Occorre guardare con attenzione al piano europeo sin'ora messo in atto per fronteggiare la crisi greca. Risulta infatti evidente che l'obiettivo non è quello di risolvere la crisi ma di aumentare lo sfruttamento dei lavoratori continuando a foraggiare la speculazione.
N el merito, il piano europeo prevede che i governi europei prestino i soldi al governo greco. Ovviamente i soldi i governi li prendono dalle banche ad un tasso di interesse più basso di quello che poi fanno pagare al governo greco. Il quale utilizza questi soldi per pagare alle banche e agli speculatori gli interessi sul suo debito, che sono cresciuti vertiginosamente a causa della offensiva speculativa. I governi europei hanno chiesto come condizione per il loro prestito che il governo greco sferri una pesantissima offensiva contro i lavoratori greci. In pratica, tutto il giro si riduce a questo: i governi europei danno i soldi al governo greco che li dà agli speculatori e questi soldi verranno restituiti - con gli interessi - dai sacrifici fatti dai lavoratori greci. Al di là delle chiacchiere e della retorica, si tratta quindi di un puro e semplice passaggio di risorse dal lavoro alla speculazione.
Ovviamente questo avviene in base ad una precisa scelta politica. Nei mesi scorsi infatti non è stata assunta alcuna seria misura per contrastare la speculazione finanziaria e "l'epica battaglia tra i mercati e gli stati" è avvenuta in queste ore solamente perché gli stati hanno permesso che gli speculatori continuassero a fare i loro porci comodi. Il secondo punto che occorre sottolineare è che la Banca Centrale Europea si comporta esattamente come se fosse una banca privata e quindi - sino ad ora - è entrata solo marginalmente nella partita. Come ha ben spiegato ieri Luigi Vinci, la Bce potrebbe invece entrare direttamente nella partita comprando i titoli pubblici degli stati membri in barba alla speculazione del mercato e per questa via renderla del tutto inefficace. Ovviamente, per fare questo si dovrebbe rovesciare l'impostazione di politica economica che ha presieduto alla creazione della moneta unica, mettendo in discussione Maastricht, l'indipendenza della Bce e il suo ruolo. Questo significa due cose: in primo luogo, dati gli assetti di potere e le ideologie che permeano attualmente i governi europei - tanto di centrodestra come di centrosinistra - non è pensabile che in tempi brevi vi sia una azione riformatrice che affronti la crisi facendola pagare alla finanza e alle banche invece che ai lavoratori. In secondo luogo, la vicenda greca è destinata a ripetersi. L'attacco ai lavoratori, in nome della stabilità finanziaria di stati che vengono terremotati dagli speculatori, lasciati liberi di agire da quegli stessi stati, continuerà e si estenderà ad altri paesi.
Di fronte a questa situazione pesantissima occorre ricominciare a chiamare le cose con il loro nome: quanto sta succedendo non è un incidente di percorso ma la massima espressione del capitalismo per quello che è oggi e cioè un capitalismo integralmente finanziarizzato. Noi comunisti dobbiamo fare due cose: in primo luogo, riprendere una seria critica dell'economia politica e cioè disvelare come dietro la presunta neutralità della crisi attuale si nasconda in realtà un gigantesco trasferimento di risorse e di potere dal lavoro al capitale. In secondo luogo, dire con chiarezza che la soluzione c'è ed è che l'economia rientri nell'alveo delle scelte democraticamente decise dalle popolazioni. Serve quindi un di più di anticapitalismo per uscire dalla crisi, non un di più di moderazione. Questo comporta che si scelga decisamente la strada dell'intervento pubblico in economia, mettendo la mordacchia alla finanza, trasformando la Bce in una banca centrale sottoposta al potere politico, modificando i parametri di Maastricht e definendo una politica europea finalizzata alla riduzione dell'orario di lavoro e alla riconversione ambientale e sociale dell'economia. Questo significa "forzare la globalizzazione neoliberista che è all'origine della crisi e non può certo rappresentarne la soluzione".
Questi temi, fino a prima della crisi, potevano apparire tutt'al più come esercizi intellettuali. Oggi, dentro la crisi, non più. Essi costituiscono i punti centrali e determinanti di una forza politica comunista per poter far politica e collegare in modo credibile le lotte di resistenza con la prospettiva. Il senso di una formazione comunista dentro la crisi del capitale è proprio questo: demistificare, costruire il conflitto e proporre l'alternativa di società. Attorno, e non al posto di questo nucleo centrale, vanno costruite alleanze e convergenze. Anche per questo lavoriamo per costruire il massimo di attenzione e solidarietà verso la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori greci e chiediamo alla Cgil di dichiarare lo sciopero generale: se non ora quando?
Sabato
08/05/10
09:26