DOCUMENTO POLITICO
PRIMO CONGRESSO DELLA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA
(Approvato dal Consiglio Politico Nazionale il 28 luglio 2010)
(versione pdf:
http://www.federazionedellasinistra.com/federazione/wp-content/uploads/2...)
INDICE
I.
1. IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO
2. LE CAUSE DELLA CRISI E LA NECESSITA’ DEL SUPERAMENTO CAPITALISTICO
3. CHI SIAMO E PERCHE’ CI UNIAMO
4. LA FEDERAZIONE E I SOGGETTI CHE VI PARTECIPANO
II.
5. DIFENDERE E ATTUARE LA COSTITUZIONE, RINNOVARE LA DEMOCRAZIA ITALIANA
6. CENTRALITA’ DEL LAVORO
7. LA QUESTIONE DI GENERE
8. BENI COMUNI, AMBIENTE, SOVRANITA’ ALIMENTARE
9. IL DIRITTO AL SAPERE. LA CULTURA PATRIMONIO UNIVERSALE
10. DIRITTI CIVILI E LAICITA’ DELLO STATO
11. PER LA PACE, PER IL DISARMO
12. UNA COSTITUENTE PER L’EUROPA DEMOCRATICA
III.
13. IL CASO ITALIANO: UNA DESTRA EVERSIVA
14. IL CASO ITALIANO: LA CRISI DELLA SINISTRA
15. AUTONOMIA DELLA SINISTRA E UNITA’ DEMOCRATICA
IV.
16. LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA E I GIOVANI: PER UNA SINISTRA CON LO SGUARDO RIVOLTO AL FUTURO
I
1 ) IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO
Il capitalismo non è in grado di garantire lo sviluppo sociale e civile e l’equilibrio ambientale del pianeta.
All’inizio degli anni ‘90 era stata teorizzata “la fine della storia” e l’inizio di un’era nella quale l’economia di mercato e la democrazia politica si sarebbero diffuse su tutto il pianeta, assicurando in modo crescente benessere e libertà. Ma la globalizzazione neoliberista non ha mantenuto le sue promesse. Essa ha determinato al contrario l’aumento della povertà e delle diseguaglianze sociali, su scala planetaria e all’interno dello stesso Occidente; il saccheggio e la privatizzazione dell’ambiente e dei beni comuni, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta; la crisi alimentare, che condanna alla fame oltre un miliardo di esseri umani.
E nell’ultimo triennio la globalizzazione neoliberista ha trascinato l’intero pianeta in una crisi senza precedenti.
La crisi non ha cause episodiche, e tanto meno è conseguenza dell’”ordine naturale” delle cose, come la risorgente ideologia neoliberista vorrebbe far credere. Essa è conseguenza del modello di capitalismo senza limiti e senza regole che ha dominato negli ultimi decenni, del quale la cosiddetta speculazione finanziaria non è un’escrescenza, ma una componente strutturale.
Compito della sinistra, quindi, non è assumere o stemperare il modello economico e sociale del capitalismo, come tentato senza successo negli ultimi decenni dalla sinistra moderata dell’Occidente.
Compito della sinistra è indicare un’alternativa economica e sociale al capitalismo. Un’alternativa per la liberazione del lavoro, l’effettiva autonomia delle donne, il riequilibrio ambientale, il sapere come fondamentale diritto democratico, la liberazione e la libertà di tutti e di ciascuno, il governo democratico dei processi economici e sociali. Uscire da sinistra dalla crisi vuol dire prospettare un’alternativa di sistema: “Il socialismo del XXI secolo”, come dicono i popoli latino-americani. Altrimenti la crisi determinerà un ulteriore aggravamento della devastazione prodotta dall’egemonia del capitalismo neoliberista, che ha aumentato la diseguaglianza di reddito e di potere, ha ridotto i diritti, a cominciare da quelli delle lavoratrici e dei lavoratori, ha reso precaria la vita di un numero sempre crescente di donne e di uomini, e soprattutto dei giovani, ha favorito la repressione della libertà delle donne, ha intaccato la sostanza stessa della democrazia a favore del potere di ristrette oligarchie.
E questo modello lo si è voluto imporre con ogni mezzo, compresa la guerra, come dimostrano le vicende del Medio Oriente, dell’Afghanistan e della crescente tensione in America Latina.
Ci sentiamo parte delle forze, sempre crescenti, che in Europa e nel mondo si battono per costruire un’alternativa di sistema, a partire dal conflitto tra chi controlla la proprietà dei beni economici e chi non ha questo potere, dalla contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro, dalla contraddizione tra i sessi.
Per questo l’alternativa si fonda anzitutto sulla centralità del lavoro: per un sistema economico, una società, un’etica pubblica fondata sul valore sociale del lavoro, sulla dignità e sui diritti di tutte e di tutti.
Alternativa di sistema vuol dire un’economia sostenibile, sovranità alimentare, l’ambiente e le risorse naturali (l’acqua, l’aria, il paesaggio) come beni comuni sottratti al mercato, uno sviluppo durevole alternativo alla crescita orientata sul profitto.
La valorizzazione piena del pensiero e della pratica femministe, contro ogni forma di patriarcato e per rendere effettiva la autodeterminazione delle donne.
I diritti sociali e civili come universali diritti di cittadinanza.
La tutela dei migranti, sottoposti a inaudite sopraffazioni, e l’impegno contro il razzismo, la xenofobia e ogni forma di neofascismo.
Politiche per la piena e buona occupazione che riunifichino, intorno al diritto al lavoro, lavoratrici e lavoratori dipendenti, precari, disoccupati.
Politiche pubbliche per orientare l’economia a fini sociali e per redistribuire le risorse a vantaggio del lavoro e dei ceti popolari.
Il diritto all’istruzione, al sapere, alla conoscenza, garantito dalla scuola e dall’università pubbliche e gratuite.
Indichiamo quindi la prospettiva di un lungo e profondo processo di cambiamento, nel quale il dominio del capitale e del patriarcato venga superato attraverso il conflitto democratico, sociale e ideale, e sia sostituito da un altro sistema economico e sociale: il Socialismo del XXI secolo, una società fondata sul principio di eguaglianza che apra la prospettiva di “una comunità nella quale la libertà di ciascuno è la condizione per la libertà di tutti”.
2) LE CAUSE DELLA CRISI E LA NECESSITA’ DEL SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO
2.1 La crisi economica mondiale costituisce un drammatico passaggio di fase, paragonabile a quello che si aprì nel 1929. La crisi non ha carattere episodico o ciclico, ma è la conseguenza di un sistema dominato dalla logica liberista e dal capitalismo finanziario, che ha determinato l’allargamento del divario mondiale tra la produttività del lavoro e la capacità di consumo dei lavoratori, portando l’indebitamento privato e pubblico a livelli divenuti insostenibili.
Nella fase iniziale della crisi i governi avevano affermato l’esigenza di regolare il mercato, ma l’unico intervento pubblico operato in Occidente è stato l’uso del denaro pubblico per salvare banche, imprese e speculatori. Superata questa fase, senza che sia stata introdotta alcuna regolazione nei mercati finanziari internazionali e senza che i responsabili abbiano avuto alcuna forma di sanzione, viene riproposto lo stesso modello che ha determinato la crisi. Anzi, il modello è aggravato da manovre dei governi nazionali e da proposte di nuovi interventi a livello europeo, voluti da chi vede nella crisi l’occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale e di frammentazione del lavoro. Si colpiscono in tal modo i diritti e i redditi delle lavoratrici e dei lavoratori e i livelli occupazionali, già pesantemente penalizzati negli anni precedenti. I vertici internazionali come il G8 e il G20, nati in alternativa e contro l’ONU e le sue agenzie, non decidono nulla: e così in realtà decidono che il modello finora seguito è valido e da mantenere.
Tornano a governare i mercati, le grandi banche e i fondi speculativi ricominciano a realizzare enormi profitti, mentre le istituzioni maggiormente responsabili del disastro neoliberista (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, OCSE e Banca Centrale Europea) sono all’opera per addossare ai ceti popolari il costo degli interventi adottati per salvare banche e imprese.
Particolarmente significativo è l’attacco alla spesa pubblica: in realtà si intende la spesa sociale. L’esplosione del debito pubblico non dipende affatto dalla spesa sociale. Molti paesi europei prima della crisi avevano bilanci in ordine e bassi debiti pubblici. Gli squilibri derivano dall’ingentissima mobilitazione di risorse necessarie per salvare le banche e dal crollo della domanda interna causata dalla riduzione dell’occupazione e del reddito.
Gli aiuti previsti per gli stati sono subordinati alle tristemente note ricette del Fondo Monetario Internazionale, mentre si prefigura una inquietante revisione del patto di stabilità europeo, per imporre politiche di bilancio ancora più restrittive, decise fuori dalle sedi democratiche dei parlamenti nazionali e con la previsione di pesanti sanzioni.
L’obiettivo è dichiarato: colpire al cuore il modello sociale europeo, nella parte sopravvissuta agli attacchi del liberismo. Disoccupazione, precarizzazione, compressione dei diritti e dei redditi delle lavoratrici e dei lavoratori, riduzione delle prestazioni sociali: questa è la ricetta. Ciò che si vorrebbe imporre ai lavoratori di Pomigliano è emblematico di un orientamento complessivo.
