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Un capannone industriale per la lavorazione di indumenti in cashmere trasformato in un lager, con numerose camere da letto delimitate da pareti in cartongesso, suppellettili di fortuna, servizi igienici in condizioni pietose e topi morti nel locale adibito a cucina. E' la "scoperta" fatta dai finanzieri della tenenza di Città di Castello, in collaborazione con i "baschi verdi" della Compagnia di Perugia, che al termine di una lunga e complessa indagine hanno arrestato quattro cinesi - tra cui il titolare dell'attività - e individuato 16 operai (di cui 10 donne) costretti a lavorare nella struttura per pochi euro al giorno e completamente in nero. Il capannone, circa 1.200 metri quadrati di superficie, si trova in via C. Sisi, nella zona industriale "Cerbara": i capi prodotti finivano tutti sul mercato nazionale. All'interno del capannone, sequestrato, le Fiamme gialle hanno trovato - oltre a 25 macchine per cucire e ad altre attrezzature impiegate nella produzione - numerosi piccoli ambienti che servivano da dormitorio, bagno, dispensa e cucina, tutti maleodoranti ed in pessime condizioni igieniche: precario anche lo stato di conservazione degli alimenti trovati nel vecchio freezer. Le mura divisorie erano state realizzate con dei pannelli provvisori assemblati alla meglio mentre disseminate sul pavimento c'erano sporcizia e rifiuti, trappole per topi, servizi igienici maleodoranti ed insalubri: un ambiente buio e fatiscente al cui interno gli operai lavoravano in turni dal primo pomeriggio e fino alle 5 del mattino successivo. I finanzieri, dopo aver identificato tutti i lavoratori presenti nella struttura, hanno accertato che 10 di loro non avevano alcun documento che ne giustificasse la presenza sul territorio nazionale. In particolare, tre sono risultati già colpiti da provvedimenti di espulsione emessi da altrettante autorità di pubblica sicurezza: per loro è scattato l'arresto immediato ed il giudizio per direttissima. Il titolare della ditta - M.Z., 34 anni, da oltre dieci anni trapiantato nella cittadina - è stato arrestato perché, "al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità degli stranieri, favoriva la loro permanenza nel territorio dello Stato in violazione della legge sull'immigrazione". Gli investigatori hanno avuto un'ulteriore conferma del "modus operandi" delle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento di manodopera illegale che, "nella maggior parte dei casi, viene regolarizzata all'ingresso nel territorio nazionale per svolgere servizi di utilità sociale (badanti, colf) salvo poi essere dirottata verso altri impieghi ben più remunerativi" per i reclutatori: gran parte delle lavoratrici risultavano in Italia con attestazioni di regolarizzazione come badanti in località lontane dall'Umbria, soprattutto nel nord-Italia. Condividi