Gli Stati generali degli amministratori del Centro Italia che si tengono oggi a Perugia rappresentano un importante banco di prova per la definizione di una politica comune dell’Italia Mediana.
Sulle colonne del “Corriere dell’Umbria” si è sviluppato un interessante dibattito che pone l’esigenza di valorizzare i prodotti agroalimentari di qualità, a cominciare dal vino, mettendo in rete le politiche della filiera agroalimentare dell’Italia centrale. In questo senso ho apprezzato l’intervento dell’assessore regionale alle politiche agricole dell’Umbria, Fernanda Cecchini, che si è spinta anche oltre, ravvisando la necessità della realizzazione di politiche pubbliche comuni delle regioni dell’Italia di mezzo per tutelare il paesaggio e valorizzare un modello sociale e produttivo che ha consentito una alta qualità della vita.
Da tempo Rifondazione comunista dell’Umbria ha richiamato la necessità che le regioni del Centro Italia iniziassero a progettare un percorso per costruire una massa critica sufficiente per affrontare la pericolosa trazione a cui è sottoposto il Paese a causa del nuovo assetto federalista, che proprio in queste settimane si avvia alla conclusiva definizione con il varo dei decreti attuativi della legge sul federalismo fiscale.
Una trazione che pone problematiche forti, spinta come è dalla locomotiva nordista fondata sull’asse Formigoni-Cota, che chiedono a gran voce un “federalismo differenziato”, cioè un modello competitivo tra territori, imprese, persone, alla cui base c’è l’egoismo e la volontà di lasciare a se stessi i territori che non hanno il gettito fiscale, il tessuto produttivo, le risorse economiche e finanziare delle regioni più grandi. Che è poi alimentata dall’altro corno del problema, ora un poco in difficoltà, del partito trasversale del Sud, che persegue la logica assistenziale delle grandi opere e del sistema dei trasferimenti statali.
All’Italia Mediana, luogo di una sedimentazione culturale e politica che poggia su un forte spirito cooperativo e solidaristico tra le persone e le comunità, che è stata la culla del regionalismo riformatore e progressista, spetta il compito di porre un argine al darwinismo sociale di stampo leghista, e all’idea che lo Stato si disimpegni dal garantire un livello omogeneo su tutto il territorio nazionale dei servizi e delle prestazioni, ma anche delle politiche, che realizzano i diritti civili e sociali delle persone.
Allora va bene che ci mettiamo tutti insieme a valorizzare paesaggio e qualità delle produzioni agroalimentari, ma dobbiamo anche progettare un sistema di politiche comuni all’intera Italia mediana per quanto riguarda i servizi sanitari, mettendo in rete strutture, professionalità, eccellenze e capacità di innovazione; le infrastrutture, materiali ed immateriali; i servizi sociali, la programmazione economica, il sistema del credito e quello dell’istruzione universitaria, creando dei veri distretti industriali, rurali e culturali a livello interregionale.
La sfida al “federalismo differenziato” di Cota e Formigoni è dunque quella di dare corpo ad un’Italia mediana plurale, ma intrecciata in una forte unione, che sappia costruire la propria identità sulla solidarietà, sulla centralità del fattore lavoro in un nuovo modello di sviluppo riconvertito all’equità redistributiva e alla sostenibilità ambientale. L’appuntamento di oggi a Perugia può essere davvero l’inizio di questo ambizioso percorso.
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