Un'altra tegola si abbatte sui lavoratori della Ponti Editoriale di Città di Castello. La Guardia di finanza ha infatti arrestato ieri Gian Gaetano Caso, che aveva recentemente rilevato il pacchetto azionario di maggioranza della società. Insieme a Gian Gaetano sono stati arrestati il figlio Fabio ed altre sei persone, 14 le denunce. Le accuse, gravissime, parlano di abusivismo bancario per oltre 200 milioni di euro, 9 milioni di euro di fatture false, 80 milioni di euro di fittizi aumenti di capitale sociale, bancarotta fraudolenta per Hopit Spa, Net.Tel. Spa, Editoriale Dieci Srl e Segem Spa, tentata truffa aggravata nei confronti della Regione Abruzzo per l'ottenimento illecito di fondi pubblici, falsita', calunnia aggravata e resistenza a pubblico ufficiale. Le indagini sono state coordinate dai pubblici ministeri Giuseppe Cascini e Andrea Mosca della procura di Roma. L'INCHIESTA L'operazione, chiamata 'Capital Watering', ha permesso di smantellare il castello societario del gruppo Hopit, al quale sono riconducibili società editrici e di telecomunicazioni facenti capo appunto ai Caso, padre e figlio. Tra queste il giornale ''Dieci'', un quotidiano sportivo nato nel 2007 e chiuso dopo alcuni mesi di vita, con sostenute proteste dei giornalisti che non venivano pagati; la presunta rinascita della testata ''Il Globo'' nei primi anni 2000 (ma in realtà si trattava soltanto di un ''clone'' dello storico quotidiano fondato da Luigi Barzini jr, il cui legittimo titolare ha a suo tempo intrapreso le vie legali proprio per il tentativo di ''sottrazione'' della testata e per pubblicazione clandestina della medesima), quale iniziativa della società Pm Edit Srl attualmente in fallimento; le attività della Laer (società sulle cui ceneri è sorta poi la Ghenda Srl) affidata a un soggetto vicino al patron del gruppo, R.L., che nel settembre 2006 ha dovuto gestire la fine dei ''call center'' in Sardegna di fronte ai lavoratori che reclamavano i mancati pagamenti. Sempre la Hopit Spa, holding finanziaria del gruppo, compare nel 2005 tra i potenziali ''salvatori'' dello stabilimento casertano di San Marco Evangelista della multinazionale 3M Spa e, nel 2008, viene citata tra i pretendenti del giornale L'Unità. I militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di Finanza hanno iniziato ad occuparsi della Holding per ispezioni antiriciclaggio nel febbraio 2008 nella sede principale del gruppo a Via XX Settembre 5 e presso altre unita' operative che, tutte insieme, stimano una capitalizzazione da oltre 90 milioni di Euro. Da quel momento il castello delle numerose società del gruppo - la Hopit Spa, la Net.Tel. Spa, la Segem Srl, la Ghenda Srl, la Caso Editori Srl, la Editoriale 10, la Editoriale 7 Srl, la Editoriale 11, la G&A Giornali Associati, supportate da altre equivoche realtà economiche come le societa' nicaraguensi Central America Adventures SA e Mediterranea SA, detentrici di importanti quote multimilionarie della capogruppo Hopit e delle altre partecipate, e la Kuban Bank Rappresentanza per l'Italia che poco ha da spartire con l'omonima banca russa da cui ha preso il nome - ha cominciato a vacillare. COINVOLTO ANCHE ALBERTO DONATI, EX EDITORE DEL CORRIERE DELL'UMBRIA Nell'inchiesta risulta indagato anche l'editore Alberto Donati, già al vertice del Corriere dell'Umbria, con una partecipazione nel lancio della prime edizione del quotidiano free press City e attualmente consigliere della Fieg. Secondo quanto si è appreso, i militari della Guardia di finanza, nucleo speciale di polizia valutaria, hanno anche perquisito l'abitazione del manager. Le accuse mosse a Donati sono quelle di fittizio