertorio terminò non con una sconfitta politica o militare ma per mano di un sicario pagato da Pompeo e dall’oligarchia senatoria. 9 Marco Emilio Lepido, figlio del precedente console nel 46 e 42 a .C., triumviro, dal 43 al 46 a. C., pontefice massimo dal 44 al 12 a. C. esponente della vecchia aristocrazia, legato a caio Giulio Cesare, pretore nel 49, ebbe il governo della Spagna Citeriore nel 48 e fu quindi console nel 46 e magister equituum dello stesso Cesare nel 45 – 44. Inoltre l’influenza di cui godeva per diritto ereditario nella Gallia Cisalpina gli conferirono particolare forza e prestigio, tanto da renderlo, dopo Marco Antonio, l’uomo più potente della fazione cesariana. Nel 43 il suo intervento armato in appoggio di Marco Antonio dopo la battaglia di Modena fu determinante per la costituzione del secondo triumvirato con Antonio e Ottaviano “Gli esponenti di spicco del gruppo cesariano, che allora disponevano di eserciti e che erano contrari a uno scontro tra Cesare figlio e Antonio, serrarono le fila. Erano personaggi molto potenti: Asinio Pollione occupava in Spagna la Betica, Munanzio Planco la Gallia Comata (la Gallia al di là delle Alpi conquistata da Cesare), Emilio Lepido la Gallia Narbonense (corrispondente dell’attuale Provenza) e la Spagna Citeriore. Fu Lepido a mediare tra Antonio e Cesare figlio e da questa mediazione nacque il triumvirato: non un’alleanza privata come era stato il primo triumvirato costituito nel 60 da Pompeo, Cesare e Crasso, ma una vera e propria magistratura sancita da una legge che affidava per cinque anni ad Antonio, Cesare figlio e Lepido l’incarico di ordinare la repubblica” (A. Fraschetti, Augusto, Laterza). In questo modo si assicurò non solo ampi poteri triumvirali ma anche una seconda provincia spagnola. Nel 42 ottenne un secondo consolato. Ebbe inizialmente il controllo di gran parte dell’occidente, compresa l’Italia. Dopo la sconfitta di Bruto e Cassio, la nuova spartizione seguita a Filippi (42) determinò il calo della sua influenza in seno al triumvirato. Nel 39 con gli accordi di Miseno, ebbe solo l’Africa e la Numidia, venne privato della Spagna e della Gallia, mentre furono respinte le sue pretese sulla Sicilia. Tuttavia nel 36 riuscì a trasferire 16 legioni in Sicilia per aiutare Ottaviano contro Sesto Pompeo. Dopo aver accettato la resa della maggior parte delle legioni di Sesto Pompeo, si ritenne abbastanza forte da sfidare Ottaviano e giocare un ruolo indipendente. “….quando Messina si arrese, permise alle sue legioni di saccheggiarla….Almeno centomila soldati, oltre agli ausiliari, si scatenarono per le vie della città in cerca di bottino. Lepido sperava così di legare a se tutti quegli uomini e di farne la base per costruire il proprio potere a Roma. Forte di quell’esercito smisurato, ordinò a Ottaviano di abbandonare l’isola. Svetonio:’Imbaldanzito dall’essere a capo di venti legionari, rivendicava per sé col terrore e con minacce il primo posto nel triumvirato ‘. In quell’angolo di Sicilia, sommando le forze delle due parti, eranno ammassate forse trentasei legioni (150 – 180 mila soldati e un numero imprecisato di ausiliari), pronte ad affrontasri in una carneficina di dimensioni inusitate. Invece avvenne quella che può essere considerata la più grande non – battaglia della storia: ovvero, tra i due eserciti che si fronteggiavano, uno vinse ma senza combattere grazie alle diserzioni subite dall’altro…… Insomma in Sicilia successe l’incredibile. Lepido non era né amato né stimato, mentre Ottaviano si era dimostrato più volte attento ai bisogni dei suoi uomini. Lepido era considerato ambizioso ma indolente; Ottaviano, invece, era visto da molti come una speranza per il futuro. E poi c’era la stanchezza di una guerra civile lunghissima, sanguinosa ed estenuante. Così passarono ad Ottaviano per prime le legioni che erano state di Sesto e poi anche quelle di Lepido, modificando radicalmente i rapporti di forza. Lepido rimase praticamente solo e dovette supplicare per avere salva la vita…….. La storia di Roma conobbe una brusca e determinante svolta per un caso più unico che raro nelle vicende umane: i soldati scelsero di non combattere”(M. Scardigli, La lancia, il gladio, il cavallo, Mondadori) Lepido fu costretto a lasciare il triumvirato e l’autorità proconsolare. Si ritirò a vita privata nel Circeo e conservò soltanto la carica onorifica di pontefice massimo (assunta nel 44) fino alla morte avvenuta nel 12 a. C. Augusto si vantò poi nelle “Res gestae” di aver mantenuto a Lepido questa carica fino alla morte per poi assumerla egli stesso. 10 Marco Emilio Lepido, console, 6 d. C. ricevette gli ornamenti triumphalia per la brillante campagna in Pannonia sotto Tiberio (8 – 9 d. C.). In seguito governò con successo la Spagna Citeriore, ma non fu altrettanto abile proconsole in Asia. La figlia Emilia Lepida sposò Druso figlio di Germanico; l’influenza del padre su Tiberio la protesse finché egli fu in vita, ma nel 36 d. C fu accusato di adulterio con uno schiavo e si suicidò (D. Bowder, Dizionario dei personaggi dell’Antica Roma; Newton Compton). Stefano Vinti Biografia - Wikipedia - M. A. Tomei, “Memoria di Roma”, Mondadori Electa - A cura di E. Lo Cascio, “Roma imperiale”, Carocci editore - Coord. Editoriale di E. Dossi, “Antichità classica”, Garzanti Libri - A. Fraschetti, “Augusto”, Laterza - M. Scardigli, “La Lancia, il gladio, il cavallo”, Oscar Mondadori - Plutarco, “Vita di paolo Emilio” - Svetonio, “La vita dei cesari”, Newton Compton a cura di L. De Salvo Condividi