Il progetto così portato avanti non tiene neppure conto degli allarmi lanciati da più parti sul rischio degli effetti recessivi di questi interventi.
2.2 In Italia la manovra del governo peggiora una situazione già pesante. Lo sconsiderato ottimismo del governo Berlusconi, che aveva negato la crisi italiana lasciando che si aggravasse senza fare nulla, è smentito dai dati. Secondo l’Istat, “considerando il biennio 2008-2009 la caduta del livello del reddito ha raggiunto il 6,3%, il risultato peggiore tra quello delle grandi economie avanzate”. Gli occupati sono diminuiti di oltre 500.000, e oltre un milione e mezzo di lavoratori sono in cassa integrazione.
Si aggravano le ingiustizie sociali. Il sistema fiscale è ispirato al principio opposto a quello della progressività previsto dalla Costituzione. L’80% del gettito fiscale complessivo viene dal lavoro dipendente e dai pensionati. Solo lo 0,8% dei contribuenti dichiara più di 100.000 euro l’anno. Il 51% delle società di capitali ha dichiarato una imposta sul reddito negativa o nulla. Secondo i dati della Banca d’Italia le imposte evase superano i 125 miliardi. Basterebbe un quarto di questa cifra perché il rapporto fra debito e PIL divenisse tra i più bassi dell’Unione Europea.
Le sperequazioni sociali sono enormi e crescenti. Il 10% delle famiglie detiene la metà della ricchezza finanziaria e immobiliare. Il Presidente del Consiglio ha guadagnato nel 2009 più di due volte il monte salari dell’intero stabilimento di Pomigliano. L’Amministratore Delegato della Fiat Sergio Marchionne ha percepito un compenso di 4 milioni e 782 mila euro, pari a 435 volte il reddito medio di un suo dipendente. Analoghe retribuzioni sono percepite dagli amministratori delle banche e delle grandi imprese. La Fiat ha distribuito nel 2009 oltre 200 milioni di euro di dividendi alla famiglia Agnelli e agli altri proprietari. L’indice della diseguaglianza sociale in Italia è il più alto dell’Europa continentale (pari a 35, contro 28 della Francia e 23 della Svezia).
In questa situazione la manovra del governo colpisce, secondo un’aberrante logica classista, chi già sta peggio: si riducono le retribuzioni dei dipendenti pubblici, si aumenta l’età pensionabile, in modo particolarmente pesante per le donne, e attraverso i tagli alle regioni e agli enti locali si pongono le premesse per pesanti riduzioni delle prestazioni sociali e dei servizi pubblici, oppure per un aumento dell’imposizione fiscale a carico delle famiglie.
Nessuna misura è stata presa per tassare la speculazione finanziaria, e per chiedere un contributo ai più ricchi in termini di reddito e di patrimonio.
Berlusconi, Marchionne, i proprietari della Fiat, e tutti coloro che si trovano nella stessa condizione non metteranno nemmeno un centesimo di “sacrificio”. Si è calcolato ad esempio che basterebbe un’addizionale del 10% sui redditi superiori ai 200.000 euro per avere un gettito di oltre un miliardo annuo. E con altre misure di questo genere si potrebbe coprire almeno la metà del costo della manovra.
Nel quadro degli interventi previsti dai governi europei, quello del governo Berlusconi è il più classista e il più ingiusto, perché è l’unico che non prevede alcun sollievo alle fasce basse di reddito e non richiede alcun contributo ai ceti più abbienti.
2.3 Quanto sta accadendo in Europa e in Italia conferma che senza profondi cambiamenti sociali il capitalismo prosegue nella sua strada distruttiva. A una crisi sistemica i governi e le oligarchie economiche e finanziarie danno una risposta che accentua gli aspetti socialmente, economicamente e culturalmente regressivi del modello economico dominante. Uscire dalla crisi a sinistra è possibile solo mettendo in discussione questo modello. Si conferma così che per la sinistra l’obiettivo non può essere quello di gestire il sistema economico esistente, ma di porre l’esigenza di una alternativa di sistema al capitalismo in quanto tale.
3) CHI SIAMO E PERCHE’ CI UNIAMO
Chi condivide questa analisi e questi obiettivi ha il dovere di unirsi e battersi per un’alternativa di società. Solo con l’unità è possibile reagire al concreto rischio della scomparsa in Italia di una Sinistra degna di questo nome. Per questo Prc, Pdci, Socialismo 2000 e Lavoro-Solidarietà hanno deciso dar vita a un nuovo soggetto politico, la Federazione della Sinistra, e di invitare a partecipare altri soggetti politici, movimenti, associazioni, cittadine e cittadini che condividono l’impianto di questo progetto.
Indichiamo come nostri riferimenti ideali e storici i momenti più alti della storia del movimento operaio italiano, comunista e socialista, l’antifascismo, i movimenti pacifista, ambientalista, altermondialista, femminista e dei diritti civili.
Ci uniamo per cominciare ad invertire la tendenza alla divisione e alla frammentazione che tanto danno hanno arrecato alla sinistra, alle lavoratrici e ai lavoratori, all’Italia; per dare senso e credibilità alla prospettiva del cambiamento.
La Federazione della Sinistra si propone di costruire, nel tempo e con tenacia, la più ampia unità di tutte le forze politiche, delle organizzazioni sociali e culturali, locali e nazionali, e di tutte le persone che si riconoscono nella critica dell’attuale sistema economico e sociale e nell’obiettivo del superamento del capitalismo e del patriarcato.
L’unità è necessaria per dare credibilità alla costruzione del Socialismo del XXI secolo.
L’unità è indispensabile per mantenere in vita, rinnovandola e rilanciandola, una forza autonoma e indipendente dal centro-sinistra, dotata di un programma per l’uscita a sinistra dalla crisi capitalistica.
L’unità è utile perché identità, culture politiche e pratiche sociali diverse convivano e, riconoscendosi reciprocamente, concorrano alla costruzione di un programma comune e ad assicurare la rappresentanza nelle istituzioni del mondo del lavoro, delle lotte sociali, del progetto di alternativa di società.
L’unità è solida se è capace, nei fatti, di non ripetere i seri errori politici e la tendenza alle scissioni che hanno provocato la più grave crisi della sinistra nella storia italiana.
All’unità non c’è alternativa. Le diverse organizzazioni della sinistra si troverebbero altrimenti a competere fra loro, in una lotta fratricida dalla quale niente di utile può venire alle classi popolari e ai movimenti di lotta.
E’ invece possibile e necessario unirsi sulla base di una comune ispirazione ideale e di una condivisa prospettiva di cambiamento, e sulla base di un programma di lotte e proposte per il paese, capaci di dar vita a un polo sociale, politico e culturale di opposizione al neoliberismo capitalistico e di aggregare le forze necessarie per l’alternativa di società.
Per queste ragioni, dopo la lista comune alle elezioni europee, le assemblee del 18 luglio e del 5 dicembre dello scorso anno, avviamo il Congresso fondativo della Federazione della Sinistra.
4) LA FEDERAZIONE E I SOGGETTI CHE VI PARTECIPANO
La Federazione è un nuovo soggetto politico, unitario e plurale. Non un partito unico, ma nemmeno un cartello elettorale o una sommatoria di due partiti comunisti. E’ un progetto ambizioso e originale che punta a valorizzare e a trasformare in iniziativa politica, conflitto sociale, prassi quotidiana, il patrimonio comune alle differenti soggettività, superando i limiti già verificati della dinamica “scioglimento dei partiti esistenti- costituzione di nuovi partiti”.
E’ un soggetto politico e sociale che vive e trae alimento dalle risorse ideali e umane delle diverse soggettività politiche che costituiscono la Federazione, senza presupporre ne’ implicare lo scioglimento dei partiti esistenti e delle associazioni che decidono di farne parte, e che si propone di costruire una nuova forma della politica, connettendo sociale e politico.
Particolare rilievo assume per la Federazione il radicamento nel mondo del lavoro e la capacità di rappresentarne gli interessi. Per questo è compito politico-organizzativo prioritario la costruzione di circoli della Federazione nei luoghi di lavoro.
Il primo congresso della Federazione è per noi l’inizio di un processo che ha l’ambizione di costruire un polo politico e sociale della sinistra di alternativa dotato della forza e del consenso necessari per affrontare i grandi compiti che sono davanti a noi, per pesare e incidere nella realtà italiana.
In molti paesi europei la sinistra di alternativa ha saputo acquisire un consenso e un ruolo politico e sociale di grande rilievo. Un intero continente, l’America Latina, ha espresso una straordinaria volontà e capacità di cambiamento.
E’ possibile quindi costruire le condizioni del cambiamento.
A tal fine sono indispensabili, insieme, chiarezza negli obiettivi e volontà unitaria.
Per questo la Federazione della Sinistra sarà sempre aperta. Invitiamo tutti i soggetti politici e sociali, tutte le persone che ne condividono l’ispirazione a farne parte, contribuendo a costruire e ad arricchire il programma e l’iniziativa politica, sociale e culturale.