aumento di capitale sociale e bancarotta, in relazione alle vicende della società Editoriale Dieci Srl. Gli accertamenti dei pubblici ministeri Giuseppe Cascini e Andrea Mosca, riguardano in particolar modo l'attività della società Hopit tra il 2005 ed il 2009. Il giornale 'Dieci' è un quotidiano sportivo nato nel 2007 e chiuso dopo alcuni mesi di vita, con sostenute proteste dei giornalisti che non venivano pagati. Tra le persone per cui è stata disposta la misura cautelare in carcere, c'è anche Roberto Lupi, più volte vicino nelle attività dei Caso e coinvolto nell'inchiesta per via della società Laer, che nel settembre 2006 ha gestito la fine dei call center in Sardegna. QUALE FUTURO PER LA PONTI? Già prima di questa ulteriore tegola la situazione dei lavoratori dell'azienda di Città di castello era gravissima. Nel gennaio scorso, durante le trattative con i sindacati, Caso aveva rifiutato di concedere la cassa integrazione straordinaria dichiarando di voler procedere immediatamente ai licenziamenti. “La difficile crisi in cui versa l’azienda – disse nel gennaio scorso Mauro Moriconi della Slc-Cgil – provocata dalla cattiva gestione da carenza di capacita manageriale e da dissidi che riguardano gli assetti societari (sfociati in azioni legali) di cui fanno le spese i lavoratori, rischia di essere senza ritorno e di dare un altro duro colpo all’economia di tutto il territorio già fortemente colpito dalla crisi”. Le brutte notizie però ancora non erano finite. Il primo marzo infatti la Asl ha apposto i sigilli all'azienda dopo un ispezione (su richiesta dei lavoratori che lamentavano malfunzionamenti dei macchinari) in seguito alla quale erano state riscontrate gravissime anomalie ed inadempienze (cavi a bagno nell'acqua, deposito di materiali di scarto inquinanti e pericolosi) che la direzione avrebbe dovuto eliminare. La richiesta fu bollata da Caso come priva di fondamento. Di più, secondo Caso sarebbe stata “la noncuranza e la disaffezione al lavoro” degli operai ad aver creato quei malfunzionamenti. Da qui la decisione di licenziare per giusta causa i lavoratori e il conseguente sciopero ad oltranza. A PROPOSITO DELLA STORIA DI "DIECI" (LANCIATO A PERUGIA IN ALLEGATO AL QUOTIDIANO "LA VOCE NUOVA DI PERUGIA", POI CHIUSO) ALLEGHIAMO L'ISTRUTTIVO PEZZO DE "IL FATTO" DEL 19 FEBBRAIO SCORSO “Managua o Ceppaloni poco importa se si tratta di business. A Giandomenico e Fabio Caso, padre e figlio editori del giovanissimo quotidiano Il Clandestino, la fine dell’Udeur di Clemente Mastella è parsa subito una grossa opportunità economica, più che la disfatta di un progetto politico. Fatti due conti, con i sodali Ambrogio e Luigi Crespi (il sondaggista che ispirò il “contratto con gli italiani” di Silvio Berlusconi), non si sono fatti sfuggire l’affare. Ovvero l’acquisto della cooperativa editrice de Il Campanile Nuovo, già organo del partito di Mastella che nel 2008 aveva incassato 1,15 milioni di euro circa di finanziamento pubblico per l’editoria, riferibili al 2007. E che anche nel 2009 sarebbe passata alla cassa, dato che il finanziamento all’editoria è stato confermato (sul 2010 ci sono ancora incertezze). Ma allo stesso Mastella, una volta sfumato quel progetto politico, anche quel chiacchieratissimo l’organo di stampa non sarebbe più servito . I FINANZIAMENTI – Al Clandestino, 25 mila copie di tiratura dichiarate da Fabio Caso, che si occupa dell’amministrazione della società, i soldi del finanziamento facevano invece gola, almeno stando alle voci alle voci che si raccolgono tra coloro che sono transitati per il quotidiano. D’altronde la diffusione già allora probabilmente non