Dal Corriere dell'Umbria dell'11 aprile 2010:
La questione del doppio incarico è vecchia quanto il cucco. Che però si ripresenta attualissima all'indomani di ogni tornata elettorale. E puntualmente non si risolve perché in fondo esiste un'autoconservazione corporativa di una certa classe politica il cui unico obiettivo è difendere il privilegio della seggiola. Così anche oggi, a due settimane dal voto e a qualche giorno dalla proclamazione degli eletti in consiglio regionale, è doveroso occuparsi della vicenda. Anche soltanto per dire che non è un problema di incompatibilità, ma sicuramente di buon senso e moralità. E per augurarsi che una volta per tutte i nostri politici si rendano conto che è meglio concentrarsi in un ruolo anziché ricoprire più cariche. Detto altrimenti, meglio sedersi su una poltrona che far accomodare il lato b su più scranni. Sia per un motivo economico, di compenso delle funzioni e quindi di riduzione dei costi della politica, e sia per una ragione di produttività e di impegno. Insomma i partiti farebbero bene a evitare le figure dei politici "sdoppiati" magari inserendo nei propri statuti una sorta di obbligatorietà di opzione. E' vero che il cattivo esempio arriva dalla capitale dove ci sono parlamentari che svolgono due o anche tre funzioni, tra sindaci e vicesindaci, assessori e consiglieri comunali e provinciali e perfino presidenti di province. E le norme sulle compatibilità ornai si interpretano come un elastico, ma sempre a proprio uso e consumo. Comunque non vale neppure la pena addentrarsi nei meandri legislativi delle incompatibilità, sarebbe una perdita di tempo e basta.
Quello che andrebbe fatto è stabilire una sorta di patto affinché chi è eletto in un'assemblea di un ente e fa parte dell'assemblea di un altro ente scegliesse in quale Palazzo lavorare per rispettare il mandato degli elettori. Ecco, una regola semplice semplice che produrrebbe tanti effetti benefici e solo uno malefico, quello di non soddisfare l'ambizione del doppio eletto.
Nel nuovo consiglio regionale diversi sono gli eletti che si trovano a fare i conti con questo dilemma: mi dimetto o non mi dimetto? Affermativa dovrà essere per forza di cose la risposta dei due sindaci di Città di Castello Fernanda Cecchini e di Gubbio Orfeo Goracci. E questa è la certezza da cui partire. A seguire ci sono gli altri casi, quelli di chi potrebbe continuare per legge a stare coni piedi in due staffe, come quello del vicesindaco di Gualdo Tadino Sandra Monacelli subentrata alla dimissionaria Paola Binetti, candidata a presidente per l'Udc; i consiglieri comunali del Pdl del capoluogo Massimo Monni e Rocco Valentino; il capogruppo del Pd al Comune di Gubbio Andrea Smacchi; il consigliere comunale del Pdl a Città di Castello Andrea Lignani Marchesani e ancora il consigliere comunale della Lega Nord a Citerna Gianluca Cirignoni, il consigliere provinciale di Terni Alfredo De Sio.
E' ovvio che tutti i politici elencati non avrebbero dubbi, se costretti, a scegliere Palazzo Cesaroni rispetto agli altri Palazzi. E su ciò nulla quaestio. L'importante però sarebbe decidere senza tergiversare anche se non esiste un obbligo di legge, ma etico sì, a spingere in questa direzione. Perché, comunque, resta valido il ragionamento secondo cui il doppio ruolo può essere considerato uno "scippo", una "deminutio" all'impegno. Oltre che un "gioco" finalizzato a occupare più poltrone togliendo spazio al ricambio, al rinnovamento della classe dirigente, alla partecipazione di altri esponenti alla cosa pubblica. Oltre che una "furbata" per accumulare qualche gettone di presenza in più nelle tasche. La questione potrebbe essere allargata anche ai componenti della giunta che la presidente Catiuscia Marini si sta accingendo a varare. Nel senso che i consiglieri chiamati a svolgere l'incarico amministrativo di assessore dovrebbero dimettersi da membri dell'assemblea e permettere l'ingresso dei primi non eletti. Questo, sia ben chiaro, non è scritto da nessuna parte e ognuno agisce come meglio crede. Ma sicuramente è da apprezzare lo statuto dell'Italia dei valori che obbliga, inderogabilmente, i propri eletti a lasciare il posto a un altro qualora chiamati a far parte della squadra della presidente. Vanno citati anche quei partiti, come Prc, che pur in assenza di indicazioni scritte, lavorerebbero in tale direzione e in questa logica si innesta la sequenza secondo la quale Goracci diventa assessore e quindi si dimette e quindi subentra Vinti. Oppure Stufara in giunta, lascia ed entra Mascio. Ma al di là del chi esce e chi entra, il principio dovrebbe essere sempre quello di non cumulare più incarichi per poterne svolgere al meglio uno. La prima obiezione è che se si rinunciasse all'accumulo dei compensi non ci sarebbe nulla di male. Controbiezione: sì per quanto riguarda i costi, no per quanto riguarda lo svolgimento dell'impegno. La seconda obiezione è che l'incarico di assessore dipende dal rapporto fiduciario con la presidente, quello di consigliere è garantito per i cinque anni del mandato elettorale. Controbiezione: il parlamento dovrebbe fare una legge secondo cui sono vietati i politici di professione, quindi se il capo della giunta dovesse ritirare le deleghe a un assessore la prima risposta sarebbe pazienza. L'assessore non più tale potrebbe tranquillamente tornare a fare il proprio lavoro, come ogni cittadino comune. Non ci sarebbe nulla di scandaloso o di anormale. Mica è una prescrizione del medico quella di fare il politico...
Anna Mossuto
Mercoledì
14/04/10
18:25