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di Fulvio Lo Cicero Due anni fa il Governo aveva tagliato il 10% degli organici promettendo aumenti di stipendio per i docenti più bravi. Gelmini (2008): “Gli insegnanti guadagno poco rispetto alla media europea”. Ora la ricompensa con il taglio di stipendi e pensioni. Una decisione che trova d’accordo perfino “maître à penser” come Eugenio Scalfari e opinionisti critici come Massimo Giannini ROMA – Giorni di scrutini finali nella scuola superiore italiana. Entro venerdì tutto dovrà essere finito per accogliere le commissioni che dovranno esaminare gli studenti dell’ultimo anno. Ma già oggi potrebbero frapporsi le prime difficoltà. Lo sciopero degli scrutini, proclamato dai Cobas con contestuale raccolta fra tutti i docenti e il personale amministrativo di somme da devolvere ai lavoratori che vedranno decurtato il loro stipendio, sta riscuotendo un enorme successo e rischia di far saltare il calendario programmato. E per la giornata del 25 giugno, giorno in cui dovrebbe svolgersi la terza prova dell’esame di Stato, si prevede un totale black out in tutti gli istituti a causa dello sciopero generale proclamato dalla Cgil. “Non c’è da stupirsi” dice Franco, un docente di fisica romano, “stiamo subendo un attacco massiccio da parte del Governo; mancano solo le armi chimiche e poi ci avranno sterminati tutti”. “Non solo abbiamo dovuto ingoiare un taglio di risorse mai sperimentato nella scuola italiana, ma ora anche quello degli stipendi e, di riflesso, delle pensioni, per non dire dei licenziamenti di massa. Oramai mancano soltanto i roghi” aggiunge Marianna, una docente di greco e latino, fine traduttrice di poeti classici. Nelle scuole oramai si respira un’evidente aria di rivolta. Anche perché l’attuale Governo sembra accanirsi contro tutto il personale, dai docenti ai tecnici, dagli amministrativi ai collaboratori scolastici, presupponendo che siano tutti nullafacenti, che il loro lavoro non abbia alcuna utilità sociale e soprattutto che i loro stipendi (parliamo di 1.400 euro medie mensili per gli insegnanti e 1.100 per il personale tecnico ed amministrativo a metà carriera) siano cresciuti ingiustamente più dell’inflazione. L’inaffidabilità della Gelmini Ricordate le roboanti dichiarazioni della ministra Gelmini subito dopo aver assunto la carica di responsabile del ministero di Viale Trastevere? «Una buona parte dei tagli predisposti dalla legge ritorneranno alla scuola sotto forma di aumenti di stipendio per i professori meritevoli, quelli che lavorano di più e meglio». Era il 10 giugno di due anni fa e la ministra aggiungeva: «Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media Ocse». Un problema grave, secondo la ministra; basta fare un paragone con le remunerazioni dei docenti stranieri: «Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. Fosse in Germania ne guadagnerebbe 20 mila in più, in Finlandia 16 mila in più. La media Ocse è superiore ai 40 mila euro l’anno». Tutte balle, come sempre quando parla Berlusconi o un qualsiasi suo ministro. Dopo appena due anni, l’Esecutivo ha fatto esattamente l’opposto, bloccando la crescita automatica degli stipendi per tutto il personale della scuola e perfino le tornate contrattuali, giustificandolo con il fatto che essi erano cresciuti troppo al di sopra dell’inflazione. Ma non erano “scandalosamente” bassi e non dovevano avvicinarsi alla media di quelli corrisposti negli altri Paesi Ocse? Come scrive a questo proposito Daniele Checchi, analista del sito “lavoce.info”, «si configurerebbe insomma un “tradimento” nei confronti del personale della scuola: prima viene richiesto loro di accettare una riduzione degli organici di circa il 10% della dotazione, con il conseguente aumento dei carichi di lavoro e i disagi connessi alla difficoltà di far fronte alle carenze con supplenti, in cambio della promessa di maggiori risorse stipendiali per gli insegnanti più virtuosi. Successivamente si stornano le stesse risorse a coprire i maggiori costi creati dalla riduzione degli organici, a fronte della mancata copertura ministeriale dei debiti delle scuole». Normale amministrazione per gente che non usa “mettere le mani nelle tasche degli italiani” e che considera, dunque, il personale della scuola extra-comunitari. Il ministero della distruzione Una realtà evidente, lapalissiana, avrebbe scritto Leonardo Sciascia, quella dell’attuale Governo che non solo non inserisce fra le sue priorità il rafforzamento e rilancio del sistema pubblico di istruzione, ma ne pianifica il suo progressivo dissolvimento, assegnandogli un ruolo “residuale” nella formazione dei giovani. Mentre il ministro Tremonti annuncia che il conflitto capitale-lavoro è oramai un residuato del Novecento, i ceti dominanti cessano di ritenere che i figli del lavoro debbano per forza diventare istruiti o colti ma che questa possibilità debba ritornare nella sola disponibilità dei figli del capitale. Scuole private confessionali e di alto pregio – con rette che possono superare anche 50 mila euro annui – stanno vedendo una crescita di iscrizioni mai sperimentata. Oramai nessun giovanotto di famiglie benestanti viene più iscritto in una scuola pubblica – come succedeva perlomeno fino al secolo scorso – perché la si considera irrimediabilmente lesionata e in procinto di crollare definitivamente. «D’altronde è la stessa immagine che offriamo ad allontanare le persone benestanti» afferma Luciano, un docente di matematica in un liceo scientifico di Milano, che aggiunge: «I media rilanciano questo genere di notizie, i presidi che chiedono soldi alle famiglie, la carta igienica che manca. Le famiglie che possono scappano e la scuola rimane un grande contenitore che fa acqua da tutte le parti ma è quello che si possono permettere ceto medio e poveri». Nel sud la situazione è oramai fuori controllo, soprattutto per lo stato strutturale di molti edifici. Nonostante ciò, nell’ultimo piano del Cipe, approvato in maggio, dei 358 milioni di euro stanziati per interventi urgenti di messa in sicurezza, soltanto 157 si dirigeranno nel Meridione, dopo un intervento della Lega che ha imposto un cambiamento dei criteri tradizionali, secondo i quali le più disastrate scuole del Sud avrebbero dovuto avere almeno l’80% delle somme. Basti pensare che, in una Regione come il Molise, saranno destinati zero euro. Venti di rivolta Eppure, nonostante le palesi ingiustizie di un decreto economico che colpisce a fondo solamente scuola e pubblico impiego, anche numerose menti illuminate, come ad esempio il fondatore di “Repubblica” Eugenio Scalfari e una delle principali firme dell’economia, Massimo Giannini, sempre feroci con la politica economica tremontiana, questa volta sconsideratamente approvano, ripetendo il refrain governativo sugli aumenti non giustificati degli stipendi pubblici. Non rendendosi conto che stanno avallando la distruzione del futuro delle prossime generazioni. Da Dazebao.org Condividi