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A Rostock, in Germania, sabato e domenica scorsi, si è svolto il congresso della Linke. Qualche articolo è uscito anche sui giornali della sinistra italiana, in particolare l’Unità, il manifesto e Liberazione (che segnalo nella rubrica “Accade a Sinistra” di questo blog). Rifondazione Comunista, che vi ha partecipato con la presenza del segretario Ferrero, è stata l’unico partito, assieme al Front de Gauche francese, ad essere invitato, a dimostrazione dei buoni rapporti che esistono tra le due formazioni politiche. Credo valga la pena, per noi comunisti, impegnati a risalire la china dopo una batosta incredibile, ragionare su questa esperienza che è riuscita, in tre anni, a raccogliere un consenso rilevante: l’11,9% alle ultime elezioni politiche del settembre 2009. Consenso raccolto nel Paese più popoloso e più importante dell’Unione Europea e conseguito con una piattaforma politica nettamente di sinistra. Non penso a modelli da “copiare”, ovviamente, ma ad una esperienza sulla quale riflettere. Il congresso si è concluso positivamente, con la sostituzione dei due presidenti “storici”: Oskar Lafontaine e Lothar Bisky. Al loro posto Gesine Lotzch, deputata (ex Pds) eletta con il 92,8% dei consensi e Klaus Ernst, sindacalista IG metal (ex Wasg raggruppamento dei fuoriusciti da sinistra dall’SPD), eletto con il 74,9% dei voti. Sono stati eletti anche 4 vicepresidenti (3 donne e 1 uomo), la Direzione; ed è stato votato un documento politico, mentre il documento programmatico, su cui si sta lavorando da tempo, dovrebbe essere concluso entro il 2011. Detto questo, le differenze politiche, anche profonde, che ci sono all’interno della Linke sono emerse anche in questa assise. Come si sapeva da tempo il congresso ha riconfermato la presenza all’interno della Linke di diverse opzioni politiche che vengono a mio parere un po’ grossolanamente collegate alle due distinte realtà territoriali. Da un lato la Linke dell’ovest guidata da Lafontaine che sarebbe più radicale e meno propensa a stringere alleanze con la SPD, dall’altro lato la Linke dell’Est che, viceversa, sarebbe più pragmatica e più propensa a stringere alleanze con la socialdemocrazia. Credo sia una suddivisione un po’ schematica e colgo l’occasione per sollecitare chi avesse informazioni più precise o della documentazione a socializzarle in modo che possano arricchire il nostro dibattito. Tuttavia, come ogni semplificazione, essa contiene anche, molto probabilmente, un elemento di verità. E’ evidente che le due parti principali che hanno dato vita alla Linke – la Pds e i fuoriusciti dall’SPD – non hanno ancora attuato, nei fatti, una vera unificazione, sia politica che organizzativa. Lo dimostra il fatto che, a differenza degli impegni presi, non è stato eletto un presidente ma due e che, a tutti i livelli, si è deciso di istituire le responsabilità doppie. Per esempio due responsabili organizzativi, due capigruppo in Parlamento etc. Così come è evidente che la collocazione alla opposizione di una grossa coalizione, come ha fatto la Linke fino al 2009, è stata condivisa da tutto il partito, mentre le varie posizioni interne quasi sicuramente si articoleranno se dopo le prossime elezioni politiche i parlamentari fossero determinanti per costruire un governo con Spd e Verdi, in alternativa alla CDU-CSU e liberali. Anche sulla partecipazione o meno ai governi regionali le posizioni si differenziano in modo molto netto. Un ruolo importante, nel corso del congresso, accettando anche di fare passi indietro rispetto agli obiettivi che il congresso stesso avrebbe dovuto conseguire, lo ha svolto Gysi, storico leader della PDS, il cui contributo è stato determinante per la conclusione unitaria. E’ del tutto evidente che, stante questa situazione, l’unità raggiunta è molto precaria e può rompersi da un momento all’altro. Io spero vivamente che i compagni e le compagne della Linke non commettano questo errore storico. Pur con tutte le differenziazioni molto forti all’interno, oggi i lavoratori e le lavoratrici tedesche possono disporre di un soggetto politico che pesa nel Paese, in grado di opporsi alle politiche di destra e all’offensiva dei padroni, in grado di incidere nella politica e, come si è visto in questi primi anni, di essere attrattivo e, quindi, di crescere ulteriormente. E qui arriviamo agli elementi di riflessione che dalla Germania possiamo trasferire all’Italia e che mi sembrano da prendere in seria considerazione. Credo di non sbagliare nel dire che all’interno della Linke convive uno spettro di posizioni politiche che ci riportano a quelle presenti in Rifondazione Comunista della metà degli anni ‘90, prima della scissione cossuttiana. Tanto per intenderci, da Cossutta, Castellina, Magri, per arrivare a Cannavò e Ferrando, passando per Bertinotti. Tutte queste varie gradazioni della sinistra italiana, e anche di più, convivono nella Linke tedesca e prendono il 12%. In Italia, viceversa, queste forze si sono frantumate dando vita ad un arcipelago di formazioni incapaci, da sole, di rappresentare una alternativa credibile. Non mi sfuggono e non voglio affatto banalizzare le differenze profonde che sono emerse in questi anni, in particolare in rapporto al tema del governo, che è stata storicamente la causa prevalente delle nostri scissioni. Così come non mi sfugge il fatto che la stessa cosa possa capitare in futuro ai compagni e alle compagne tedesche. Io penso che noi dovremmo investire con forza sul tentativo di invertire questa tendenza, aprendo in Italia una riflessione vera tra di noi a partire dal fatto che così come siamo messi oggi serviamo a poco e che anche da noi bisogna scommettere su un grande sforzo unitario. La Federazione della Sinistra è il primo passo e deve essere fatta rapidamente, aprendola e facendola crescere anche dal basso per cercare di suscitare la passione e il coinvolgimento di milioni di persone che in questi anni si sono rifugiati nel disimpegno. Ma dobbiamo trovare le forme di coinvolgimento e di unità con tutte le altre forze, movimenti e associazioni che coprano quello spettro politico che nella Linke, convivendo assieme, pur in presenza di una forte dialettica interna, rappresentano un progetto alternativo e una speranza per le classi subalterne di quel Paese. Condividi