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(AUN)(nostro servizio particolare) VERONA – Come può il vino umbro vincere la sfida della globalizzazione? Legando indissolubilmente il prodotto all’identità territoriale, facendo del territorio, del paesaggio, dell’ambiente e della sua storia un “brand”, che renda immediatamente riconoscibile il vino e lo inserisca in un complesso e ricco sistema di valori. È quanto è emerso ieri dal dibattito, svoltosi all’interno dello “stand” umbro al “Vinitaly 2010” di Verona, fra il giornalista e scrittore Carlo Cambi (autore fra l’altro della guida gastronomica “Il Mangiarozzo”, bestseller nel settore) ed il vicepresidente di “Umbria Top”, la cooperativa che associa per la partecipazione al “Vinitaly” 48 aziende e 3 consorzi di tutela, Stefano Grillini. Il dibattito, moderato dal giornalista Riccardo Marioni e ripreso dalle telecamere di “UmbriaRegioneTv”, per essere prossimamente ritrasmesso sulle emittenti locali umbre, aveva per tema “Il vino umbro ai tempi della globalizzazione”. “Per stare nella globalizzazione – ha detto Carlo Cambi – bisogna concentrare gli sforzi su come il vino viene percepito: il vino – ha spiegato – deve ‘connotarsi’, caricarsi cioè dei significati di un sistema valoriale. L’importante – ha proseguito Cambi – non è la quantità della produzione, ma un’alta marginalità di profitti, che si può ottenere soltanto se si è in grado di vendere, con il vino, un intero sistema territoriale e valoriale: la qualità, che in Umbria esiste, anche se finora l’Umbria è stata la terra delle occasioni mancate, può vendersi soltanto a condizione che si riesca a vendere come sistema, così come è riuscita a farlo la Toscana. E all’Umbria – ha aggiunto il toscano Carlo Cambi – non manca nulla, rispetto alla Toscana, per far fare al suo vino il grande salto di qualità. Soltanto così – ha concluso, alludendo alla globalizzazione ed alla nuova produzione dei paesi emergenti – ci si potrà opporre alla replicazione dei vini, perché un vino che si basi sulla qualità e la valorialità del territorio non sarà mai replicabile”. “Possiamo fare i prodotti migliori – ha detto il vicepresidente di “Umbria Top” Stefano Grillini -, ma se non li leghiamo alla identità territoriale attraverso una forte campagna di comunicazione, non otterremo niente”. “Grazie all’Umbria, il vino di Caana è una realtà: anche se non siamo stati capaci di trasformare l’acqua in vino, più modestamente abbiamo dotato i palestinesi di un ‘know how’, che ha trasformato un vino mediocre in un buon vino”. Ha scherzato così l’amministratore unico dell’Agenzia di Promozione Turistica dell’Umbria Stefano Cimicchi, presentando stamani, nello spazio-dibattiti dello “stand” dell’Umbria al “Vinitaly” di Verona, l’iniziativa che ha permesso ai Padri Salesiani, a Betlemme e Beith Jamal, di ristrutturare e rinnovare le cantine di Cremisan, che sono oggi in grado di produrre diverse tipologie di vini bianchi e rossi, rigorosamente basati sullo sviluppo di vitigni autoctoni, e di commercializzarle per un volume di 500 mila bottiglie annue, che soddisfano le esigenze della rete di alberghi, connessi con il turismo religioso nell’area di Betlemme, e vengono anche esportate. Al “salto di qualità” della Cantina dei Padri Salesiani di Cremisan ha contribuito largamente l’opera dell’enologo e “wine maker” Riccardo Cotarella, nell’ambito di un progetto collettivo, al quale hanno partecipato lo stesso Cimicchi, Emanuela Chang ed Andrea Bonini, attuale direttore della cantina. “Il progetto ha riguardato non soltanto la ristrutturazione dei vigneti, ma anche la produzione di olio – ha spiegato Cimicchi -; e stiamo lavorando con i Padri Salesiani anche sul ‘Museo del Presepe’ di Betlemme e su una scuola della ceramica, legata alla cultura presepiale. È un lavoro di grande importanza, sia per lo sviluppo di una cultura di pace, sia per le ricadute che interessano una ‘tribù’ turistica di grande rilievo, quella che ruota intorno al turismo religioso e non solo, di cui abbiamo avuto modo di captare le potenzialità in recenti