La Federazione della Sinistra decide di presentarsi unitariamente, come soggetto politico, con il proprio simbolo, alle elezioni a tutti i livelli, sulla base della ispirazione e del programma condivisi, e di assumere democraticamente, e in modo vincolante per tutte e per tutti, le decisioni relative alla partecipazione elettorale e le regole per la vita delle proprie rappresentanze istituzionali.
II
5) DIFENDERE E ATTUARE LA COSTITUZIONE, RINNOVARE LA DEMOCRAZIA ITALIANA
5.1 Il degrado della democrazia non è un fenomeno solo italiano; è un processo in atto in tutto l’Occidente, è il portato del capitalismo neoliberista e della globalizzazione senza regole, che non siano quelle del mercato. Il progressivo smantellamento della sovranità nazionale degli Stati fa sì che le decisioni che influiscono sulla vita collettiva siano sottratte alle istituzioni democratiche. Decidono le oligarchie economico-finanziarie, in stretta simbiosi con le oligarchie politiche, che anche attraverso il controllo dei mass media riducono la democrazia a delega passiva.
Questa “post democrazia”, che porta a “governi e legittimazione popolare passiva”, trova in Italia la sua versione più regressiva. La degenerazione oligarchica della democrazia si esprime, nel berlusconismo, attraverso l’ideologia del premier “eletto dal popolo”, che vede nelle istituzioni democratiche l’ostacolo alle decisioni o il nemico da combattere, si tratti del Parlamento o del Capo dello Stato, della Corte Costituzionale o della magistratura.
Nella legislatura in corso si è realizzato un salto di qualità, un attacco più grave e pericoloso, perché rivolto contro i principi della Costituzione, i suoi valori, i diritti democratici e sociali garantiti nella Prima parte.
Si vuole colpire il fondamento stesso della Prima parte della Carta: l’equilibrio tra libertà di impresa, utilità sociale e diritti dei lavoratori.
Lo stravolgimento dell’articolo 41, l’attacco al diritto di sciopero, la violazione del principio di progressività dell’imposizione fiscale, l’arbitro invece del giudice per decidere dei rapporti di lavoro, le ricorrenti aggressioni all’articolo 18 dello Statuto fanno parte dello stesso progetto: si vuole una Costituzione disegnata a misura del mercato e del profitto, non del lavoro, dei diritti della persona, dell’eguaglianza.
E’ necessaria quindi la più ampia unità democratica per contrastare questa offensiva, per difendere la più grande conquista del popolo italiano, la Costituzione del 1948. Una Costituzione difesa dal popolo italiano con la vittoria nel referendum del 24 e 25 giugno del 2006, quando fu abrogato il testo che era stato votato dal centro-destra.
Dell’attacco ai fondamenti stessi della nostra Costituzione fa parte la deriva federalista, che, attraverso continui cedimenti alla impostazione sostanzialmente secessionista della Lega, mette in discussione l’unità nazionale, la solidarietà territoriale, l’eguaglianza e l’universalità dei diritti.
L’attacco convergente all’unità nazionale e alla Resistenza, il momento più alto della storia italiana, rappresenta la becera espressione ideologica dell’aggressione ai principi fondativi dell’Italia democratica.
Non si può non sottolineare che nel determinare questa situazione vi sono responsabilità non secondarie della sinistra moderata, che ha assecondato lo svuotamento progressivo della democrazia. Il presidenzialismo di fatto a tutti i livelli di governo, la valorizzazione di un rapporto di tipo plebiscitario tra leader e popolo, lo svuotamento della partecipazione democratica e del ruolo delle assemblee elettive, i continui cedimenti al federalismo di impronta leghista, l’ideologia e la pratica del bipolarismo hanno colpito, pur senza modificare le norme scritte (tranne la pessima riforma del Titolo V), gli equilibri istituzionali sapientemente delineati nella nostra Carta fondamentale. Il berlusconismo ha così potuto cogliere dall’albero il frutto maturo.
Il bipolarismo forzato, prodotto dalle leggi elettorali maggioritarie, si è rivelato lo strumento delle oligarchie per ostacolare la partecipazione democratica ed escludere dalla vita istituzionale ogni prospettiva di reale cambiamento.
La battaglia culturale e politica contro il bipolarismo e per nuove regole elettorali basate sul principio proporzionalistico è una battaglia in nome dei milioni di cittadini oggi senza rappresentanza, e degli altri milioni che in numero crescente si rifiutano di partecipare alla vita politica e alle stesse elezioni, nell’amara convinzione che chiunque vinca poco cambierà.
5.2 Ci battiamo quindi:
per una democrazia profondamente rinnovata, anzitutto con la difesa intransigente della nostra Costituzione, della quale chiediamo anzi l’attuazione piena, perché siano mantenute le promesse contenute nei suoi Principi fondamentali: l’eguaglianza sostanziale, la centralità del lavoro, la libertà della persona, la necessità di rimuovere gli ostacoli che limitano l’effettività dei diritti per tutte e per tutti.
Contro il federalismo, per le prerogative dello Stato nazionale e a favore di una Repubblica delle autonomie: regioni e comuni per unire il paese, non per dividerlo.
Per ridare centralità alle assemblee elettive, attribuendo loro i poteri decisionali più importanti, che sono stati trasferiti agli esecutivi e ai “capi” dei medesimi.
Per leggi elettorali di impianto proporzionale a tutti i livelli, per ridare senso al confronto politico e ideale tra progetti diversi, e per assicurare la rappresentanza al pluralismo presente tra gli italiani, che è un valore democratico per tutti, non solo per la sinistra.
Per rendere effettiva la libertà di informare e di essere informati, con una legge sul conflitto di interessi, contro l’oligopolio televisivo e per la libertà dei giornalisti nei confronti dei proprietari dei mass media.
Per la riforma dei partiti, che dia sostanza al diritto delle cittadine e dei cittadini di associarsi liberamente per concorrere con metodo democratico alla vita politica, previsto dalla Costituzione.
Per le più ampie forme di partecipazione democratica, garantendo ai soggetti sociali la presenza nei processi decisionali pubblici e riducendo gli ostacoli al ricorso al referendum e alle leggi di iniziativa popolare.
6) CENTRALITA’ DEL LAVORO
6.1 Porre alla base della nostra proposta la centralità del lavoro vuol dire schierarsi dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori nel conflitto con la proprietà; assumere il tema della rappresentanza politica delle lavoratrici e dei lavoratori e impegnarsi quindi per radicare la federazione nei luoghi di lavoro; indicare politiche per la piena e buona occupazione e per la ricomposizione del mondo del lavoro, contro la frammentazione perseguita negli ultimi anni per dividerlo e indebolirlo:
Politiche di intervento pubblico nell’economia, sulla base di un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale, e che preveda la produzione pubblica di beni collettivi, dalla ricerca, alla salvaguardia dell’ambiente, alla pianificazione del territorio da sottrarre alla speculazione, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone;
Politiche fiscali che si basino sul principio della progressività dell’imposizione, e che spostino i carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, ridistribuendo la ricchezza a favore delle famiglie e dei ceti popolari;
Una legislazione del lavoro che contrasti la precarietà, sulla base del criterio per il quale il rapporto a tempo pieno e indeterminato è la forma ordinaria del rapporto di lavoro, e per questo abroghi le leggi che hanno consentito la precarizzazione del lavoro;
Politiche specifiche per l’occupazione femminile, che in Italia è la più bassa d’Europa;
Difendere i posti di lavoro, con una legge che preveda il blocco temporaneo dei licenziamenti;
Prevedere per legge un salario minimo per le lavoratrici e i lavoratori per i quali non vige il contratto nazionale, rapportato a quanto previsto dai contratti nazionali e tale da garantire un trattamento economico che assicuri un’esistenza dignitosa e che contrasti il fenomeno del “lavoro povero”;
Il reddito minimo garantito per disoccupati, intermittenti, inoccupati;
L’attribuzione ai migranti dei medesimi diritti e condizioni di lavoro dei cittadini italiani, l’impegno contro il caporalato e lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori extracomunitari;
Il diritto a una pensione decorosa, integrando con la fiscalità generale l’eventuale deficit derivante dal sistema contributivo e prevedendo l’aumento delle pensioni in essere attraverso meccanismi perequativi che garantiscano a tutti gli anziani un reddito sufficiente;
Il contrasto durissimo agli infortuni sul lavoro, prevedendo misure più incisive, controlli penetranti ed effettive sanzioni penali per i datori che non le rispettano;
Una legge che garantisca la democrazia nei luoghi di lavoro e nella definizione delle rappresentanze sindacali, secondo la proposta di iniziativa popolare della Fiom;
Un polo pubblico del credito, attraverso la proprietà o il controllo delle banche di rilievo strategico, per garantire che il risparmio delle famiglie sia tutelato e utilizzato per investimenti produttivi pubblici e privati, non per speculazioni finanziarie che arricchiscono enormemente poche persone e danneggiano la grande maggioranza dei risparmiatori e dei cittadini.
6.2 In questo quadro la Federazione considera la questione meridionale una grande questione nazionale. Non è tollerabile che una larga parte del Paese sia abbandonata al degrado sociale, al prepotere della criminalità organizzata, a pratiche politiche affaristiche e clientelari. Affrontare in modo determinato e innovativo la questione meridionale significa affermare i principi dell’unità nazionale, della democrazia, dell’intervento pubblico nell’economia e invertire quindi le tendenze involutive dell’ultima fase.
