ROMA – Lui sta pensando alla legge bavaglio come ad una sorta di cavallo di Troia. Non è più quella che voleva, cioè una lapide in ricordo della libertà di stampa, per imbrigliare l’informazione e consentire ai potenti e soprattutto a lui di fare quello che vuole, in barba alle leggi e ai doveri pubblici (oltre che al decoro). Probabilmente non si aspettava una reazione così forte non solo dell’opinione pubblica, ma anche di interi settori della società civile. Ed allora, ecco che, nella sua mente declinante, si fa largo l’idea della forzatura, la prova di forza per stanare i nemici interni, i finiani e costringerli alla resa. Così vuole imporre un testo in Parlamento, che non piace a Fini. Quale sia la frammentazione del centro-destra, praticamente su tutto lo scibile, lo dimostra chiaramente il fatto che il capogruppo alla Camera dei democratici Dario Franceschini si dice pronto a votare gli emendamenti dei deputati dissidenti del Pdl. Una convergenza sinistra-destra che mostra lo sfacelo in cui versa l’attuale maggioranza, sulla quale il ridicolo “’ghe pensi mi” berlusconiano appare come il manifesto di una irrimediabile impotenza. Berlusconi dimezzato Nella riunione a Palazzo Grazioli di ieri sera, il premier è apparso combattivo. «Possiamo fare a meno di Fini», ha detto a chiare lettere. I suoi altoparlanti, come Fabrizio Cicchitto, preannunciano lo strappo con l’indigesto ex leader di An. Ed è così che, padrone dell’intero sistema televisivo italiano, Berlusconi si fa intervistare a reti unificate per camuffare la sua vera immagine – un uomo stanco e sfiduciato, come lo descrive l’ultimo numero de “L’Espresso” – e cercare di riprendere in mano una situazione che gli è oramai sfuggita. Probabilmente i vari Minzolini e Mimun riusciranno ancora ad aiutarlo in una riverniciata della sua leadership, ma quanto potranno reggere i nuovi colori nessuno è in grado in questo momento di dirlo. Bersani, con buon umorismo emiliano, dice: «Ghe pensi mi non è la medicina, è la malattia. Berlusconi lo dice da sette anni e sono sette anni che 'ghe pensa lu’». Poi, il leader dei democratici mette l’accento sul vero problema, che non è ovviamente tanto quello di un premier declinante e spacciato, quanto quello di un Paese che non è governato, un Paese in ritardo su tutto. Ed allora Bersani suggerisce che «prima o poi di questo dovranno convincersi anche i contraenti di questa maggioranza. Spero che se ne rendano conto prima che poi perché sono piuttosto preoccupato per il mio Paese e fino a quel momento le ipotesi restano ipotesi». Un Governo che è un continuo refuso La crisi politica e personale di un uomo anziano come Berlusconi non è l’unica. A rafforzarne la portata c’è quella di un ministro dell’economia costretto dalla sua dabbenaggine a imboccare una decina di strade diverse, per rigirarsi quasi subito e tornare all’incrocio a consultare di nuovo le indicazioni. Allo stato attuale nessun analista è in grado di dire come uscirà il decreto economico dalle due Camere, se ci sarà un intervento sulle pensioni, sulle tredicesime di poliziotti, magistrati e docenti universitari (prima annunciato e poi smentito da Lega e dal ministro della difesa La Russa), se gli insegnanti dovranno subire il vergognoso blocco degli scatti di carriera, se Regioni e Comuni vedranno attenuarsi i tagli forsennati che li stenderebbero a terra per sempre. Immancabili e diremmo pure doverose le ironie che questa strutturale incapacità di governo dell’economia suscita in chi segue le impervie peripezie della maggioranza, come quelle di Rosario Trifiletti, presidente di Federconsumatori, il quale sottolinea come «avendo preso gusto ai refusi, il relatore della manovra economica in discussione in Parlamento ne ha commesso un altro tagliando le tredicesime ad alcune ed importanti categorie lavorative. Il refuso sicuramente è che anziché scrivere “detassare” è stato scritto “tagliare”». L’altro giorno era capitato al ministro Sacconi, secondo il quale non sarebbero stati sufficienti nemmeno più 40 anni di contributi per andare in pensione; ma era, appunto, un refuso, che a questo punto non è rischioso pensare che alberghi in pianta stabile nel cervello della maggior parte dei ministri berlusconiani. Come non dare, allora, ragione a Cesare Damiano (Pd), già efficiente ministro del Lavoro con Prodi, quando asserisce che «l'ultimo pasticcio è sul taglio alle tredicesime di poliziotti, insegnanti e magistrati, ma in una sola settimana abbiamo assistito anche all'allarme sulle casse dei professionisti e all'ormai famoso refuso che impediva l'uscita in pensione dopo 40 anni di lavoro indipendentemente dall'età anagrafica. Fermate il relatore di maggioranza, anzi, fermiamo questo governo». Elezioni a primavera Il piano operativo del premier dovrebbe consistere in due fasi: nella prima si ha l’espulsione dei finiani e il tentativo di cooptare Casini. Al leader dell’Udc Berlusconi ha già offerto il Ministero delle attività produttive, orfano di Scajola. Ma è un progetto rischioso – oltre che di difficile realizzazione – perché i rapporti fra l’Udc e la Lega non sono buoni e rischierebbero di essere peggiori di quelli che il partito del Nord ha ora con i finiani. La fase due, che il premier coltiva da parecchi mesi, è quella di tornare a votare nella primavera del 2011. Ovviamente, i cittadini italiani tornerebbero alle urne dopo aver subito almeno due mesi di occupazione “manu militari” dell’informazione, più o meno come successe nella primavera del 2006, quando la maggioranza di destra riuscì a recuperare uno svantaggio di circa cinque punti percentuali rispetto al centro-sinistra. Ma è quello che Berlusconi ha sempre fatto da quando è in politica, anzi è l’unico orizzonte che conosce, l’arma più forte nelle sue mani, che ha fino ad ora utilizzato per disinformare la maggior parte degli italiani e sostenere così il suo consenso. Mai come ora ha un disperato bisogno di continuare a farlo. Condividi