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di Fulvio Lo Cicero Soliti risultati di compromesso nel vertice di Toronto, nell’impossibilità di trovare un accordo per tassare le banche. Obama ribadisce l’impegno per l’occupazione. Berlusconi sembra aprire alle richieste delle Regioni ma potrebbe essere un bluff. Mentre al G8 di Toronto, le potenze economiche arrivano e partono in ordine sparso e ci si chiede ancora una volta a cosa serve questa istituzione itinerante, se non ad organizzare week-end a volte piacevoli per i vari capi di Stato, i dati economici riguardanti l’Italia confermano una situazione di profonda crisi dei conti pubblici, con una pressione fiscale al 43,2%, dovuta in parte al calo del prodotto interno lordo ed una spesa pubblica in forte espansione, che raggiunge il 52,5% della ricchezza prodotta. Nonostante l’informazione di regime diffonda sempre dati rassicuranti sulla nostra economia e nasconda quelli drammatici dei conti pubblici, la realtà è che l’attuale Governo e, soprattutto, il superministro economico Giulio Tremonti non riescono ad andare più in là di proclami, analisi storico-comparative e filosofie senza alcun costrutto realistico. Il deterioramento della finanza pubblica è oramai un dato costante, fin dall’insediamento della maggioranza di destra, che si dimostra ogni giorno sempre più incapace di predisporre gli strumenti idonei per contrastare la deriva dei conti dello Stato. G8-G20 in ordine sparso «Ci impegniamo ad intraprendere azioni concertate per sostenere la ripresa, creare nuovi posti di lavoro e pervenire a una crescita più vigorosa», si ribadisce nel documento finale del vertice. Gli Stati riuniti in Canada sottolineano ancora una volta che le misure prese dai vari Governi non devono deprimere la crescita. Profonda preoccupazione, infatti, destano i dati sull’occupazione, in costante decrescita. Barack Obama ha ripetutamente dichiarato che proprio l’aumento dell’occupazione deve essere l’obiettivo principale dei Paesi nei quali ora la crisi si sta manifestando soprattutto dal lato delle possibilità di lavoro. Da questo punto di vista, il direttore generale del FMI, Dominique Strauss-Kahn, è stato molto chiaro, ribadendo che «il problema non è: risanamento dei conti pubblici o crescita. È invece: risanamento dei conti pubblici e crescita». Già ma come? Misure di tipo restrittivo, come quelle che tagliano i trasferimenti agli enti locali, sono di per sé depressive della domanda e quindi incidono negativamente sull’occupazione. Così, anche la mancata decisione sulla tassa sulle banche e l’invito a dimezzare i deficit pubblici entro il 2013 appaiono più come proclami di principio che effettive finalizzazioni poste in sede politica. E così, scrive Romano Prodi su “Il Messaggero”, «perché la fine del G8 non facesse troppo rumore è stato affiancato per ora il G20 che progressivamente ne prenderà il posto senza rimpianti»; ma non è che il G20 riuscirà a raggiungere quei traguardi negati al G8 se prima non si doterà di strutture coerenti con la sua missione. Strauss-Khan, d’altronde, critica fortemente la contrarietà di alcuni Paesi come l’Italia agli ipotizzati prelievi sui profitti bancari, perché «il fatto che le banche di questi Paesi siano state poco toccate dalla crisi per non aver investito in subprime non significa che ne saranno immuni fino alla fine dei tempi». Ma persone come Tremonti sono ideologicamente lontane anni luce dall’imporre una tassa sulle ricchezze e preferiscono impoverire ancora di più insegnanti e dipendenti statali. Così, ha ragione Paolo Ferrero, segretario del Prc-Fs, quando asserisce che «la scelta di dimezzare i deficit entro il 2013 è una scelta politica di taglio del welfare, dei salari e dei diritti dei lavoratori. Una scelta di classe, che scarica sui popoli i costi della crisi del capitalismo». I conti pubblici italiani L’impossibilità ideologica del nostro superministro economico a prelevare i soldi laddove ci sono e prosperano, incrementando gli stimoli all’evasione fiscale con ripetute sanatorie e condoni e scudi, continua a produrre enormi falle nei conti pubblici. La pressione fiscale è in aumento, soprattutto per effetto della caduta del denominatore del rapporto (cioè il Pil), così come l’avanzo primario (oramai sono perduti i ricordi sui risultati raggiunti dai Governi di Ciampi e di Prodi), cioè la differenza fra entrate e uscite senza contare il pagamento degli interessi sul debito: -3,1% rispetto al 2008 ed oramai cronicamente negativo, quindi appesantisce ogni anno di più la formazione del debito pubblico, che oramai è superiore ai 1.800 miliardi. Risultati disastrosi ma sconosciuti a tutti gli italiani che si informano solo dalle televisioni di regime. Una manovra economica inefficace ed iniqua In un contesto del genere, il decreto economico del Governo, cioè la manovra che anticipa la finanziaria autunnale, non riesce in alcun modo a trovare estimatori, tanto è grande la sua vergognosa iniquità. Ieri Berlusconi ha ribadito che gli enormi tagli agli enti locali sono necessari e saranno fatti, ma oggi, dal Brasile, sembra aprire alle richieste delle Regioni, smentendo quello che aveva detto soltanto poche ore prima. Dice: "Rivedremo la manovra", ma sarà proprio vero? Evidentemente un qualche effetto deve aver sortito la richiesta di cinque Governatori (Lazio, Campania, Abruzzo, Molise e Calabria) per la riapertura di un tavolo negoziale. Oggi, sia Roberto Formigoni, sia il Presidente della Conferenza Stato-Regioni, Vasco Errani, smentiscono che si sia creata una frattura e ribadiscono l’impegno unitario per una profonda modifica della manovra economica. Secondo Errani le cinque Regioni hanno posto una «una questione specifica in relazione al piano di rientro sulla sanità», mentre Formigoni ha ribadito che «la posizione delle regioni è unanime, chiediamo di cambiare la manovra in un'ottica di responsabilità». Condividi