A tal fine occorre far leva sia sulle risorse umane, culturali e ambientali del Sud, sia su politiche perequative nazionali, prevedendo in particolare che il polo pubblico del credito, da noi proposto, assuma come compito istituzionale l’investimento nel Mezzogiorno. Condizione indispensabile per il riscatto del Sud è il rinnovamento della pratica politica e il ricambio dei gruppi dirigenti.
7) LA QUESTIONE DI GENERE
Il rapporto di potere sociale, economico e simbolico tra i sessi, a quarant’anni dalla rivoluzione femminista, permane fortemente squilibrato. Per restare solo in ambito europeo, l’Italia è il Paese in cui la questione femminile si pone con maggiore emergenza.
La restaurazione capitalista ha alimentato forme antiche e nuove di patriarcato, per legittimare un assetto sociale strumento della discriminazione di genere.
Le donne sono oggetto di violenza maschile, in famiglia e nella società. Una cultura della sopraffazione che viene confermata persino dalle sentenze dei tribunali e della Cassazione, dove violenza sessuale e violenza casalinga contro le donne spesso non vengono riconosciute al pari di ogni altra violenza alla persona.
Viene ostacolato, quando non negato, il diritto fondamentale delle donne alla libera scelta sul proprio corpo: aborto, contraccezione, RU486, maternità consapevole, accesso alle tecniche di procreazione assistita, non sono riconosciuti come diritto della persona. Lo Stato, anche attraverso l’ospedalizzazione forzosa, interviene direttamente nelle scelte e nelle decisioni delle donne.
Lo sfruttamento del corpo delle donne attraversa i settori economici, politici e familiari.
L’organizzazione del lavoro e la riduzione dello Stato sociale colpiscono direttamente la libertà delle donne. La disoccupazione e l’inoccupazione femminile, la diffusione del lavoro precario (maggiore che per gli uomini), le differenze di stipendio e remunerazione (mediamente inferiori del 23% a quelle degli uomini), le vessazioni sul lavoro, sono a livello preoccupante per una società del XXI secolo. La carenza di un welfare sociale adeguato si scarica sulle famiglie e da queste sulle donne, per il persistere della visione tradizionale che tende a schiacciare la soggettività delle donne nell’istituto familiare.
E’ impegno della Federazione battersi contro ogni forma di patriarcato e perché ogni donna decida liberamente del proprio corpo e abbia riconosciuti i pieni diritti di eguaglianza, in famiglia, nella società e sul lavoro, sanciti dalla Costituzione.
La Federazione della Sinistra assume il principio della rappresentanza paritaria di donne e di uomini.
8) BENI COMUNI, AMBIENTE, SOVRANITA’ ALIMENTARE
La crisi ambientale, che mette a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta, è la conseguenza, come la crisi economica, delle contraddizioni strutturali del capitalismo, che in nome del profitto assoggetta la natura ad uno sfruttamento indiscriminato.
Solo l’intervento pubblico in economia può creare le condizioni per la riconversione ecologica del sistema produttivo e assicurare al pianeta la tutela delle condizioni di vita, oggi messa a repentaglio dallo sfruttamento privatistico e indiscriminato delle risorse naturali (come dimostra il disastro ecologico provocato dalla BP). Il nuovo modello di produzione e consumo deve basarsi sul principio di limite in una società sostenibile e sull’idea che le risorse naturali costituiscono un bene comune, non merci sottoposte all’appropriazione privata finalizzata al profitto.
Siamo quindi per il NO al nucleare, per seri investimenti nelle energie rinnovabili, per il rispetto delle regole europee sulla riduzione delle emissioni, e sosteniamo la proposta di legge di iniziativa popolare per le energie rinnovabili e la difesa del clima.
La crisi alimentare condanna alla morte per fame e per sete milioni e milioni di essere umani, a causa delle politiche neo-liberiste che hanno accresciuto nel mondo povertà e squilibri territoriali, hanno concentrato nei Paesi più ricchi i luoghi di trasformazione e commercializzazione delle risorse agricole, hanno organizzato attraverso le multinazionali lo sfruttamento delle terre dei Paesi poveri, negando così il diritto fondamentale al cibo per tutti.
Costituiscono per queste ragioni terreno fondamentale di analisi, di proposta e di lotta le questioni della sovranità alimentare e della crisi alimentare e, nel nostro Paese, della difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori italiani e migranti in agricoltura, della tutela dei contadini e dei piccoli produttori agricoli, della valorizzazione dell’agricoltura biologica e dei prodotti tipici, del rifiuto degli OGM, della salvaguardia della bio-diversità, dei terreni agricoli e del paesaggio rurale.
Per noi è centrale l’idea che le risorse naturali sono beni comuni. Quasi vent’anni di privatizzazioni in Italia hanno comportato il declino degli investimenti, l’aumento dei prezzi al consumo e benefici solo per i nuovi proprietari, con profitti e retribuzioni dei manager che hanno raggiunto livelli elevatissimi. E’ ora di invertire la rotta.
Il movimento referendario contro la privatizzazione dell’acqua, da noi sostenuto, esprime una nuova soggettività, che vede nell’acqua il simbolo forte di un legame stretto e imprescindibile fra risorse e comunità.
L’impegno per i beni comuni esprime la tensione verso un modello di società e di economia che va oltre la lotta al mercatismo e la stessa tradizionale logica della statizzazione, per indicare l’obiettivo del controllo sociale e comunitario sui beni comuni, il cui corretto uso è decisivo per garantire sia più giuste relazioni sociali, sia un equilibrato rapporto fra esseri umani e natura. Si indica così la strada di un governo partecipato di questi beni, capace di coinvolgere in modo diretto e con strumenti nuovi le comunità interessate. Sosteniamo la piena attuazione dell’art. 43 della Costituzione, che prevede la possibilità di sottrarre al regime privatistico le attività che riguardano servizi pubblici essenziali, fonti di energia e situazioni di monopolio, attribuendole a comunità di utenti e di lavoratori.
Il territorio è stato sottoposto alla più selvaggia speculazione, spesso con l’avallo dei poteri pubblici. Ciò ha determinato cementificazione, creazione di quartieri ghetto, rottura dei legami sociali, devastazione culturale, a vantaggio di pochi imprenditori privati e senza assicurare l’abitazione a chi non dispone di un reddito adeguato. Diritto alla casa ed equilibrio urbanistico vanno garantiti attraverso forme nuove di compartecipazione sociale alle decisioni pubbliche, sulla base del principio che le aree urbane costituiscono un bene comune.
9) IL DIRITTO AL SAPERE. LA CULTURA PATRIMONIO UNIVERSALE
9.1 Il sapere, la conoscenza, l’istruzione sono un fondamentale diritto democratico. La cultura è un patrimonio universale, prodotto nel corso della storia dell’umanità. La ricerca scientifica non può essere subordinata alla logica del capitale.
Per questo va contrastata con determinazione la tendenza alla privatizzazione del sapere.
Come dice la Costituzione, spetta allo Stato garantire il diritto all’istruzione. L’effettività di questo diritto non sussiste quando, come oggi in Italia, il figlio di un laureato ha la possibilità di conseguire la laurea dieci volte in più rispetto al figlio di chi ha frequentato solo la scuola dell’obbligo. Si perpetuano nelle generazioni diseguaglianze sociali profondamente ingiuste. Tutte le bambine e i bambini, tutti i giovani devono avere pari opportunità nell’accesso alla conoscenza. E ciò non solo per garantire eguali possibilità di accesso ai lavori, ma anche per assicurare a ciascuna e a ciascuno strumenti conoscitivi e di giudizio critico e conoscitivo sulla società in cui vive. Come dice uno slogan del movimento degli studenti, “un popolo di ignoranti è un popolo manipolabile”.
Il pesante attacco alla scuola pubblica, all’università pubblica e alla cultura in atto da parte del governo Berlusconi si fonda su una logica classista che va denunciata ad alta voce. L’obiettivo è di realizzare due canali formativi: una scuola pubblica dequalificata con insegnanti malpagati e demotivati, per i ceti popolari; una scuola privata per ricchi e benestanti, che perpetui le gerarchie sociali esistenti.
Si è ridotto del 25% il bilancio della scuola, si sono colpite le retribuzioni degli insegnanti e del personale non docente, si tagliano 45.000 posti di lavoro trasformando i precari in disoccupati.
Si riducono l’orario scolastico, il tempo pieno nella scuola dell’obbligo, la durata dell’istruzione obbligatoria, si è reintrodotta una canalizzazione precoce al lavoro e si propone l’abbassamento dell’età di ingresso al lavoro a 15 anni.
Rimangono invece intatti i finanziamenti statali alla scuola privata, e altri se ne aggiungono attraverso le regioni, le province, i comuni.