brillava, sia per l’oggettiva difficoltà di trovarlo in edicola, sia per l’evidenza dei tanti resi che proprio gli edicolanti notificavano e notificano ancor oggi. Se la necessità impellente era la liquidità, il Campanile era la risposta più veloce a disposizione. Detto fatto, se non fosse per un particolare: i giornalisti del Clandestino sarebbero dovuti diventare essi stessi soci della nuova società, dato che per continuare a ricevere il finanziamento la nuova entità nata dalla integrazione sarebbe dovuta restare una cooperativa di giornalisti. Un passaggio che sembra non sia piaciuto a Pierluigi Diaco, l’ultimo direttore della testata che dopo neanche un mese di conduzione del giornale si è dimesso lasciando dietro di sé solo uno scarno comunicato nel quale si accenna a differenti vedute circa lo sviluppo e la gestione del progetto. Prima di lui anche David Parenzo, il primo direttore della testata, aveva fatto le valigie dopo tre mesi di reggenza: due direttori fuggiti dopo neanche sei mesi è un record anche per la malconcia stampa italiana. IL PRECEDENTE – Ma forse c’è qualcosa in più nella scelta dei due ex direttori di abbandonare il giornale velocemente. La storia dei Caso come editori non è costellata di successi. Al contrario, sembrano essere più le ombre, a partire dal fallimento del quotidiano Dieci, partito nel 2007 con a fianco dei Caso l’editore Alberto Donati, e Ivan Zazzaroni alla direzione. Una trentina di giornalisti, alcuni dei quali alla prima esperienza, che hanno visto sfumare tutto dopo appena tre mesi di uscite, stipendi pagati in forte ritardo, il fallimento dell’editrice Dieci, dove gli avvocati che avevano presentato in tribunale i decreti ingiuntivi relativi ai crediti vantati dai dipendenti, non hanno trovato nulla. Liquidità e attività inesistenti, e impossibilità di soddisfare i creditori. D’altronde, a sentire Donati, le disponibilità finanziarie che i Caso avrebbero dovuto apportare per sostenere il progetto si sono rilevate evanescenti. Due milioni di euro in obbligazioni del Nicaragua, la cui capitale è Managua dove avevano sede due società riferibili ai Caso, la Mediterranea sa e al Centrale America adventures sa. Le obbligazioni sono risultate poi senza valore ad una verifica prodotta dal Monte dei Paschi, e sono state alla base della decisione dello stesso Donati di abbandonare la società. Le accuse per la verità sono reciproche, perché Fabio Caso ha riferito al Fatto Quotidiano di aver perso nel progetto, per una cattiva gestione proprio di Donati, 2,3 milioni di euro, causando un buco complessivo ben sette milioni di euro. Nel mezzo la rabbia dei giornalisti e dipendenti, beffati nonostante i nomi altisonanti alla direzione e Roberto Baggio come testimonial, anch’esso in causa per centinaia di migliaia di euro. VERSO IL ROMANISTA – Anche l’avventura con i periodici acquistati da Peruzzo editore è finita, per il momento, in tribunale. Dallo storico editore italiano, i Caso hanno acquistato il settimanale DiTutto, e i mensili Top Salute e La Mia Casa, in difficoltà, per 1,5 milioni di euro. Soldi pagati solo in parte perché ritenuti eccessivi rispetto al valore delle testate. Non solo: la principale finanziaria dei caso, la Hopit controllata dalle due società nicaraguensi che Caso ha dichiarato di avere ora dismesso, è fallita dopo un’ingiunzione di pagamento di 35 mila euro nonostante dichiarasse un capitale versato di 50 milioni di euro. Circola un rumor ultimamente: ovvero che i Caso siano interessati al quotidiano sportivo il Romanista, in difficoltà. E la battuta che fanno alcuni dei suoi dipendenti è questa: Allora non è proprio un caso”. Condividi