missioni in Israele”. (AUN)(nostro servizio particolare) VERONA – Come può il vino umbro vincere la sfida della globalizzazione? Legando indissolubilmente il prodotto all’identità territoriale, facendo del territorio, del paesaggio, dell’ambiente e della sua storia un “brand”, che renda immediatamente riconoscibile il vino e lo inserisca in un complesso e ricco sistema di valori. È quanto è emerso ieri dal dibattito, svoltosi all’interno dello “stand” umbro al “Vinitaly 2010” di Verona, fra il giornalista e scrittore Carlo Cambi (autore fra l’altro della guida gastronomica “Il Mangiarozzo”, bestseller nel settore) ed il vicepresidente di “Umbria Top”, la cooperativa che associa per la partecipazione al “Vinitaly” 48 aziende e 3 consorzi di tutela, Stefano Grillini. Il dibattito, moderato dal giornalista Riccardo Marioni e ripreso dalle telecamere di “UmbriaRegioneTv”, per essere prossimamente ritrasmesso sulle emittenti locali umbre, aveva per tema “Il vino umbro ai tempi della globalizzazione”. “Per stare nella globalizzazione – ha detto Carlo Cambi – bisogna concentrare gli sforzi su come il vino viene percepito: il vino – ha spiegato – deve ‘connotarsi’, caricarsi cioè dei significati di un sistema valoriale. L’importante – ha proseguito Cambi – non è la quantità della produzione, ma un’alta marginalità di profitti, che si può ottenere soltanto se si è in grado di vendere, con il vino, un intero sistema territoriale e valoriale: la qualità, che in Umbria esiste, anche se finora l’Umbria è stata la terra delle occasioni mancate, può vendersi soltanto a condizione che si riesca a vendere come sistema, così come è riuscita a farlo la Toscana. E all’Umbria – ha aggiunto il toscano Carlo Cambi – non manca nulla, rispetto alla Toscana, per far fare al suo vino il grande salto di qualità. Soltanto così – ha concluso, alludendo alla globalizzazione ed alla nuova produzione dei paesi emergenti – ci si potrà opporre alla replicazione dei vini, perché un vino che si basi sulla qualità e la valorialità del territorio non sarà mai replicabile”. “Possiamo fare i prodotti migliori – ha detto il vicepresidente di “Umbria Top” Stefano Grillini -, ma se non li leghiamo alla identità territoriale attraverso una forte campagna di comunicazione, non otterremo niente”. “Grazie all’Umbria, il vino di Caana è una realtà: anche se non siamo stati capaci di trasformare l’acqua in vino, più modestamente abbiamo dotato i palestinesi di un ‘know how’, che ha trasformato un vino mediocre in un buon vino”. Ha scherzato così l’amministratore unico dell’Agenzia di Promozione Turistica dell’Umbria Stefano Cimicchi, presentando stamani, nello spazio-dibattiti dello “stand” dell’Umbria al “Vinitaly” di Verona, l’iniziativa che ha permesso ai Padri Salesiani, a Betlemme e Beith Jamal, di ristrutturare e rinnovare le cantine di Cremisan, che sono oggi in grado di produrre diverse tipologie di vini bianchi e rossi, rigorosamente basati sullo sviluppo di vitigni autoctoni, e di commercializzarle per un volume di 500 mila bottiglie annue, che soddisfano le esigenze della rete di alberghi, connessi con il turismo religioso nell’area di Betlemme, e vengono anche esportate. Al “salto di qualità” della Cantina dei Padri Salesiani di Cremisan ha contribuito largamente l’opera dell’enologo e “wine maker” Riccardo Cotarella, nell’ambito di un progetto collettivo, al quale hanno partecipato lo stesso Cimicchi, Emanuela Chang ed Andrea Bonini, attuale direttore della cantina. “Il progetto ha riguardato non soltanto la ristrutturazione dei vigneti, ma anche la produzione di olio – ha spiegato Cimicchi -; e stiamo lavorando con i Padri Salesiani anche sul ‘Museo del Presepe’ di Betlemme e su una scuola della ceramica, legata alla cultura presepiale. È un lavoro di grande importanza, sia per lo sviluppo di una cultura di pace, sia per le ricadute che interessano una ‘tribù’ turistica di grande rilievo, quella che ruota intorno al turismo religioso e non solo, di cui abbiamo avuto modo di captare le potenzialità in recenti missioni in Israele”. Condividi