Proponiamo una radicale inversione di tendenza per garantire a tutti, come vuole la Costituzione, l’eguale diritto all’istruzione. Una scuola pubblica, democratica e pluralista. A tal fine occorre:
destinare all’istruzione risorse almeno pari alla media europea, e riservarle alla scuola pubblica, come prevede la Costituzione;
prevedere l’obbligo scolastico fino a 18 anni, garantendo la gratuità della scuola, compresi i libri di testo, con l’obiettivo di portare tutti i giovani al diploma superiore;
valorizzare il ruolo e la professionalità degli insegnanti, con retribuzioni di livello europeo, un piano di formazione e la stabilizzazione del lavoro di tutti i docenti;
garantire il tempo pieno nell’insegnamento elementare;
estendere la scuola dell’infanzia in tutto il Paese, ed in particolare nel Mezzogiorno, dove oggi è quasi inesistente;
assicurare l’insegnamento per i soggetti portatori di handicap;
garantire il diritto all’istruzione dei figli di migranti.
9.2 Altrettanto inquietante è la controriforma dell’università avviata dal governo, che prevede tagli alle spese, la precarizzazione di intere fasce di docenti e la messa a esaurimento del ruolo dei ricercatori, un drastico accentramento di potere a vantaggio di rettori e amministratori, l’inserimento nella guida dell’università di soggetti privati, al fine di subordinare l’università e la ricerca a imprese, banche e oligarchie politiche locali.
L’obiettivo è farla finita con quanto rimane di una università pubblica di qualità e di massa, considerata un pericoloso strumento di mobilità sociale e di “egualitarismo”, e di cancellare ogni residuo di partecipazione democratica.
Condividiamo quindi, e concorriamo a costruire, la mobilitazione di studenti e ricercatori, in atto in Italia e in Europa, contro la privatizzazione dell’università e della ricerca e siamo con i movimenti, come l’onda e gli insegnamenti precari, che si battono per questi obiettivi.
Al tempo stesso riteniamo necessario un profondo rinnovamento dell’università italiana. L’università pubblica, per essere di massa e di qualità, deve garantire a tutti il diritto allo studio e l’accesso alla condivisione dei saperi, privilegiare la ricerca, prevedere l’obbligo di tempo pieno per tutti i docenti, superare l’autoreferenzialità del ceto accademico, combattere ogni fenomeno di parassitismo, ponendo fine a esperienze fallimentari di microatenei, alla pletora di corsi di laurea, alla moltiplicazione di insegnamenti, ogni volta che ciò appaia espressione non di una diffusione della conoscenza, ma di clientelismo accademico.
La garanzia del diritto allo studio richiede l’abolizione del numero chiuso per l’accesso, l’esenzione del pagamento delle tasse di iscrizione per le famiglie a basso reddito, agevolazioni per gli studenti lavoratori e fuori sede, l’effettiva disponibilità per tutti gli studenti di adeguate infrastrutture logistiche e didattiche, il superamento del doppio livello (cosiddetto 3 più 2).
La spesa pubblica italiana per la ricerca, pari all’1,1% del PIL, è largamente inferiore alla media europea del 2% e all’obiettivo del 3% fissato per il 2010 dall’Europa. A sua volta, l’impresa privata italiana ha il record negativo degli investimenti in ricerca: lo 0,55% del PIL, contro ad esempio l’1,83% della Germania. L’obiettivo delle classi dirigenti è quindi quello di privatizzare la ricerca, utilizzando fondi pubblici (con lo strumento della fondazione-università) per porla al servizio dell’impresa. Questa prospettiva contrasta con il principio del valore universale della conoscenza, ed è di corto respiro in un sistema paese che avrebbe bisogno di consolidare la propria economia investendo in ricerca, per competere nel mercato globale fondandosi sulle risorse intellettuali dell’Italia, e non sulla riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori.
9.3 Consideriamo particolarmente grave l’attacco del governo alla cultura, alla sua autonomia e libertà, che si è manifestato anche con i pesanti tagli previsti dalla manovra. Si vogliono colpire strumenti insostituibili di formazione, di coscienza e consapevolezza critiche.
Le politiche di privatizzazione della cultura vanno combattute. Compito dello Stato è infatti sostenere la produzione culturale, sottraendola alla logica della mercificazione, attraverso adeguati stanziamenti, la garanzia dell’autonomia e del pluralismo, la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori della cultura.
10) DIRITTI CIVILI E LAICITA’ DELLO STATO
All’attacco alla democrazia, ai diritti del lavoro, allo stato sociale in corso in Italia si accompagna un attacco ai diritti civili e al principio della laicità dello Stato senza paragoni in Europa.
Come in passato, negli anni ‘60 e ‘70, le lotte per la giustizia sociale e per la liberazione da strutture gerarchiche e autoritarie portò a una stagione di riforme nelle quali avanzarono insieme diritti sociali, diritti dei lavoratori e diritti civili (come il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la legge sull’interruzione di gravidanza), così oggi, al contrario, l’arretramento e le tendenze pesantemente regressive riguardano l’intero arco dei diritti.
Il principio della laicità dello stato non costituisce per noi ragione di un conflitto tra credenti e non credenti. Il dialogo chiede la costruzione di un comune convincimento secondo il quale nessuno può imporre un punto di vista culturale, ideale o religioso con pretesa di assolutezza. Il pluralismo, se ancorato ai valori sanciti dalla Costituzione, non è nichilismo, ma confronto tra ragioni diverse, nessuna delle quali può avere la pretesa di prevalere sulle altre. In una democrazia, e all’interno del quadro costituzionale, il pluralismo è un valore che richiede un dibattito pubblico aperto.
Di fronte alle nuove frontiere che scienza e medicina pongono per la procreazione, la morte e la vita, riteniamo che debba essere garantito il principio dell’autodeterminazione della persona, nell’ambito di regole che ne assicurino l’effettività.
Vanno protetti i diritti di coloro che sono discriminati a causa della loro origine etnica, orientamento sessuale ed identità di genere, religione, ideologia, disabilità, età.
L’effettivo superamento delle discriminazioni derivanti dall’orientamento sessuale e dell’omofobia richiede che l’ordinamento giuridico italiano riconosca il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Non è ammissibile che l’Italia sia uno dei pochissimi paesi europei che rifiuta il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali.
Di una moderna civiltà giuridica fa parte il riconoscimento dei diritti dei migranti, sottoposti oggi a pesanti discriminazioni, a condizioni di lavoro umilianti e troppo spesso illegali, ed esposti agli attacchi razzisti e xenofobi.
Le politiche di respingimento violano il diritto di asilo previsto dalla Costituzione ed espongono coloro che ne sono vittime a gravissimi rischi, che possono riguardare la stessa sopravvivenza fisica. Per questo chiediamo nuove politiche europee e italiane sull’immigrazione, e la sostituzione dei centri di detenzione con strutture che rendano possibile l’inserimento in condizioni civili nella vita del Paese. Siamo favorevoli al riconoscimento del diritto di voto amministrativo agli immigrati residenti.
11) PER LA PACE, PER IL DISARMO
11.1 L’impegno per la pace, contro la guerra e ogni forma di imperialismo e neocolonialismo, per il disarmo è un valore fondante della Federazione della Sinistra.
La globalizzazione neocapitalistica ha comportato il crescente ricorso alla forza militare e alla guerra per garantire all’Occidente, egemonizzato dagli Stati Uniti, il controllo di risorse e mercati e per affermare il proprio dominio politico, economico e culturale.
La crisi economica ha cambiato gli equilibri geopolitici mondiali, e ciò aumenta il rischio di tensioni e conflitti per l’accesso alle materie prime.
Ma le guerre derivano anche dalla povertà e dalla repressione, generano altri conflitti militari, etnici e religiosi, e alimentano il fondamentalismo e il terrorismo.
Dopo la caduta del muro di Berlino, lo scioglimento del Patto di Varsavia e la fine della guerra fredda, invece di promuovere la pace, rafforzare e riformare l’ONU come sede della soluzione politica delle controversie internazionali, gli USA e i paesi occidentali, con decisioni sia unilaterali che multilaterali, hanno ripetutamente violato il diritto internazionale, delegittimato l’ONU e trasformato la NATO in uno strumento di guerra e di aggressione al di fuori dei propri confini. Per questo siamo per l’uscita dell’Italia dalla NATO, per lo scioglimento di essa e perché l’Unione europea, finora drammaticamente priva di una politica comune, adotti una politica europea di sicurezza e di pace.
11.2 Le guerre degli anni ‘90 e del primo decennio del nuovo millennio, utilizzando come pretesti la lotta al terrorismo e a “stati canaglia” e perfino la difesa dei diritti umani, hanno destabilizzato il mondo e accresciuto tensioni e contrapposizioni, con il fine di occupare territori strategicamente rilevanti per le risorse energetiche e naturali.
Anche i governi italiani hanno partecipato a questi interventi, prima nei Balcani poi nell’Iraq (dal quale, anche per nostra iniziativa, il secondo governo Prodi ha poi ritirato il contingente italiano), oggi in Afghanistan. Questi interventi sono in contrasto con il principio di pace posto dall’art. 11 della Costituzione, per il quale l’Italia ripudia la guerra e opera per la soluzione politica dei conflitti internazionali.
Siamo per il ritiro unilaterale del contingente italiano in Afghanistan e per la costruzione in quel paese di una alternativa politica, sotto il controllo dell’ONU, per passare dall’impegno militare a un impegno politico e civile a fianco delle popolazioni vittime dell’oppressione e della guerra, come chiede la Rete delle donne afghane. Gli oltre 550 milioni di euro spesi ogni anno dall’Italia per mantenere la missione vanno devoluti alla cooperazione, al sostegno del processo di pace e all’assistenza alle popolazioni.
