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di Tommaso Vaccaro «La Fiat voleva sentire la voce dei lavoratori: l'ha sentita. Ora per responsabilità ne tenga conto». Così il leader della Fiom, Maurizio Landini, all’indomani del mancato plebiscito sul referendum dei lavoratori di Pomigliano d’Arco. Si riparte da quel 62,2percento di ‘si’ all’accordo separato, sottoscritto lo scorso 15 giugno dalla Fiat e dalle sigle sindacali di Cisl, Uil e Ugl. Ma soprattutto dal ‘no’ che, azzerando tutte le previsioni, sfiora il 40per cento (36%, per l’esattezza) dei voti. «Noi diciamo esplicitamente che siamo pronti ad assumerci tutte le responsabilità se Fiat toglie dal tavolo tutte quelle norme in violazione dei diritti dei lavoratori e della Costituzione per riaprire un negoziato». Landini, in conferenza stampa, rimette sul tavolo la disponibilità della Fiom a discutere del piano, a partire però da una riflessione dell’azienda «sul significato di questo voto con cui i lavoratori hanno voluto dire che vogliono l'investimento, vogliono lavorare ma nei diritti e con dignità, senza che questi due elementi siano scindibili». Parole anticipate in giornata da Susanna Camusso, vice di Epifani e in corsa per la segreteria generale: “Si riapra il confronto. La partecipazione al voto era prevedibile come la prevalenza del sì. Chiediamo a Fiat di avviare l'investimento e la produzione della nuova Panda a Pomigliano e di riaprire la trattativa per una trattativa condivisa da tutti”. Landini inviterà più tardi quella Fiat che ha introdotto «questioni che non c'entrano nulla con il rilancio», a togliere adesso dal tavolo «le norme sulle sanzioni, sulla malattia e sulle pause e noi siamo pronti ad un accordo già da oggi». In ogni caso, ha continuato l’esponente Fiom, «tocca a lei [la Fiat ndr.] decidere come proseguire. E per rispetto al voto dei lavoratori riaprire il negoziato». Ma da Torino, in mattinata, giungono soltanto segnali di irritazione per l’esito del referendum che si traducono in una secca nota stampa: «L'azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri». Poi Marchionne prende il volo per gli Stati Uniti dove dovrebbe rimanere alcuni giorni per occuparsi di Chrysler. Arrivederci e grazie. Ma, sottolineano da più versanti, lavorare solo con le parti che “si sono assunte la responsabilità dell’accordo”, così come indicato a caldo da Torino, significa tagliare fuori quasi la metà dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano. Perché quel 36percento dei voti espressi contro l’accordo, supera di gran lunga la rappresentanza Fiom, con i suoi 650 iscritti su 4.880 unità di lavoro (il 13%). E ancora, dal sindacato fanno notare che nel comunicato di metà mattinata della Fiat non si parla specificamente del progetto di “rimpatrio” della Futura Panda, che non viene citata, ma più genericamente della “realizzazione di progetti futuri”. Di cosa si tratti nello specifico non è ancora noto: se della newco (ovvero il “piano C”), che riassumerebbe con un nuovo contratto i singoli lavoratori disponibili ad accettare le condizioni poste dall'accordo, o dello spostamento a Pomigliano di produzioni “più deboli”. Ma, Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, canta già vittoria. «La grande notizia di oggi è che la Fiat ha confermato l'investimento su Pomigliano. Un grande successo, abbiamo fatto un capolavoro». Raccomandandosi con Marchionne (“ora niente scherzi”), Bonanni trova anche il tempo per la lezione quotidiana di sindacalismo ottimista: «Imparino tutti gli altri che hanno ciarlato come le cicale a fare invece come hanno fatto le formiche e – conclude – imparino che l'Italia di domani sarà un'Italia positiva se ciascuno si prende le sue responsabilità». La Fiom fissa intanto la prima iniziativa per il rilancio del sito campano di Fiat: un'assemblea dei delegati del gruppo a Pomigliano d’Arco per il primo luglio prossimo. Un appuntamento, spiegano le tute blu della Cgil, che servirà a discutere della vertenza in corso, che profila «un arretramento dei diritti sul lavoro», ma che sarà anche l'occasione di discutere della «difesa dei contratti nazionali». Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, non prende nemmeno in considerazione l'ipotesi che la Fiat decida di chiudere lo stabilimento di Pomigliano per mancanza della maggioranza sperata dei sì all'accordo. “Bisogna attuare accordi e verificare anche con coloro che non hanno firmato l'adesione a quel modello e io sono sicuro che nessuna organizzazione voglia sabotare il modulo di lavoro che l'unico può attrarre gli investimenti sulla Panda”, ha detto Sacconi. Questo mentre da Emma Marceglia, presidente di Confindustria, arriva l’ennesimo attacco al “sindacato che non comprende le sfide che abbiamo davanti”. Sfide che, questo Emma lo omette, Fiat andrebbe ad affrontare gravando solo sulle spalle dei lavoratori Condividi