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Roberta Ronconi Oggi l'intero mondo del cinema la piangerà. Se n'è andata dopo lunga malattia la regina indiscussa della sceneggiatura italiana, Suso Cecchi D'Amico. Aveva novantasei anni, portati tutti con schiettezza - gli ultimi certo, acciaccati - disincanto, ironia infinita e nobiltà d'origini mischiata all'acquisita popolarità romana. Non vedere più Suso Cecchi nemmeno nelle rarissime occasioni in cui appariva - ancora fino a un paio d'anni fa - sarà una mancanza per molti, per tutti. Perché senza essere mai diventata un mito - i termini roboanti crediamo la facessero ridere - è stata amata da diverse generazioni anche per il solo fatto di essere stata testimone vivente del Mestiere di fare film. Dell'industria cinematografica italiana sapeva praticamente tutto, in quanto protagonista o perlomeno testimone. Nasce culturalmente nobilissima, figlia del critico d'arte e letterario fiorentino, Emilio Cecchi, e della pittrice Leonetta Pieraccini. A Roma frequenta il liceo francese Chateaubriand e studia l'inglese, lingue che userà sin da giovnissima come traduttrice per testi teatrali. Dopo lunghi soggiorni all'estero, viene assunta in un ministero fascista per intercessione del gerarca Giuseppe Bottai, frequentatore dei salotti intellettuali romani. Sposa il musicologo Fedele D'Amico (figlio di Silvio) dal quale avrà i tre figli: Masolino, Silvia e Caterina. Sono le amicizie strettissime con Ennio Flaiano, Renato Castellani, Alberto Moravia e Carlo Ponti ad avvicinarla, dopo la guerra, al mondo del cinema e delle sceneggiature, dove il giro di amicizie care si allargherà a Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Cesare Zavattini. Mette la sua firma su tutta la migliore produzione italiana, a partire dagli esordi con Mio figlio professore di Castellani, per proseguire con Zampa ne L'Onorevole Angelina e Zavattini e De Sica per Ladri di biciclette. A questi ultimi due sarà legata per anni, condividendo con loro l'ispirazione un po' fantastica legata al quotidiano, la leggerezza della visione e la profondità e precisione della scrittura, doti che Suso metterà sempre come una sorta di firma personale nei lavori di tutti gli autori - più o meno capaci - con cui collaborerà. Diventa la sceneggiatrice abituale di Antonioni (Le amiche), di Rosi (I magliari, Salvatore Giuliano, Camicie rosse), di Blasetti (Peccato che sia una canaglia). Con Visconti poi il rapporto sarà lunghissimo (Bellissima, Senso, Il Gattopardo, Vaghe stelle dell'Orsa, fino a Gruppo di famiglia in un interno e L'innocente). Bella e forte anche la relazione con Luigi Comencini (per lui, le sceneggiature televisive di Le avventure di Pinocchio e Cuore), mentre con Zeffirelli si dedica alle grandi produzioni internazionali di La bisbetica domata, Fratello Sole, Sorella Luna, Gesù di Nazareth). Per Citto Maselli (con il quale collaborò per Gli indifferenti), Suso era un punto di riferimento non solo professionale: «Per me ha avuto un ruolo fondamentale la sua famiglia. Non solo per l'influenza del padre e del fratello, ma anche per quella del marito Fedele D'Amico, grande musicista e uno degli inventori dei cattolici-comunisti. Suso e la sua casa, anche per questo, hanno rappresentato un punto di riferimento culturale in senso lato». Amico di sempre e per sempre, infine, Mario Monicelli, con il quale condivideva tante di quelle cose da ritenerlo «l'unico con cui potrei convivere». In comune tra i due anche quella toscanità, acquisita dai padri, forzatamente abbandonata in favore del generone romano. Negli ultimi due decenni, Suso Cecchi si è impegnata anche nell'insegnamento del suo mestiere ai più giovani (compresa una cattedra al Centro Sperimentale di Cinematografia), invitandoli costantemente a tenere i piedi per terra. «Per scrivere sceneggiature ci vuole talento - dichiarava senza false illusioni in un'intervista di qualche anno fa - e in Italia si produce troppo poco perché tutti i giovani che scrivono per il cinema possano trovare una collocazione». Zeppo di begli aneddoti il racconto che Suso Cecchi d'Amico ha regalato a Margherita D'Amico in Storie di cinema (e d'altro). Ed è con alcune sue parole tratte da questo testo che chiudiamo il pezzo e rispettosamente la salutiamo, dopo averla incrociata e ammirata per anni lungo i corridoi della comune passione. «Il cinema è la mia professione, un lavoro che ho avuto la fortuna di fare divertendomici anche, e di amare moltissimo. Ma la mia vita non si esaurisce nel lavoro ed è addirittura possibile che, curiosa e disponibile come sono sempre stata, avrei finito per trovarmi bene anche se mi fossi occupata di architettura, di medicina o di numismatica. L'elemento insostituibile, al quale avrei sacrificato qualunque cosa, è stato invece quello costituito dalle mie famiglie, quella dei miei genitori prima e quella con mio marito e i nostri figli e nipoti poi, con tutto quel che hanno comportato e che ha gravitato intorno». Da Liberazione dl 1 agosto Condividi