Abbiamo una sola parola da usare: Fascismo. Certo, adattato ai tempi moderni, non la marcia su Roma, non le baionette, gli assalti alle Camere del Lavoro, alle Case del popolo, la messa al bando dei partiti della sinistra, il carcere, l’esilio per chi al regime mussoliniano non si arrendeva. Al fascismo in doppio petto, abiti firmati da Ciro Paone, porta infatti la strada che il presidente del Consiglio sta percorrendo.
Non è un caso che il suo delirio, la sua fobia antidemocratica, venga proposto a categorie di un ceto medio impaurito dalla crisi, che vede nel grande imprenditore, “sono uno di voi” dice sempre, l’ancora di salvezza.
Le associazioni come la Confartigianato e quella degli albergatori che lo hanno “ospitato” in questi giorni hanno avallato la manovra del governo, non hanno battuto ciglio a fronte di un attacco alla democrazia di inaudita virulenza, il più grave nella storia della Repubblica che, pure, non è stata una strada in discesa.
Rivolgendosi ai “cari colleghi” artigiani ha detto, riferendosi al suo governo: “Non è che manchino le buone intenzioni o gli ottimi progetti, è che abbiamo un’architettura istituzionale che rende difficilissimo trasformare questi progetti in leggi compiute, concrete e operanti”. Poi ha aggiunto che la Costituzione “è datata” e risente della “matrice catto-comunista”.
Completa il quadro della messa in discussione della Carta, su cui come sottolinea il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha giurato di fronte al Presidente della Repubblica, l’annuncio che la legge bavaglio sulle intercettazioni non è che l’inizio. Intanto ha blindato il testo, Senato e Camera esautorate, è l’ufficio di presidenza del Pdl, lui cioè, mettendo a tacere come era prevedibile Gianfranco Fini e i finiani, che ha deciso come legare mani e piedi ai magistrati, impedire all’informazione di svolgere il ruolo di “controllore critico” del potere, come in tutte le democrazie liberali sostituendosi alle istituzioni. E’il Pdl, con il benevolo ok della Lega cui interessa solo il potere nelle regioni del Nord, che prende il posto del Parlamento, un “bivacco di manipoli” lo definì Mussolini. Non bastava: Già Berlusconi aveva fatto sapere che lui si era astenuto nella votazione (finta) della presidenza del Pdl, perché la legge che era stata definita, non rispondeva in pieno ai suo voleri.
E’ andato alla compiacente assemblea degli artigiani e ha dato l’annuncio: “Il disegno di legge è un primo passo, cercheremo di migliorarlo più avanti perché la privacy deve essere garantita in uno stato di diritto”. Dove per “privacy” si deve leggere sporchi affari, a partire da quelle della cricca.
Non è finita qui: manda i suoi peones all’assalto della Rai, il direttore generale Masi è sotto tiro perché ancora non ha cacciato Santoro. Glielo aveva promesso in una telefonata, di quelle che non potremo più pubblicare quando entrerà in vigore la legge. Ogni promessa è un debito e chi non mantiene paga. Non dimentichiamo che fu il Gran Consiglio di Mussolini ad accusare Galeazzo Ciano, suo genero, di alto tradimento ordinandone la fucilazione.
Giovedì
10/06/10
08:54