Merkel.jpg
Di Luigi Vinci Il comportamento del governo tedesco dinanzi alla crisi greca è, prima di tutto, irrazionale rispetto agli obiettivi dichiarati: euro forte, rigore di bilancio, annullamento del rischio di inflazione, possibilità di politiche economiche di stimolo alla ripresa. Né basta ad argomentare quest’irrazionalità (benché sia parte della spiegazione) il desiderio dei partiti di governo, in vista delle elezioni in Renania-Westfalia, di non scontrarsi con la paura della popolazione tedesca che l’aiuto alla Grecia indebolisca l’euro e con il suo bisogno psicologico di garantirsi una moneta forte, o tornando al marco o espellendo la Grecia e magari altri paesi dall’Unione Europea. Angela Merkel probabilmente ha pensato che alternando mezzi impegni ad agire dal lato del bisogno greco di liquidità e mezzi anatemi sull’inaffidabilità greca, con tanto di richieste al governo Papandreou di suoi impegni precisi di massacro della sua popolazione, fosse possibile prevenire operazioni speculative sui titoli greci e sull’euro da parte dei delinquenti associati di Wall Street e delle agenzie di rating, quindi subire solo un modesto deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Con ciò Merkel non si sarebbe compromessa dinanzi agli elettori. Inoltre l’economia tedesca, in modesta ripresa, avrebbe potuto beneficiare di una condizione più favorevole dal lato delle sue esportazioni (la Germania contende alla Cina la posizione di prima economia esportatrice del pianeta). Ma è successo ben altro. I delinquenti, com’era ovvio, sono partiti all’attacco, sapendo che, all’occorrenza, a sfasciare il disegnino tedesco ci avrebbero pensato le agenzie di rating, attaccando non solo i titoli greci ma anche quelli spagnoli e portoghesi. Conclusione: l’euro tende a deprezzarsi e la possibilità di uno sprofondamento della Grecia e di un effetto domino del disastro greco sul versante di Spagna, Portogallo, Irlanda, più una serie di paesi dell’Est, tende a creare una situazione di euro debole e titoli di tutta Europa e dello stesso stato tedesco a più alto rendimento: difficoltà estrema quindi a praticare politiche di stimolo alla ripresa, riavvio della recessione su scala non più solo greca, spagnola e all’est. Con tanti saluti alle stesse esportazioni tedesche, atteso che esse per la metà vanno verso gli altri paesi dell’Ue. La popolazione tedesca ha l’ossessione della moneta forte e il terrore di un’inflazione anche di modesta entità. La risposta sta nella storia tedesca del Novecento: al termine di tutt’e due le guerre mondiali la popolazione tedesca si trovò in una situazione di inflazione galoppante che ne distrusse risparmi e pensioni e la immiserì all’estremo. La laboriosità tedesca ricostruì rapidamente l’economia e la prosperità: ma la sedimentazione di due esperienze disastrose creò una mentalità. Essa e soprattutto il suo consolidamento sono state anche, ovviamente, il risultato dell’azione delle forze politiche di governo. Il fatto poi che la politica europea, a livello di Ue come dei paesi membri, proceda alla giornata, senza idee di respiro e di prospettiva, ingabbiata dai meccanismi istituzionali barocchi e dalle politiche di bilancio restrittive dei Trattati, altro non fa che alimentare questo quadro. Dove sta andando l’Ue, e quale prospettiva, essa ha davanti a sé, è una domanda a cui cominciare urgentemente a rispondere. Credo che, alla fine, la crisi di liquidità verrà tamponata: ma al prezzo, date le condizioni poste da Fmi e Ue, di un massacro sociale e di una prolungata recessione. Il rientro del deficit al di sotto del 3 per cento in due anni e mezzo, inoltre, è impossibile. E lo sanno tutti. Ma ciò che conta, per il governo tedesco, è il “segnale”: chi sgarra muore. Sulla scia di questo segnale, dunque, il monetarismo europeo si sta scatenando nella richiesta di un carattere più coattivo dei parametri di Maastricht, e questo soprattutto a danno dei paesi più indebitati. Giustamente, la popolazione greca, con i suoi lavoratori in prima fila, è in rivolta. La rivendicazione popolare è anche la rinuncia agli “aiuti” di Fmi e paesi dell’Ue. Al di là della difficoltà di raggiungere un tale straordinario risultato (occorrerebbe l’appoggio di una mobilitazione popolare europea), esso rappresenta un passaggio importante nella coscienza sociale sulla possibilità di un’altra politica di bilancio, più in grado di tutelare le condizioni di vita popolari. Rappresenta, inoltre, una chiarificazione importante circa chi in Grecia sta a sinistra, cioè con i lavoratori e la maggioranza della popolazione, e chi invece non ci sta (quindi Pasok e governo Papandreou). Le misure di bilancio che Fmi e Ue stanno imponendo alla Grecia sono tagli di stipendi, abolizioni di tredicesime, tagli agli organici nel pubblico impiego e ai servizi sociali, aumento dell’Iva: appunto un massacro, e il governo Papandreou lo accetta più o meno tutto. Ma la Grecia batte l’Italia in sede di evasione fiscale. Riuscire a recuperare risorse su questo versante consentirebbe quanto meno di ridurre molto la pressione sulle condizioni popolari. Ma il governo Papandreou non ha detto, ad oggi, una parola in questi senso, solo genericità sul recupero dell’evasione. Quindi ha di fatto dichiarato che è a danno dei redditi da lavoro, dell’occupazione e dei servizi sociali che si concentrerà l’azione immediata di bilancio. Da Liberazione.it Condividi