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di Amerigo Rivieccio ROMA - Nel 1992 il rapporto tra debito pubblico e Pil era 105,2 per cento. Nel 2008 era 106,1. Nel 1993 il rapporto tra debito pubblico e Pil era 115,6 per cento. Nel 2009 115,8. Sono passati 18 anni di sacrifici richiesti ed imposti ad una quota, sempre la stessa, dei cittadini italiani per arrivare al punto di partenza, anzi un passettino indietro. Mentre infatti nei primi anni novanta il Belgio era più indebitato di noi, in rapporto al Pil, oggi svettiamo, conquistando uno scomodissimo primo posto nella graduatoria europea dei paesi più indebitati mettendo dietro paesi come Ungheria, Portogallo e Grecia (che si ferma al 115,1). Con i dati resi noti ieri dall’Istat e relativi ai conti delle Amministrazioni pubbliche si entra in un teatro dell’assurdo. L’Italia nel 2009 è quinta in Europa come pressione fiscale con il 43,2 per cento, era settima nel 2008, ha superato la Finlandia e raggiunto la Francia e resta dietro solo a Danimarca (49%), Svezia (47,8%), Belgio (45,3%), Austria (43,8%). L’Istat segnala le cause che hanno portato ad una pressione così forte attribuendo tale risultato all’effetto “di una riduzione del Pil superiore a quella complessivamente registrata dal gettito fiscale e parafiscale”, ovvero la pressione fiscale sarebbe aumentata perché le imposte sono diminuite meno di quanto sia diminuito il Pil, con una eccezione che ha fortemente attenuato la dinamica negativa, delle “imposte di carattere straordinario (imposte in c/capitale), cresciute in valore assoluto di quasi dodici miliardi di euro. Infatti, fra le imposte straordinarie sono classificati i prelievi operati in base al cosiddetto “scudo fiscale”, per un importo di circa 5 miliardi di euro”. Ed è ovvia la riflessione che a fare media sono sia i capitali illeciti fatti rientrare dall’estero scontando una imposta di appena il 5 per cento che il reddito di lavoro di operai ed impiegati, su cui grava una pressione fiscale ben superiore. Bardi Cgil: “La pressione fiscale aumenta, nessun contrasto all’evasione” Ferma la reazione della CGIL il cui segretario confederale , con delega alle politiche economiche, Danilo Barbi, ha affermato:“Sono dati che non mentono e che rendono chiaro il fatto che a pagare la crisi siano sempre gli stessi: lavoratori dipendenti e pensionati. E’ urgente una riforma del fisco che premi lavoratori dipendenti e pensionati”. La pressione fiscale sul lavoro – ha spiegato il dirigente sindacale - è aumentata non solo per effetto della bassa crescita ma anche perché l’unico gettito certo a reggere le entrate e i conti pubblici italiani è quello che proviene dalle buste paga dei lavoratori dipendenti e dai pensionati, dai parasubordinati e, più in generale, dai contribuenti onesti”. I dati Istat, ha continuato Barbi,“ci dicono anche che l’alta pressione fiscale sul lavoro è un freno alla competitività e alla coesione sociale del sistema-paese, così come la manovra correttiva del governo è sbagliata e ingiusta, proprio perché non sposta, come hanno fatto gli altri principali paesi europei, il peso del fisco verso i grandi patrimoni, le rendite e le transazioni finanziarie di breve durata, scommettendo però allo stesso tempo su un gettito fiscale ingiustificato e su una previsione di crescita sovrastimata considerando l’assenza di qualsiasi sostegno all’occupazione e alla domanda interna”. Conclude quindi Barbi “il ripristino delle norme sulla tracciabilità dopo due anni di far west non basta da solo a rendere il sistema fiscale più equo. Occorre, come rivendichiamo da tempo, ‘sprigionare’ risorse per la ripresa economia attraverso una riforma strutturale del fisco che contrasti l’evasione e sostenga i redditi da lavoro e da pensione. Siamo ancora in attesa che il governo ci dia una risposta”. DAl sito dazebao.org Condividi