Stupisce e indigna la sicumera con cui la presidente di Confindustria liquida la questione dell’università e della ricerca in Italia in poche battute, sparando a zero su un mondo assai complesso che ignora e appoggiando incondizionatamente il ddl Gelmini, cui attribuisce la capacità di salvare l’università da se stessa, secondo il trito stereotipo dello “strapotere delle baronie…che sono quelle che ammazzano la nostra università”.
I baroni universitari, sarà bene chiarire una volta per tutte, rappresentano una categoria ormai quasi del tutto estinta, formata per lo più da accademici di grande levatura (e di grande potere), che decenni orsono ha traghettato nel bene e nel male l’università italiana dal modello elitario all’università di massa, e si è assunta la responsabilità delle proprie scelte. Ciò che oggi si definisce ‘baronia’ è in realtà il sottoprodotto di pessime riforme, volute dalla politica - certo anche con il contributo di alcuni professori – che da una parte hanno consentito il proliferare delle sedi universitarie e, con esso, l’affermarsi di un accentuato localismo, a sua volta fonte di progressiva deresponsabilizzazione, e dall’altra hanno indotto una sorta di aziendalizzazione dell’università che si manifesta ad es. nella misurazione degli insegnamenti e dei saperi in crediti e in altre manifestazioni di malinteso efficientismo. Dietro tutto questo il tentativo – nel migliore dei casi – di adeguare il sistema universitario all’evolvere del capitalismo e alle esigenze del mercato, ma soprattutto un’idea assai confusa di ciò che debba essere il ruolo sociale dell’università in questo paese.
Ora si vorrebbe vedere nel ddl Gelmini un’altra svolta epocale. Si capisce perché il ddl piace a Confindustria: perché consegna la ricerca pubblica agli imprenditori privati consentendo loro di continuare a non investire un euro in innovazione. Ma perché, per il paese, dovrebbe essere questa la “bella riforma” dell’università di cui parla Marcegaglia? Perché ammazza la ricerca di base e asservisce l’istruzione pubblica superiore al mercato? Perché ammazza l’autonomia degli atenei voluta dalla costituzione della Repubblica? Perché, pur in questi limiti, sancisce lo strapotere dei rettori contro ogni principio di democrazia? Perché apre l’ingresso dei cda delle università (peraltro privati di risorse da gestire) a componenti esterni, imprenditori, ma anche politici locali, ‘la parte sana del paese’? Oppure perché istituzionalizza la precarizzazione del lavoro di ricerca e introduce criteri meramente quantitativi di valutazione del merito che nulla hanno di serio, ma sono perfettamente in grado, questo sì, di mortificare il talento e l’originalità? Dalla signora Marcegaglia, per il ruolo che ricopre, ci attenderemmo e pretendiamo un’analisi provvista di un minimo di fondatezza.
Guido Alpa
Alberto Burgio
Alessandro Somma
Raffaele Di Raimo
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Luca Nivarra
Riccardo Bellofiore
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