Proponiamo la chiusura delle basi militari straniere in Italia e l’abrogazione del segreto e delle prerogative governative sottratte al parlamento dai trattati stipulati nel periodo della guerra fredda.
Chiediamo l’immediata rimozione del blocco immorale e illegittimo imposto dagli USA a Cuba, più volte condannato dall’Assemblea generale dell’ONU.
Nel mondo sono in corso molti conflitti armati. Palestina, Kurdistan, Sahara Occidentale, Colombia, Messico sono solo alcuni esempi. Crescente tensione sta determinando in America Latina la riattivazione della IV Flotta e l’istituzioni di basi militari USA in Colombia. Noi sosteniamo le proposte di soluzione politica e negoziata di tali conflitti. Chiediamo l’abolizione della “lista delle organizzazioni terroristiche” compilata dall’UE.
11.3 Il principale fattore di crisi internazionale e di guerra è oggi costituito dalla mancata soluzione della questione israelo-palestinese. Eppure la pace in quelle terre sarebbe decisiva per porre fine alla stagione dello scontro di civiltà. L’attuale governo israeliano mostra con inaccettabile determinazione la volontà di non procedere nel processo di pace, che deve fondarsi sul ritiro dai territori occupati e su garanzie reciproche di sicurezza, in base al principio “due popoli due stati”. A tal fine gli insediamenti coloniali in territorio palestinese devono essere smantellati, e l’embargo a Gaza va tolto immediatamente. La Federazione della Sinistra è a fianco del popolo palestinese nella sua lotta per il diritto all’autodeterminazione, come previsto da decenni da ripetute risoluzioni dell’ONU.
Nuove inquietanti minacce di guerra si profilano con riferimento all’Iran. Un attacco a quel paese determinerebbe devastanti e inimmaginabili conseguenze. La soluzione negoziale del contenzioso richiede la rinuncia all’arma nucleare da parte di tutti i paesi dell’area, compreso Israele.
Per questo va sostenuta la proposta che è stata avanzata in questo senso da molti paesi del Medio oriente. Ciò costituirebbe il primo passo per l’obiettivo della distruzione di tutti gli ordigni nucleari da parte di tutti gli Stati che ne sono dotati. Siamo per un pianeta denuclearizzato.
La pace e il disarmo sono grandi obiettivi, per i quali si battono importanti movimenti di tutti i continenti. Noi ce ne sentiamo parte, secondo la tradizione internazionalista della sinistra italiana, così come siamo con tutte le forze che nel mondo si battono per la pace, la giustizia sociale, l’equilibrio ambientale e alimentare.
12) UNA COSTITUENTE PER L’EUROPA DEMOCRATICA
E’ in atto un violento attacco all’Europa come soggetto politico e agli ultimi bastioni dello stato sociale in Europa.
Ciò rende ancor più necessaria la costruzione di un’alternativa politica e sociale su scala europea. Le risposte che l’Unione Europea, di concerto con il Fondo monetario internazionale, ha dato fino ad oggi alla crisi non solo evidenziano tutti i limiti dell’attuale costruzione europea, ovvero il suo carattere a-democratico, la sua natura classista e liberista, la sua subalternità all’atlantismo, ma approfondiscono queste tendenze di fondo, come dimostra il progetto di nuove modifiche ai trattati.
Si vuole per tale via scaricare sullo stato sociale e sulla maggioranza della popolazione europea i costi della crisi, oltre che sottrarre agli stati sovranità democratica nelle decisioni in materia di bilancio.
E’ follia ripercorrere la stessa strada che ha portato alla crisi, nell’illusione che liberismo, monetarismo, riduzione della spesa sociale possano determinare la ripresa economica. Una ricetta sbagliata oltre che ingiusta e disastrosa socialmente. Occorre un’altra strada, costruire un’altra Europa.
Proponiamo, anche a partire dal programma comune per le elezioni europee, una rifondazione democratica e sociale dell’Unione europea, su basi opposte a quelle monetariste e liberiste, che hanno avuto e continuano ad avere nella grande coalizione formata da socialisti, popolari e liberali europei la base di consenso politico che è all’origine del ventennio neoliberista. Un patto politico che è stato purtroppo riaffermato con la condivisione bipartisan dei piani di austerità e del vero e proprio “golpe monetario”, con la proposta di riforma del patto di stabilità, volta alla distruzione del modello sociale europeo. Queste le nostre proposte.
Sostituire il Patto di stabilità con un patto per la piena occupazione e la riconversione sociale ed ambientale dell’economia.
La socializzazione del sistema bancario e finanziario, con il controllo pubblico del credito.
La ridefinizione dello statuto e della missione della Banca centrale, che va sottoposta ad un controllo democratico.
L’armonizzazione dei sistemi fiscali dei paesi europei, fondata sul principio della progressività delle imposte.
Un piano europeo per la ripubblicizzazione di quanto privatizzato, a partire da beni comuni e servizi pubblici essenziali, come l’educazione , la salute, l’acqua , l’energia, i trasporti.
L’introduzione della Tobin Tax per tassare i capitali speculativi e l’abolizione dei paradisi fiscali.
Un piano per la piena occupazione, con la creazione di un fondo finanziato con la tassazione della speculazione finanziaria e della rendita.
Il blocco dei licenziamenti e delle delocalizzazioni. Le imprese che usufruiscono di contributi pubblici non devono licenziare o usare questi fondi per spostare le produzioni.
Un salario minimo europeo e un reddito sociale.
L’attuale assetto istituzionale dell’Unione non consente la realizzazione di questi obiettivi. I trattati vigenti lo impediscono, e affidano il potere effettivo ai governi, ai tecnocrati, ai burocrati, sottraendolo ai popoli europei.
Per questo alla lotta sociale si collega la necessità di rendere democratica l’Unione.
Avanziamo la proposta di una Assemblea costituente europea, eletta direttamente dalle cittadine e dai cittadini europei, che abbia il potere di riscrivere i trattati e di dare all’Unione basi democratiche.
La sottrazione di sovranità democratica e popolare operata negli anni ha costruito un’Europa burocratica e tecnocratica. Vogliamo un cambiamento profondo che spazzi via l’Europa dei banchieri e delle multinazionali, per costruire l’Europa sociale, democratica e dei popoli. Per queste ragioni la Federazione della Sinistra si colloca con le forze politiche che in Europa si riconoscono nel Gue e nel Partito della Sinistra Europea, e insieme a loro lavora alla costruzione di un fronte sociale e politico antiliberista anche nel nostro continente.
III
13) IL CASO ITALIANO: UNA DESTRA EVERSIVA
Il centro destra italiano presenta il volto peggiore e più inquietante, senza paragoni in Europa, delle tendenze regressive del capitalismo contemporaneo.
L’attacco alla Costituzione, la delegittimazione di ogni soggetto costituzionale che non sia il capo del governo (dal Parlamento alla Corte Costituzionale, dalla Magistratura fino alla stessa Presidenza della Repubblica), il disprezzo per la legalità, la tolleranza per la corruzione colpiscono al cuore i principi e la logica stessa della democrazia. Questi attacchi stanno incidendo sul senso comune degli italiani, creando consenso intorno a una concezione e a una prassi plebiscitarie e autoritarie della democrazia.
Il controllo del sistema radiotelevisivo mina il diritto dei cittadini ad una informazione pluralista: si conferma il serio errore compiuto dai governi del centro sinistra nel non approvare la legge sul conflitto di interessi.
Aldilà delle dichiarazioni di intenti, e della positiva azione della magistratura e delle forze dell’ordine, la presenza nel governo di esponenti indagati per collusione con la criminalità organizzata dimostra che non si vuole colpire a fondo il sistema mafioso, che ha la sua forza proprio nel rapporto con il potere politico e finanziario. Il risultato drammatico è che la mafia continua a esercitare il suo potere in vaste aree del Mezzogiorno, con una sospensione di fatto dello Stato di diritto e della stessa democrazia.
Parallelamente prosegue l’attacco allo stato sociale, ai diritti dei lavoratori e ai più elementari criteri di giustizia sociale, come risulta dai contenuti della manovra finanziaria. La volontà di mettere mano all’art. 41 della Costituzione rappresenta il vero e proprio manifesto della volontà di colpire la sostanza stessa della Prima parte della Carta fondamentale.
C’è un rischio grave per la democrazia del nostro Paese, che può persino richiamare per alcuni aspetti il ricordo del fascismo, sconfitto dalla lotta di Resistenza e dalla conquista della Costituzione repubblicana.
Il berlusconismo trova il suo terreno di coltura e il suo referente sociale nel capitalismo italiano, che a sua volta si è rivelato nell’ultimo ventennio uno dei più regressivi a livello internazionale, avendo puntato, invece che su investimenti in innovazione e ricerca, sulla compressione dei salari, dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e sull’evasione fiscale.
Di fronte a questa involuzione autoritaria, che ripropone il sovversivismo delle classi dominanti italiane, è necessario lanciare l’allarme e invitare all’unità tutte le forze politiche, sociali e culturali, per realizzare un largo fronte di opposizione.
