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Di Frtancesco Piccioni «Per il pagamento del premio di risultato e contro i licenziamenti politici». Si fermano per due ore, domani, le fabbriche italiane del gruppo. Marchionne scorpora l'auto dalle altre attività e pretende «relazioni industriali più moderne», con soluzioni diverse «impianto per impianto» L'«anima americana» ha preso il sopravvento. Per la nuova Fiat - che per la prima volta ha riunito il suo consiglio di amministrazione ad Auburn Hills, quartier generale di Chrysler, nel Michigan - i lavoratori devono comportarsi come un qualsiasi carrello trasportatore: obbedienti, a disposizione, muti. Niente più contratti nazionali, norme valide ovunque, ma sistemi di regole validi «impianto per impianto». Volendo fugare «gli inquinamenti» nella discussione sulla «filosofia Fiat» espressa nel piano per Pomigliano, Sergio Marchionne ha finito per confermare in toto tutte le accuse fin qui mossegli. «La Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti», e quindi «dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività». Allo stesso tempo, ha spiegato di «non avere in mente una duplicazione del modello Pomigliano». La soluzione, per l'appunto, andrà trovata «impianto per impianto». L'unico problema generale - tutto politico - è quello di «convincere i sindacati sulla necessità di modernizzare i rapporti industriali». Sui contenuti di questa «modernità» si era già espresso. L'analogia con il carrello, in ogni caso, non è gratuita. A Melfi, ieri mattina, è stato depositato il ricorso contro il licenziamento di tre operai - di cui due delegati sindacali, tutti iscritti alla Fiom - accusati per l'appunto di aver impedito il passaggio di un carrello trasportatore durante uno degli ultimi scioperi, proclamati contro l'aumento del numero di auto da costruire quotidianamente nonostante un turno su tre fosse in cassa integrazione («per difficoltà di mercato»). Per l'azienda questo è un fatto gravissimo, perché avrebbe «impedito ai non scioperanti di continuare a lavorare». Come fanno notare quelli che in fabbrica ci vivono, quei carrelli sono automatizzati; se la fase di lavorazione «a monte» si è interrotta, non si muovono per portare «a valle» un qualcosa che non c'è. Un pretesto qualsiasi, insomma, che rende «difficile non pensare a un atto di ritorsione», come ha detto ieri anche il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Il giudice del lavoro lucano terrà l'udienza il 30 luglio. Quel che più inquieta, però, è che il solito ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, abbia colto anche questa occasione per teorizzare un nuovo (non) diritto del lavoro: «Se ancora dovessero esserci paralisi della produzione, se una minoranza estrema o anche una sola persona rallenta la produzione, allora quella persona produrrebbe un danno all'intera comunità e all'Italia». Insomma: commetterebbe un reato, anche se ancora non è previsto da nessun codice. Caso simile, diverso solo per l'occasionalità della contestazione, quello di un altro operaio della Fiat Powertrain di Termoli, delegato dello Slai Cobas. Verso il quale hanno espresso la propria solidarietà non solo la rsu Fiom, per persino quelle della Fim Cisl e dell'Ugl. Con una nota unitaria che denuncia «il progressivo deterioramento delle relazioni industriali in tutto il gruppo, atto a creare un clima di tensione e rappresaglia nei confronti dei lavoratori e dei delegati sindacali, con il duplice tentativo di destabilizzare le relazioni sindacali e azzerare qualsiasi forma di dissenso». Questo avviene in un'azienda il cui a.d. ha presentato conti in attivo «al di là di tutte le attese» e che perciò aumenta gli emolumenti per i suoi dirigenti. Ma che si rifiuta di pagare ai dipendenti il saldo annuale del premio di risultato e licenzia i delegati dei sindacati «non complici», chiudendo - per sovrappiù - lo stabilimento di Termini Imerese. «Il ritorno all'utile - costata amaramente Giorgio Airaudo, segretario Fiom del Piemonte - è costruito sui sacrifici e sui risparmi fatti dai lavoratori, con la cig e il mancato pagamento del premio». Anche per questo, domani, ci sarà uno sciopero di due ore in tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat. Il clima «vallettiano», stile anni '50, ha messo di nuovo al centro i «licenziamenti politici»; ma anche i problemi retributivi e di organizzazione del lavoro. E nelle fabbriche sembra cominciare a spirare anche un vento diverso. Un sindacato di base sempre «contro» come lo Slai Cobas ha deciso di scioperare in concomitanza con la Fiom. A Termoli - dove è stato licenziato un suo delegato - la fermata sarà estesa al turno completo (otto ore). Perché le differenze di cultura sindacale esistono, certo. Ma di fronte a un «padrone» con le caratteristiche di Marchionne è tempo di «non indebolire il fronte». Solo un segnale, ma di quelli buoni. Da il Manifesto Condividi