A volte ritornano e questo è il caso del Pd in casa del quale, appena passata la furia elettorale che non ha certo premiato il centrosinistra ed in primis il suo partito elettoralmente più rappresentativo, sono tornati a riaffacciati personaggi che sparavamo avvolti ormai in una cortina di oblio. Personaggi come Walter Veltroni, per intenderci, al quale spetta tutta la responsabilità di aver distrutto una coalizione che sola ed unita poteva opporsi allo strapotere berlusconiano, avendo oltre tutto creato con le sue mani l’ “orco” che un pezzetto alla volta sta inghiottendo il colosso dai piedi d’argilla nato dalle fusione a freddo fra Ds e Margherita. Ci riferiamo a quell’Italia dei Valori, unica ammessa dal Walter nazionale alla sua corte allorché pronuncio la famosa frase, tanto cara ai giocatori di quadrigliato, “faccio da solo!”.
Si deve a questa improvvida e suicida scelta, infatti, se il partito dipietrista, diventato oggi il più pericoloso contendente del Pd nell’elettorato tradizionale del centrosinistra, intercettando lo scontento dei delusi dal Pd e di quanti a sinistra si lasciarono allettare dalla sirena del voto “utile”, ma non se la sentirono al tempo stesso di premiare l’autore di quella genialata, è potuto infine uscire dal limbo di una percentuale elettorale da prefisso telefonico per assurgere ad una dimensione nazionale assumendo, anche grazie ad una consistente pattuglia di eletti in Parlamento, una visibilità che sino a quel momento non gli era stata concessa.
Accanto a ciò si consideri l’altrettanto perniciosa distruzione della cosiddetta sinistra radicale che da allora, malgrado gli sforzi che ha generosamente profuso per riemergere, non è ancora riuscita a ricomporsi grazie ancora una volta al ruolo esercitato sempre dal Pd veltroniamo per frantumarla.
Ebbene, non contento di ciò, Walter Veltroni, che ci aveva fatto sperare con l’annuncio di un suo trasferimento in Africa travestito da missionario, è tornato invece a riaffacciarsi dalle parti di casa nostra e lo ha fatto con la pretesa di dettare al povero Pierluigi Bersani una sua ricetta per guarire il Pd dai mali che lo attanagliano. Avete perso, il Pd ha perso le regionali, ha sentenziato, per poi spiegare: "Siamo fermi al risultato delle europee, il 26 per cento. Ma nel 2009 Berlusconi era in piena luna di miele con l'elettorato, veniva da un anno di successi, aveva tolto i rifiuti da Napoli, inscenato il miracolo del dopo terremoto a L'Aquila. Nell'ultimo anno è successo di tutto, Berlusconi è stato travolto da scandali personali e non solo, la crisi ha massacrato l'economia delle famiglie, il Pdl era lacerato da contrasti terribili. I sondaggi lo davano in forte declino. Lo stesso risultato del Pdl, è deludente. Ma il Pd non ha saputo strappare un voto in più. Perché?"
E proprio su questo interrogativo pare essersi innescato un altro “eterno” del Pd, quel Massimo D’Alema che a quanto pare è tutt’altro che intenzionato a farsi da parte malgrado la sua vetusta età politica, e che, se lo avessero lasciato fare in Puglia, avrebbe allargato ancora di più il disastro elettorale che ha fatto perdere al centrosinistra le regioni italiane di maggiore peso elettorale ed in taluni casi anche economico.
Dopo aver preso le distanze dal povero Bersani, sostenendo che il suo progetto non è credibile, perché non si percepisce l'alternativa, baffino ha aggiunto: "Pier Luigi ha ragione quando parla di inversione di tendenza. Il tramonto di Berlusconi è in atto, ma noi non lo intercettiamo".
Che fare, dunque? D'Alema non ha dubbi, il terreno sul quale ci si deve misurare è quello delle riforme istituzionali: "Devi schierarti", ha ingiunto al segretario. "Dobbiamo partire dalla riforme sociali, è vero, ma serve anche una riforma dello Stato. E il Pd deve offrire la sua autonoma risposta". Risposta che finora il segretario ha rinviato. "Il bipolarismo come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 15 anni è finito - ha continuato D'Alema -. Non il bipolarismo in assoluto, ma quel modello lì. Allora, per non subire l'iniziativa di Berlusconi, dobbiamo avere una nostra proposta".
Una soluzione di tipo tecnico-istituzionale, come si vede, ma è davvero questa la ricetta buona? Ne dubitiamo, come non condividiamo l’idea di chi concentra interamente la sua attenzione sulle carenze di natura organizzativa che frenerebbero l’azione di un partito che non è ancora riuscito a strutturarsi sul territorio.
Sarebbe assai meglio, a nostro parere, se a qualcuno balenasse in testa che la cosa migliore da fare è quella di ritornare a parlare delle questioni che affannano quotidianamente i lavoratori, i disoccupati, le famiglie, gli artigiani e i piccoli commercianti che sono costretti a chiudere le loro botteghe, i piccoli imprenditori strozzati dalle banche, i giovani ai quali è stato tolto il futuro. Ritornare, insomma, ad interpretare i bisogni della “gente” come il vecchio Pci ci aveva insegnato a fare. E per farlo, prima che sia troppo tardi, non abbiamo più molto tempo a disposizione, ed è proprio per questo che sarebbe assai utile evitare certi ritorni buoni solo a distrarci da questo compito che è essenziale.
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