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di Felice Piersanti L'episodio dei medici che si prendono a pugni in un ospedale di Messina è agghiacciante. Forse si tratta soprattutto di problemi individuali, di patologie personali. Forse è esagerato trarre lezioni generali da simili comportamenti, ma è certamente lecito partire da questo episodio per fare alcune considerazioni. Anzitutto riflettere su quanto sia dannosa la commistione tra pubblico e privato nel servizio sanitario nazionale e l'utilizzazione delle strutture pubbliche ai fini del profitto privato mediante il meccanismo della cosiddetta professione medica intra moenia. I due medici, infatti, si sono contesi una malcapitata cliente in attesa della prestazione. Il tempo pieno negli ospedali, punto di arrivo di grandi lotte dei sindacati e delle organizzazioni mediche più avanzate, è stato soffocato sul nascere da questo meccanismo, che garantisce agli abbienti condizioni privilegiate negli ospedali pubblici. L'intra moenia fu ipotizzata da Rosi Bindi, allora ministro della sanità, quale mediazione per garantire, comunque, la presenza costante dei medici più qualificati negli ospedali. Pensavo allora e penso ancora oggi che fosse un compromesso pericoloso. Con il passaggio del governo alla destra è stata lo strumento che ha svuotato di fatto il tempo pieno dei medici, del quale oggi si è perso perfino il nome. Si parla, invece, di incarico esclusivo, che permette di esercitare, in realtà, la professione dentro e fuori gli ospedali. Si cercano i clienti che portano i soldi e si litiga per essi. «La mala sanità alligna dove la struttura pubblica è stata utilizzata per lucrare politicamente ed economicamente»: sono parole del ministro della Sanità Fazio al Corriere della sera. Ma c'è un'altra considerazione da fare: la figura del medico e degli altri operatori sanitari ha subito un processo di avvilimento negli ultimi anni. La loro carriera dipende da quella particolare categoria di lottizzati costituita dai direttori generali, che scelgono primari e dirigenti. Nel sistema di valori attuale le conoscenze tecniche sono subalterne al ruolo, si fa per dire, manageriale. Resta allora per alcuni la sconfinata prateria della professione privata e dei guadagni personali e la lotta per assicurarseli. Questo meccanismo degenerativo, insito nel sistema creato dalle politiche di destra, ma non solo, non ha fortunatamente coinvolto la stragrande maggioranza degli operatori sanitari, legati al loro lavoro, insofferenti dei meccanismi affaristici e clientelari che soffocano la sanità. Bisogna restituire ad essi la fiducia nella professione e un rapporto con il cittadino malato che non sia legato al mercato. È la tematica della sanità moderna in tutto il mondo: una sanità che deve avere al suo centro il paziente e i suoi bisogni, con un governo clinico basato sulla dignità e sull'autonomia degli operatori nella ricerca dell'eccellenza e, allo stesso tempo, sul loro controllo basato su parametri oggettivi. In Italia esistono grandi tradizioni in materia sanitaria. È bene non dimenticare mai la nostra storia: il convegno della Cgil del 1957, che per primo propose l'istituzione di un Servizio sanitario nazionale; il pensiero di Giulio Maccacaro, l'esperienza di Medicina democratica, la non delega sulla salute degli operai rivendicata nell'«autunno caldo» del 1968, l'alleanza sostanziale del Pci, del Psi e della Dc che portò alla realizzazione del Servizio sanitario nazionale. Ma non basta riferirsi soltanto alle sole tradizioni - è sempre un meccanismo datato e un po' nostalgico - occorre ricordarle e rinnovarle alla luce della medicina moderna. L'impetuoso sviluppo tecnologico degli ultimi anni ha profondamente modificato la medicina, migliorandone le capacità diagnostiche e terapeutiche. L'informatizzazione permette un aggiornamento continuo delle conoscenze, una verifica periodica delle tecniche, un grande sviluppo culturale. È il periodo del lavoro di équipe multidisciplinare e dell'utilizzazione coordinata delle tecnologie. Ma le tecnologie, sotto la spinta delle grandi multinazionali, possono anche essere fonte di spese inutili, e perfino provocare danni. Bisogna padroneggiarle: è il nodo dell'appropriatezza delle prestazioni: devono essere garantite a tutti le prestazioni che servono, anche le più costose, ma solo quelle che servono. I risparmi possibili sono questi e non sono indifferenti. La libera professione aumenta a dismisura in mille modi, confessabili e inconfessabili, il numero delle prestazioni inutili; il tempo pieno, invece, è lo strumento fondamentale per una medicina moderna e qualificata. E ristabilire il primato delle conoscenze scientifiche su quelle manageriali è necessario per prestazioni di alto livello, ma perfino per la razionalizzazione della spesa. L'episodio di Messina, mette in luce sia le aberrazioni possibili del guadagno privato all'interno di un ospedale pubblico, sia il sistema di selezione del personale sanitario, affidato a manager lottizzati. Non sarebbe male che la sinistra proponesse un piano serio di lotta contro speculazioni, affarismi, profitti e lottizzazioni nella sanità per una medicina moderna, altamente qualificata, a disposizione di tutti, senza discriminazioni di censo, di sesso, di nazionalità, riallacciandosi anche ad esempi di regioni virtuose, quali la Toscana e l'Emilia. Da Il Manifesto del 31 agosto 2010 Condividi