Josè Saramago «è stato un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo». Altro che cristiana pietà per i morti, per l' Osservatore Romano , il giornale della Santa Sede, lo scrittore portoghese è stato un uomo che consapevolmente ha scelto di vivere nell'errore. Uno che «lucidamente» si era messo «dalla parte della zizzania nell'evangelico campo di grano», null'altro che un comunista, un marxista, un materialista che «si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle purghe, dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi».
Curiosa argomentazione, questa delle gerarchie vaticane. Un'istituzione come quella della Chiesa, che si arroga il monopolio del sacro e si ammanta di un'autorità morale al di sopra delle contingenze terrene, non dovrebbe considerare un dettaglio insignificante le barbarie di cui è costellata la sua storia secolare. Né tantomeno cavarsi d'impaccio da macigni come le crociate o l'inquisizione (mettiamoci pure Giordan Bruno e le streghe) andando a fare le pulci alla storia altrui, come se questo bastasse a sgravarsi la coscienza. Ognuno pensi alle proprie di colpe. Ve ne sono, tra queste, di quelle che massimamente divergono dalle dottrine professate. Almeno questo andrebbe concesso agli odiati comunisti, nessuno mai tra loro ha aspirato alla santità e al paradiso.
Ma perché poi tanto risentimento per Saramago, non sarà mica l'unico scrittore al mondo ad essersi professato comunista e ateo? Appena un mese è scomparso un altro intellettuale, Edoardo Sanguineti, del quale non si può certo dire che non uguagliasse Saramago quanto a professione di marxismo ed ateismo, eppure nell'occasione non c'è stata analoga indignazione da parte di Sancta romana ecclesia . Che avrà combinato di così grave l'autore di Cecità e Memoriale del convento per meritarsi simile trattamento?
La risposta si può trovare fra le righe delle invettive vaticane. L' Osservatore se la prende soprattutto col Vangelo secondo Gesù , il romanzo che è all'origine della scomunica, in seguito alla pubblicazione del quale l'autore fu costretto a ritirarsi dalla vita pubblica e a lasciare il paese per andarsene alle Canarie. La Chiesa lo considerò un affronto mortale perché con quell'opera un narratore osava intromettersi nel campo teologico. Un'invasione di campo, insomma. Una «sfida alla memorie del cristianesimo - ancora una citazione dall'Osservatore - di cui non si sa cosa salvare se, tra l'altro, Cristo è figlio di un Padre che imperturbato lo manda al sacrificio; che sembra intendersela con Satana più che con gli uomini; che sovrintende l'universo con potestà senza misericordia. E Cristo non sa nulla di Sè se non a un passo dalla croce; e Maria Gli è stata madre occasionale; e Lazzaro è lasciato nella tomba per non destinarlo a morte suppletiva». «Irriverenza a parte, la sterilità logica, prima che teologica, di tali assunti narrativi - conclude l'articolo - si ritorce in una faziosità dialettica di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo». Il rancore si riferisce alla scena nota del dialogo tra Dio e Gesù, nel quale il padre chiede al figlio di sacrificarsi sulla croce per estendere la fede degli uomini, a prezzo di una storia di martirii, supplizi e guerre di religione. Al clero portoghese e alle gerarchie romane non è mai andata giù. D'accordo l'autonomia degli scrittori ma a nessuno è permesso di entrare a gamba tesa nelle questioni teologiche.
E vabbe' - qualcuno obietterà - tra tanto esercizio di ipocrisia che spinge post mortem ad ammantare di virtù personaggi odiati quando erano in vita, stavolta la Chiesa ha dato una lezione di coraggio e di coerenza. Odiava Saramago in vita, continuerà ad odiarlo da morto.
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