I presidenti delle regioni sono insorti contro la manovra finanziaria ed hanno perfettamente ragione, dato che in due anni (2011 e 2012) le regioni perderanno qualcosa come 10 miliardi di euro di trasferimenti.
Ed hanno anche ragione quando sottolineano come sia del tutto demagogico sostenere che questi tagli elimineranno sprechi e che invece questi si riverseranno su “persone, famiglie ed imprese”, che ciò avviene dopo che le regioni già si erano fatte carico di comprimere la spesa, che le scelte sono state unilaterali, facendo venir meno la prassi concertativa a livello istituzionale e mettendo in discussione principi fondamentali dell’impianto costituzionale, e che vi è una contraddizione evidente fra propaganda federalista e simili provvedimenti.
Naturalmente il ragionamento dei presidenti delle regioni ha elementi di ambiguità, né potrebbe essere diversamente dato che il documento è stato approvato all’unanimità sia da esponenti del centro-destra che del centro-sinistra. In ogni caso, però, la denuncia è utile perché rompe il silenzio su un’operazione finanziaria che ha ricadute sociali pesantissime e che rischia di essere sottovalutata perché ammantata da un richiamo demagogico alla razionalizzazione della spesa e alla lotta agli sprechi e perché sottolinea la centralità, nella stessa manovra, dell’attacco al sistema delle autonomie locali.
Ai tagli alle regioni vanno, infatti, aggiunti nel biennio considerato, quelli previsti per le province (800 milioni) e per i comuni (4 miliardi). E tutto questo senza considerare quelli già individuati dalla precedente legge finanziaria, sempre per regioni, province e comuni. L’effetto complessivo è facile da intuire. In primo luogo, un numero considerevole di enti locali non sarà in grado di rispettare i vincoli del patto di stabilità. Su questa fascia si abbatteranno misure talmente pesanti da paralizzarne l’attività, in termini di spesa corrente, investimenti e personale. In secondo luogo, per far fronte ai vincoli, anche in considerazione dell’impossibilità di agire su alcuni tributi, si dovrà contrarre la spesa, e quindi ridurre qualità e quantità dei servizi erogati, privatizzarli o esternalizzarli, ricorrere alla vendita di beni pubblici, aumentare le tariffe.
La manovra su regioni ed enti locali ha quindi un connotato chiaramente antipopolare e di classe. Basta analizzare i settori che verranno penalizzati. A livello delle regioni: il trasporto pubblico locale, gli incentivi alle imprese, l’edilizia pubblica, la viabilità, l’ambiente e poi via via gli altri settori.
Ne derivano, con tutta evidenza, ripercussioni pesanti sul piano sociale e sul sistema produttivo, con effetti evidenti di depressione della domanda e di accentuazione della crisi. Se poi si considerano i comuni è evidente che il sistema di welfare locale viene sottoposto ad una pressione fortissima. E ciò vale per Rsa, assistenza domiciliare, asili nido, scuole materne, mense, trasporti e le varie forme di sostegno ai redditi più bassi. Si è parlato di “macelleria sociale”, non mi pare si tratti di un giudizio esagerato.
Di fronte a un simile disastro hanno ben ragione i presidenti di regioni e i sindaci a protestare. Il problema però è su cosa concentrare la protesta, quali proposte alternative avanzare e, soprattutto, come agire. Data l’ampiezza della manovra e l’incidenza (prevalente) nella stessa dell’operazione condotta sulle autonomie locali, è difficile cavarsela con l’”ammorbidimento” dei tagli. Vi è il rischio che questo sia virtuale o di scarsa consistenza. Il problema, in primis, è quello di una modifica complessiva della manovra con «uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai contribuenti con ritenuta alla fonte agli evasori», come giustamente hanno suggerito nel loro appello molti economisti.
E’ dubbio che su questi obiettivi tutto il mondo delle autonomie, così diviso sul piano politico, possa convergere, ma su altri terreni, come quelli che attengono alla riduzione dei tagli e all’allentamento del patto di stabilità interna, può esservi una convergenza ampia. Ciò vale per i limiti assurdi posti per le spese in conto capitale, per l’intenzione di recuperare gli eventuali sforamenti con riduzione simmetrica dei trasferimenti ordinari, per i limiti draconiani (e illogici) posti alle assunzioni. La questione dirimente, tuttavia, è fino a che punto si spingerà l’azione delle associazioni delle autonomie. A me pare che al punto in cui si è giunti vadano considerate anche pratiche esplicite di disubbidienza che rimettano in discussione il rispetto delle norme che si intendono varare. Peraltro, secondo alcune indagini recenti, almeno il 50% dei comuni non sarebbe in grado di rispettarle.
Il punto fondamentale, tuttavia, è che senza un rapporto con i cittadini hanno buon gioco le offensive demagogiche del governo. Occorre, quindi, dare informazioni alle popolazioni sugli effetti della manovra, sui servizi che sono a rischio, sui danni sociali che subiranno. È un’operazione preziosa che può essere sostenuta facendo pronunciare i consigli su appositi ordini del giorno, distribuendo ai cittadini materiali di informazione, utilizzando anche forme innovative di mobilitazione. Sono possibili atti anche simbolici in cui si segnali la volontà delle amministrazioni di tenere comunque aperti servizi minacciati?
E, infine, occorre riconnettere la battaglia in difesa dei diritti con quella contro la riduzione delle risorse agli enti locali. Si consideri la vicenda del referendum per l’acqua pubblica. E’ indispensabile non solo che la tematica della lotta alle privatizzazioni entri nei consigli, anche come segnalazione dei pericoli derivanti dalla manovra, ma che al tempo stesso si colgano nel movimento gli evidenti rischi di un rilancio delle privatizzazioni a seguito della manovra stessa. E ciò vale anche per il lavoro, dove tutta la partita degli ammortizzatori sociali e delle misure a sostegno dei redditi è oggi a rischio. E’ insomma possibile, oltre che necessario, intorno alla lotta per la conservazione della funzione sociale delle autonomie locali, rinsaldare un fronte ampio di lotta contro la manovra del governo.
su Liberazione (17/06/2010)
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