Giovedì il testo in aula, il voto entro il 14 luglio. Per le Regioni non cambia nulla, Tremonti sordo alle loro richieste. Marcia indietro sulla soglia di invalidità ma confermati i tagli ai disabili. Solo Emma Marcegaglia ottiene tutto quello che reclama
ROMA – Grande è ancora la confusione sotto il sole. Fervono ancora le trattative per i possibili emendamenti alla manovra, ma il Governo si mostra indisponibile a concedere quanto richiesto da Regioni ed enti locali. Intanto, la Conferenza dei capigruppo al Senato ha stabilito che il testo della legge finanziaria approderà in aula giovedì prossimo, con il voto finale entro il 14 luglio.
Dopo un incontro con Tremonti, il relatore di maggioranza al Senato Azzolini ha annunciato due novità: la prima è che i tagli agli enti locali sono confermati in pieno con la sola possibilità che siano le stesse Regioni virtuose a decidere dove operarli. La seconda è che la percentuale di invalidità per poter accedere alla pensione è stata riportata al 74% per alcune categorie ma non dovrebbe essere cambiato nulla per quanto riguarda l’ignobile taglio degli assegni di accompagno per chi è disabile.
Come annunciato ieri direttamente da Berlusconi, l’iter di approvazione del decreto economico sarà blindato con l’imposizione del voto di fiducia. Il sottosegretario all’economia Alberto Giorgetti ha precisato che «si dovrebbe lavorare rispettando il lavoro della commissione Bilancio, poi se dalla discussione in Aula emergessero novità verrebbero inserite. Non prevedo stravolgimenti del testo che uscirà dalla Commissione».
Regioni ed enti locali: “Gravissimo e inaccettabile il comportamento del Governo”
«Non potremmo che considerare gravissimo ed inaccettabile il diniego circa la richiesta del sistema delle autonomie territoriali di avere un incontro con il presidente del Consiglio e con i ministri interessati dalla manovra». Lo affermano in una nota congiunta Sergio Chiamparino (Anci), Vasco Errani (Conferenza delle Regioni), Giuseppe Castiglione (Upi) e Enrico Borghi (Uncem), a seguito della notizia che il Governo non intenderebbe svolgere l'incontro richiesto unitariamente la scorsa settimana. «In questo modo - aggiungono - verrebbe meno il principio di leale collaborazione che è la base delle corrette relazioni istituzionali su cui si fonda la nostra Costituzione. È quindi necessario convocare in tempi rapidissimi una riunione di tutti i livelli istituzionali della Repubblica». Il ministro per gli Affari Regionali, Raffaele Fitto, ha cercato di correre ai ripari annunciando di aver convocato la conferenza unificata Stato-Regioni per giovedì alle ore 15 per discutere la manovra alla presenza del ministro dell'Economia. Fa finta di ignorare che ripetutamente il presidente delle conferenze delle Regioni, Errani, ha chiesto un incontro urgente con il presidente del Consiglio, alla cui richiesta non è venuta risposta.Errani ha affermato, infatti, che la convocazione della Conferenza è un "incontro ordinario, già convocato in precedenza". "Altra cosa per la richiesta di un incontro col presidente del Consiglio con cui aprire un dialogo sulla manovra. No per chiuderlo".
Una manovra di classe
Che sia, come asserisce Luigi De Magistris, «una manovra economica di classe che colpisce i soliti noti e salva i soliti noti» lo si sapeva. Ma certo ieri è successo qualcosa che dimostra l’esclusivo favore che Governo e maggioranza politica accordano agli industriali. Durante il colloquio fra Berlusconi e Tremonti – che alcuni “retroscenisti” dicono essere stato abbastanza vivace, con il superministro che più volte ha offerto le sue dimissioni, episodio poi smentito dallo stesso ministro – è arrivata una telefonata di doglianze di Emma Marcegaglia, la quale lamentava le norme della manovra in materia di contenzioso tributario e energie rinnovabili. Detto fatto, il premier ha subito accolto le rimostranze della presidente di Confindustria, aruspice il superministro economico, che improvvisamente diventava munifico di fronte alla folta platea di suoi potenziali “clientes”. L’episodio è stato così commentato da Pierluigi Bersani, segretario del Pd: «Che si tolgano due miliardi con una telefonata, mentre insegnanti, poliziotti e disoccupati non sanno nulla di ciò che succede, direi che è stato molto inelegante, anche se capisco quando c'è odore di pistola alla tempia, perché questo governo se concede qualcosa pretende immediato consenso».
