Fabrizio Salvatori (da Liberazione, 22/6/2010 Nella vicenda di Pomigliano d'Arco è venuto fuori che l'azienda ha messo sul tavolo un ultimatum molto preciso. Secondo lei è accettabile l'idea del lavoro a tutti i costi? Non ho seguito molto approfonditamente la vicenda di Pomigliano d'Arco, anche perché sono stato impegnato in un viaggio che mi ha portato fuori. In ogni caso, ritengo che bisogna fare del tutto per fare in modo che i lavoratori possano essere impiegati in una impresa industriale, ma un'occhio va certamente dato ai diritti di questi stessi lavoratori. Una cosa non esclude l'altra, insomma. Bisogna lavorare fino in fondo per mettere insieme le due necessità. Come si coniugano nello specifico i diritti del lavoratori e l'economia di una impresa? Credo che se al punto centrale si mette la persona umana, vista in tutta la sua completezza e complessità, e quindi il bene comune, è ovvio che separare diritto da una parte e lavoro dall'altra vuol dire intaccare sia l'uno che l'altro. Il lavoro ha senso nella misura in cui ha una dimensione umana. L'uomo senza lavoro è come distrutto. Di questo non possiamo dimenticarcene. E non possiamo girare la testa dall'altra parte quando di fronte a noi ci si pone il problema. Produrre ricchezza è vitale, assolutamente, ma nessuna produzione di ricchezza può essere una variabile totalmente indipendentemente dalla dignità della persona umana. Lei è molto impegnato sul fronte della sicurezza sul lavoro. Non crede che questo concetto possa essere esteso all'idea di sicurezza sociale? Di sicurezza sul lavoro ci si occupa solo nei momenti di emergenza, mentre richiede l'affermarsi di una cultura della sicurezza, che coinvolga tutti operai e imprenditori, famiglie e sindacati. E anche questa cultura della sicurezza è parte di una concezione della produzione e della società. Per rispondere direttamente alla domanda, la dico con il classico tout se tient . Si tiene mettendo al primo punto la dignità della persona umana e del bene comune e piegando a questo fine tutte le legittime esigenze che debbono favorire l'affermarsi del bene comune. Se non si produce ricchezza è ovvio che è un problema per il bene comune come per la dignità della persona. Cosi come se non si combatte la povertà, se si sfrutta la terra al di là di qualsiasi regola è ovvio che non si lavora per il bene comune. Non crede che questa crisi ci stia dicendo proprio questo? Come giustamente dice il papa oggi c'è una crisi di pensiero e di visione. Si pensa troppo poco, insomma. Bisogna tornare a pensare alla grande e anche su scala planetaria. Caritas in veritate è uno dei testi che andrebbero ripresi e studiati. Il papa lì dice che se non c'è la dimensione del dono e della gratuità viene colpito in radice il senso stesso della produzione e dello sviluppo. Condividi