Va condotta una battaglia culturale, per costruire un nuovo senso comune, che contrasti il revisionismo dilagante e i processi di passivizzazione portati avanti attraverso il sistema massmediatico.
Ancora più grave è la situazione se si considera la presenza e il ruolo determinante nella maggioranza di governo della Lega. Questa formazione politica rappresenta la versione italiana del populismo xenofobo che si viene purtroppo diffondendo in Europa, aggravato da un secessionismo strisciante mai apertamente rinnegato. Il ruolo determinante della Lega al governo spinge per un federalismo antisociale ed antiegualitario, del quale il federalismo fiscale è il primo tassello. Si determina un vero rischio, che non deve essere in alcun modo sottovalutato, per l’unità nazionale.
In definitiva, questo governo e questa maggioranza vogliono, con la connivenza o l’inerzia dei potentati economici e finanziari, consolidare il proprio potere sulla base del degrado democratico e sociale e della divisione del Paese.
14) IL CASO ITALIANO: LA CRISI DELLA SINISTRA
14.1 A determinare l’emergenza democratica e sociale dell’Italia hanno concorso le scelte della sinistra italiana nell’ultima fase: scelte evidentemente sbagliate, errori da non ripetere, se oggi in Italia le forze a sinistra del PD sono fuori dal Parlamento nazionale ed europeo, divise e frammentate; e se la parte maggioritaria del PDS è confluita in un nuovo partito che rifiuta di definirsi di sinistra. Il risultato è l’altra faccia del caso italiano oggi: il paese europeo che aveva la sinistra più forte, rischia ora l’assenza di una sinistra degna di questo nome. E’ la necessità di reagire a questa situazione la ragione prima della nascita della Federazione della Sinistra.
Nel corso degli anni ‘90 gran parte dei partiti socialisti e socialdemocratici hanno accettato la logica del capitalismo e hanno sposato e spesso attuato dal governo le politiche neoliberiste. Hanno così scelto di competere al centro, e di privilegiare gli interessi imprenditoriali, rinunciando al compito di rappresentare gli interessi dei ceti popolari. In Italia il PDS, poi DS, ha seguito questo percorso.
A questa scelta si sono accompagnate scelte istituzionali (il bipolarismo maggioritario e parapresidenzialista, la subalternità al federalismo leghista), per poi subirne le conseguenze con le ripetute vittorie della destra. Tutto ciò ha prodotto un circolo vizioso fatto di delusioni dell’elettorato di centrosinistra e di successi della destra, ai quali si è risposto con processi politici che alla fine hanno prodotto un partito, il PD, che nega esplicitamente di essere di sinistra e che ha proposto l’obiettivo del bipartitismo come approdo della transizione del sistema politico italiano.
La nuova segreteria del PD sembra aver superato l’idea dell’autosufficienza e dal bipartitismo. Sul versante delle politiche economiche e sociali, nonostante l’emersione di accenti diversi rispetto al passato, non è messo in discussione l’orientamento di fondo, e in particolare la scelta aclassista, come dimostrano le posizioni assunte sullo sciopero della Cgil e su Pomigliano.
Attrazione crescente anche sull’elettorato di sinistra esercita l’Italia dei Valori. Essa appare la forza parlamentare più determinata nell’opposizione a Berlusconi. Ma l’ambiguità su questioni fondamentali come la politica estera, la politica economica e sociale, i diritti civili, la spinge a scelte profondamente sbagliate, come il voto favorevole sul federalismo fiscale o la promozione di una campagna referendaria alterativa a quella promossa dai Comitati contro la privatizzazione dell’acqua.
14.2 Quanto alle forze politiche a sinistra del PD, pesano gli errori commessi negli ultimi dieci anni. Una grande stagione di mobilitazione su temi propri della sinistra aveva caratterizzato l’inizio del decennio: il movimento altermondialista e quello per la pace, la battaglia condotta dalla Cgil sull’art. 18 dello Statuto e quella dei “girotondi” a difesa della legalità democratica. Furono movimenti che coinvolsero diversi milioni di italiane e di italiani, e videro un’opinione pubblica largamente favorevole. Ma se i partiti dell’Ulivo agirono più o meno apertamente per non dare seguito a questi movimenti, che non rispondevano al loro orientamento politico e sociale moderato, le forze della sinistra operarono alla fine, in vista delle elezioni politiche del 2006, una riduzione istituzionalista, accettando in pieno il quadro bipolare, nell’illusione che bastasse condividere un programma di governo per sciogliere i nodi politici e le differenze di impianto con gli altri partiti della coalizione.
La difficoltà emerse già in campagna elettorale, tanto che il risultato del voto fu in termini numerici di sostanziale pareggio, e solo il premio di maggioranza consentì all’Unione di disporre della maggioranza alla Camera, ma non al Senato.
Dopo il voto, all’interno del governo prevalsero tendenze moderate o apertamente monetariste. Sarebbe stato necessario allargare il consenso negli strati popolari, attuando la parte più avanzata del programma. Prevalse invece, la “politica dei due tempi”, con la manovra e la prima legge finanziaria del governo Prodi.
Si creò così scontento e delusione nell’elettorato di sinistra. Quando poi la componente moderata della maggioranza diede vita al PD, e il segretario di questo partito diede il colpo di grazia al governo proclamando la scelta di rompere l’alleanza, la reazione della parte prevalente della sinistra fu di accettare quella che fu definita una “separazione consensuale”.
La crisi di governo fu aperta a destra, ma le responsabilità furono accollate alla sinistra. Quando questa poi si presentò alle elezioni con un cartello elettorale con un simbolo e nome del tutto inediti, che cancellavano anche graficamente le identità e la storia delle forze che la componevano, milioni di elettori le tolsero il consenso, in parte astenendosi, in parte attratti dall’illusoria sirena del voto utile.
Nella fase successiva, prevalse la triste logica della scissione e della divisione a sinistra. Le elezioni europee e poi quelle regionali e amministrative hanno dimostrato che esiste un consenso, tra le varie formazioni della sinistra, che supera i 2 milioni di elettori e il 6% dei voti. Ma la divisione ha impedito a questo consenso di eleggere propri rappresentanti nel parlamento europeo e in molti consigli regionali e locali.
La diversità tra la nostra piattaforma e il nostro progetto politico rispetto a quello di Sel non va negata e nemmeno sottovalutata.
In particolare, riteniamo che la sinistra debba costituire un polo autonomo, e non una componente del centrosinistra, interna alla logica del bipolarismo. E non condividiamo una visione e una prassi lideristica e plebiscitaria della politica.
Tuttavia ciò non può e non deve impedire una unità di azione a sinistra, possibile per battaglie su temi condivisi (come dimostrato dal comune giudizio sulla manovra e su Pomigliano), e per affrontare in modo convergente le prossime elezioni amministrative.
Il nostro invito unitario si rivolge a tutti i soggetti politici (come Sel, Sinistra Critica, Pcl, Rete dei Comunisti) e sociali, che condividono la necessità di un cambiamento profondo della società e del rilancio della democrazia.
Naturalmente il recupero del consenso elettorale, necessario perché la sinistra disponga della “massa critica” per contare, incidere, essere credibile davanti ai lavoratori e al Paese, non può limitarsi all’unità tra le forze politiche della sinistra. L’astensionismo crescente, movimenti come quello “Cinque stelle”, che contestano il sistema politico nel suo insieme, ma sono attraversati da temi di sinistra, la rete dei comitati e delle associazioni presenti nel paese, luoghi del conflitto sociale, e soprattutto gli operai, le lavoratrici e i lavoratori colpiti dalla crisi: è qui uno straordinario terreno di impegno, certamente difficile da praticare, ma indispensabile per ridare alla sinistra italiana la forza e il peso che nella storia del nostro Paese sono sempre stati decisivi per consentire l’avanzamento della democrazia e dei diritti.
15) AUTONOMIA DELLA SINISTRA E UNITA’ DEMOCRATICA
15.1 Nel rapporto con le altre forze politiche dell’attuale opposizione ribadiamo anzitutto l’autonomia della sinistra. Autonomia di pensiero e di giudizio critico sul capitalismo; autonomia nella pratica sociale, nel rapporto con le lotte, con i movimenti, con le associazioni; autonomia politica e programmatica. Autonomia dal sistema quindi: e per questo parliamo di “sinistra di alternativa”.
Autonomia politica vuol dire anche la consapevolezza che solo una sinistra forte autonoma e unita può evitare la subalternità alle forze moderate oggi dominanti nel centro sinistra; e che ciò è possibile solo attraverso il superamento del “bipolarismo coatto”.
Autonomia non significa naturalmente rinunciare alla prospettiva unitaria, che sempre è stata un punto di forza della sinistra italiana. Dall’opposizione, unità vuol dire anzitutto iniziative e mobilitazioni comuni contro il governo e a difesa della democrazia.
Di fronte all’inquietante offensiva antidemocratica e antisociale del governo, la mobilitazione e la protesta non può essere affidata esclusivamente ai soggetti sociali e istituzionali direttamente colpiti, né è sufficiente che le singole forze di opposizione agiscano ciascuna per sé, magari nell’illusione che le divisioni, che pure esistono, all’interno della maggioranza possano frenare l’attività eversiva del governo e creare lo spazio in questa legislatura a nuovi schemi politici.