«Una manovra sbagliata ed iniqua che colpisce i più deboli, quelli che non vengono mai ascoltati al telefono dal Presidente del Consiglio», afferma il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni, confermando la partecipazione del sindacato alla manifestazione di domani delle associazioni che rappresentano i disabili.
Parlamento senza poteri
Le difficoltà politiche manifestate in questi giorni dal Governo derivano da un’impostazione squilibrata nell’entità dei tagli da realizzare per contenere la spesa pubblica. Praticamente non c’è una categoria – a parte gli industriali di Emma Marcegaglia, sempre soddisfatti dal duo Tremonti-Berlusconi – a non lamentarsi delle conseguenze che si determineranno con i tagli imposti dal Governo. E Berlusconi, nel colloquio con il suo superministro economico, teme pesanti ricadute in termini di consenso. «Per far passare la manovra chiederanno nuovamente la fiducia perché la manovra è putrida e pericolosissima come loro» dichiara Oliviero Diliberto, già leader dei comunisti italiani, ora della Federazione della sinistra. La scelta di imporre il voto di fiducia al Senato è stata aspramente criticata da Bersani: «Non vorrei che dopo Berlusconi arrivasse Chavez. Bisogna ripristinare i concetti basici della democrazia parlamentare che non può andare avanti a fiducie, decreti e telefonate “riparatrici”. O il parlamento riprende il suo ruolo o non c'è libertà per nessuno».
Cgil sulle pensioni: “Cancellato il requisito dei 40 anni”
Un’altra coltellata inferta al corpo della società e di chi lavora è quella oggi denunciata da Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil, la quale ha messo in evidenza che l’oramai famoso “refuso” dell’improvvido ministro Sacconi è più in vigore che mai. Lamonica ha infatti spiegato che, con l’ultimo emendamento al decreto economico, resta il requisito dei 40 anni per accedere alla pensione ma questo si deve coordinare con il progressivo adeguamento dell’età pensionabile alle crescenti aspettative di vita. La conseguenza è che «dal 2015, quando cioè comincerà ad attuarsi l'adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita, ci vorranno tre mesi in più per poter andare in pensione: altro che refuso, si torna, di fatto, a quanto previsto nel precedente emendamento del relatore di maggioranza della commissione Bilancio del Senato». Insomma, se la norma rimarrà tale, i 40 anni di contributi potrebbero non essere più sufficienti per andare in pensione. «Lamonica ricorda inoltre che le donne del Pubblico Impiego andranno in realtà in pensione minimo a 67 anni per effetto della somma di:innalzamento dell’età a 65 anni; un anno in più della finestra a scorrimento; l’innalzamento di 3 mesi nel 2015 e 3 o 4 nel 2016, a seguito dell’adeguamento obbligatorio alle aspettative di vita che si vorrebbe anticipare e realizzare in entrambi gli anni piuttosto che a cadenza triennale. Peraltro per tale adeguamento la norma prevede ben altra procedura di applicazione, e non un ‘decreto direttoriale’ che così sfugge a qualsiasi controllo parlamentale».
Scuola: ad agosto 20 mila licenziamenti
I sindacati di base della scuola presidiano Montecitorio e sottolineano la situazione esplosiva che si verrà a determinare a partire da metà agosto, quando si distribuiranno le cattedre agli insegnanti precari. «Il 30 giugno ci sono scaduti i contratti e almeno 20 mila precari (tra insegnanti e Ata) in tutta Italia a settembre saranno licenziati. Ad agosto la situazione esploderà» dice Alessandro D’Auria, del “Comitato insegnanti precari e Ata” di Salerno.
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