Per i partiti di opposizione è un dovere nei confronti del Paese dare vita a una mobilitazione unitaria che, rispettando la diversità di posizioni programmatiche, manifesti con determinazione la volontà di battersi a difesa dei valori e dei diritti sanciti dalla Costituzione. E’ il dovere di reagire contro il rischio di passività politica, che può diffondere nel Paese il convincimento di una opposizione debole, divisa e incapace di contrapporsi efficacemente all’azione eversiva del governo. La mobilitazione unitaria dell’opposizione è necessaria per dare invece un segnale di fiducia e di speranza ai milioni di italiane e di italiani che chiedono di sconfiggere questo governo e impedire che la compressione delle libertà e dei diritti sociali e dei lavoratori e l’attacco alla Costituzione siano portati a compimento.
Per questo proponiamo, in primo luogo, a tutte le forze a sinistra del PD di dar vita a un tavolo per costruire insieme la massima forma di unità possibile, contro le politiche del governo, del padronato e dell’Europa, invertendo la tendenza alla divisione e alla contrapposizione.
Proponiamo, inoltre, il massimo di unità contro il governo Berlusconi tra tutte le forze dell’opposizione politica e sociale, anche dando vita a un coordinamento permanente delle opposizioni.
15.2 Per quanto riguarda le prossime elezioni politiche, per le ragioni sopra esposte, non riteniamo esistano le condizioni per un comune programma di governo e per la partecipazione al medesimo della Federazione. La diversità profonda di impostazione programmatica con il PD determinerebbe per la sinistra il rischio della subalternità, oppure di una continua conflittualità.
Ciò non vuol dire naturalmente essere indifferenti rispetto allo schieramento che prevarrà in una competizione elettorale, che tutto lascia prevedere destinata a svolgersi con l’attuale legge elettorale maggioritaria. Il nostro giudizio sul carattere eversivo della destra italiana non lo consente.
Come scrisse Antonio Gramsci nel 1925, “il Partito Comunista non può disinteressarsi della forma del governo borghese sotto il quale esso deve svolgere la sua azione. D’altra parte le masse che noi dobbiamo convincere e conquistare non ci comprenderanno mai se con la nostra tattica elettorale noi favoriremo il trionfo della peggiore reazione”.
Per questo proponiamo di dar vita, costruendola da oggi, a una coalizione democratica per sconfiggere Berlusconi e Bossi, sulla base di una piattaforma di ripristino e di rinnovamento della nostra democrazia: la più rigorosa difesa dei diritti democratici, sociali e dei lavoratori e delle lavoratrici, previsti dalla Costituzione, una legge elettorale di impianto proporzionale, la legge sul conflitto di interessi, regole rigorose su questione morale, etica pubblica e principio di legalità.
IV
16) LA FEDERAZIONE DELLA SINISTRA E I GIOVANI: UNA SINISTRA CON LO SGUARDO RIVOLTO AL FUTURO
16.1 L’Italia non è destinata ad essere governata per sempre dal triste connubio tra casta, cricca, e, troppo spesso, criminalità organizzata. I giovani non sono destinati a un futuro di precarizzazione del lavoro e della vita stessa. Secondo gli ultimi dati in Italia un giovane su tre è disoccupato; dei giovani che lavorano, uno su due è precario; i salari sono i più bassi d’Europa. La mobilità sociale è bloccata.
Si può e si deve reagire. Dare ai giovani la prospettiva di un futuro diverso, di un’Italia giusta e onesta è il nostro primo obiettivo. A tal fine è centrale la battaglia per il rinnovamento della politica.
Enrico Berlinguer comprese che la questione morale è un cancro che corrode la democrazia, non solo un problema di codice penale. Lanciò l’allarme e indicò la via di un profondo rinnovamento dei partiti basato sull’allargamento della democrazia.
Avrebbe potuto essere una grande occasione per la sinistra. Ma dopo l’esplosione di tangentopoli si è seguita la via opposta, quella di una ristrutturazione del sistema istituzionale, elettorale e amministrativo che, restringendo gli spazi di democrazia, ha creato le condizioni per l’aggravamento della questione morale.
Questa ristrutturazione è stata condotta all’insegna di uno pseudo presidenzialismo plebiscitario, per il quale il potere si deve concentrare a tutti i livelli nell’”eletto dal popolo”, di un malinteso federalismo e dell’ideologia istituzionale del neoliberismo, che hanno eliminato ogni genere di controllo e deregolato l’esercizio del potere (con le “procedure in deroga” del sistema della Protezione Civile sono stati spesi dal 2001 oltre 13 miliardi di euro). Il risultato è stato il dilagare della illegalità, mentre l’unica forma di controllo è affidata al processo penale.
Lo smantellamento dei partiti tradizionali, delle loro storie e identità, ha concorso a sradicare la politica dalla sua funzione alta, ha incentivato il trasformismo e il clientelismo, facendo prevalere la ricerca del potere ad ogni costo.
Si propongono ora rimedi ancora peggiori, come la riduzione del numero dei componenti delle assemblee elettive; mentre non è la rappresentanza a dover essere colpita, ma le prebende, i privilegi, gli sprechi, gli strumenti del clientelismo, che non vengono invece nemmeno sfiorati.
L’impegno sulla questione morale è pertanto una delle ragioni fondamentali della battaglia per il rinnovamento della politica, contro il bipolarismo e per le riforme democratiche che proponiamo. La questione morale riguarda Berlusconi, ma non solo lui: coinvolge ormai larghi settori del sistema politico. La battaglia per l’indipendenza della magistratura è per noi la difesa non dei privilegi di un ceto, ma del diritto della cittadina e del cittadino a una giustizia efficiente e uguale per tutti, contro le pretese di autotutela delle oligarchie.
La questione morale riguarda la politica, ma non solo la politica: larga parte delle classi dirigenti economiche, finanziarie e burocratiche ne sono coinvolte. Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa agli italiani oltre 60 milioni di euro l’anno. Se si aggiunge il costo dell’evasione fiscale, si comprende che se le oligarchie dirigenti rispettassero il principio di legalità, i conti pubblici sarebbero perfettamente in ordine e vi sarebbero anzi risorse da destinare alla spesa sociale.
Particolarmente grave in questo quadro è l’intreccio perverso tra politica, affari e mafia. Ciò determina in vaste aree del Mezzogiorno una vera e propria sospensione della democrazia e dell’idea del lavoro come diritto.
16.2 Cambiare questo stato di cose richiede l’impegno, anzitutto a sinistra, per ridare significato ideale alla politica, per rendere attrattiva la militanza nei partiti. Senza partecipazione democratica, senza una forte tensione ideale, i partiti si riducono a strumenti nelle mani di poche persone e la militanza si trasforma spesso in carrierismo.
Nell’impegno per il rinnovamento della politica, dobbiamo partire anzitutto da noi stessi. Non possiamo pensare di essere immuni dai fenomeni degenerativi. E’ serio il rischio che anche la sinistra sia avvertita come “interna” a un sistema politico corrotto e separato dai bisogni sociali, e per questo completamente contraddittorio con i nostri principi, valori e programmi. La Federazione si darà pertanto regole di comportamento per candidate e candidati, elette ed eletti, e dirigenti politici, per il rispetto rigoroso non solo della legge, ma anche dei principi di etica pubblica e di sobrietà dei comportamenti, che costituivano in passato un grande patrimonio di credibilità per la sinistra italiana.
La battaglia per il rinnovamento della politica è un dovere innanzitutto verso le nuove generazioni. Il messaggio che lanciamo è di non rassegnarsi a un futuro senza speranza.
Per questo serve una sinistra unita e rinnovata anzitutto nel modo di praticare la politica; una sinistra che sappia svolgere i compiti di mobilitazione sociale, di radicamento nei luoghi di lavoro, di rapporto costruttivo e rispettoso con le tante associazioni e movimenti che operano per un’Italia diversa, a cominciare da quelle che si battono con coraggio contro la mafia, contro il razzismo, contro il neofascismo comunque mascherato. E una sinistra aperta e accogliente anzitutto per i giovani, una sinistra che sappia connettersi con le nuove forme di conflitto, ascoltare i nuovi movimenti giovanili.
La Federazione assume il compito di trasmettere alle nuove generazioni gli ideali, la speranza e la lotta per un futuro diverso, che hanno caratterizzato la sinistra italiana nel ‘900, e capace al contempo di leggere le nuove forme del conflitto. Una sinistra che insieme ai giovani costruisca gli strumenti di emancipazione individuale e collettiva e metta in campo una nuova generazione di militanti e dirigenti politici.
Siamo consapevoli che questi obiettivi devono essere conquistati, che dobbiamo costruirli insieme. Per questo diamo vita alla Federazione della Sinistra, per questo raccogliamo la sfida che la classe operaia lancia al Paese, a partire da Pomigliano: ridare all’Italia, alle lavoratrici e ai lavoratori, alle nuove generazioni, una grande forza della sinistra, moderna perché orgogliosa della propria storia, che indichi l’orizzonte di una società più giusta, di un altro mondo possibile.
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